Seppellitemi con lo spillone
autobiografia di un tombarolo gentile
di Pietro Bozzini
raccolta da Antonello Ricci
foto di David De Carolis
collana Millelire - Stampa Alternativa
edizione speciale
pp. 32

Dalle tombe del Sole e della Luna di Vulci, alla biga del principe di Castro. 

La vita e le scoperte di un tombarolo della Maremma laziale. Storie raccontate dalla viva voce del protagonista e portate sulla pèagina. 

Questo breviario del "perfetto" tombarolo riscrive le parole dell'archeologia moderna nella cantilena e nei gesti di un dialetto antico e solenne

Un libro tutto da ascoltare.


Sabato 11 ottobre 2003, Biblioteca Comunale di Ischia di Castro

LA "MANO FINA" DEL TOMBAROLO GENTILE
Testimonianza di Paola Ucelli Gnesutta, archeologa - Università di Pisa

Ringrazio Anna Laura e la Biblioteca Comunale di Ischia di Castro di avermi chiesto di parlare - in questa felice occasione in cui festeggiamo Pietro Bozzini ed il suo libro - degli anni nei quali abbiamo lavorato insieme nello scavo della Grotta di Settecannelle. Cinque anni (dal 1985 al 1989) nei quali ho potuto conoscere ed apprezzare a fondo la sua esperienza e le sue qualità e capacità in archeologia. Spero che anche Pietro sia contento che sia io a parlare: al suo giudizio tengo molto, ho per lui una grande ammirazione e un grande affetto.
Ricorderò brevemente quando ci siamo conosciuti, circa trenta anni fa: lui lavorava col prof. Rittatore a Sorgenti della Nova, insieme con lui ho conosciuto altri operai "storici" di Ferrante: il Castagnolo, Giovanni Celestini, Checco Bianchi, Costanzo Contorni e Mattio Curre, che per tutti gli anni successivi è stato il mio "contatto", il mio aiuto ad Ischia. Non li dimenticherò mai. Pietro era più riservato degli altri, molto concentrato nel lavoro, serio e quasi corrucciato, ma quando gli sfuggiva un sorriso, sembrava una schiarita. Ho anche ricordi fuori dal lavoro: ervavamo nella cantina di Costanzo, una sera, con Rittatore e tutti gli altri. Pietro si lasciò convincere e cantò accompagnandosi con la chitarra, e conquistò tutti con charme ed ironia, con stornelli pungenti e canzoni romantiche.
Il prof. Rittatore e Nuccia Negroni (che in seguito, per un malinteso, una supposta mancanza di riguardo verso di lui, si guadagnò il soprannome di Messalina) mi parlarono subito della sua profonda esperienza di scavi classici con Poupé a Castro, con la Scuola Archeologica di Danimarca a Monte Becco, con Mario Moretti soprint. per l'Etruria Meridionale e il prof. Donato ai quali aveva segnalato, avendone intuito l'importanza la Tomba detta del Carro ora esposta a Villa Giulia, che aveva individuato sul suo terreno e che poté essere così scavata regolarmente. E specialmente mi parlarono della sua "mano fina", un tocco che è essenziale per uno scavo preistorico. Alle Sorgenti della Nova Pietro lavorò qualche giornata anche nel mio settore (che già si chiamava Grotta 7): sapeva tagliare sezioni perfette anche nel terreno più friabile, sapeva - prima degli archeologi - quando rallentare il ritmo di scavo, al primo indizio di tracce di frequentazione, della polvere di carbone di un focolare o dell'elusiva traccia di un foro di palo. Dieci anni più tardi, quando, dopo una lunga esperienza di scavi con equipes italiane e straniere, riuscii finalmente ad avere il "mio scavo" nella Grotta di Saettecannelle, non ebbi dubbi: cercai Pietro.
La sua esperienza e la sua passione per la ricerca di nuovi siti, la sua sensibilità nelle fasi dello scavo, che hanno i caratteri di vera curiosità scientifica, mi erano necessarie per un'impresa così impegnativa come lo scavo di un sito preistorico. In questo campo dell'archeologia ogni giacimento è diverso: non si lavora su strutture standardizzate in blocchi di pietra; il più delle volte una capanna, un focolare, un sito dove più di diecimila anni fa avevano sostato alcuni cacciatori per riposare, mangiare, scheggiare nella selce nuovi strumenti e munizioni, si rivelano per colorazioni o consistenze diverse nel terreno. A riconoscere ed a mettere in rilievo tutto questo, Pietro è maestro. E a Settecannelle è stato il maestro anche di tutti i ragazzi al primo scavo: fra questi le mie figlie Nerina e Stella, che ricordano come lui, passando loro vicino, le aiutava: fai così… spiomba qui la sezione… fai piano. Rimpiangono di non poter essere qui ad Ischia oggi, fra tanti amici, ormai sono occupate da impegni di lavoro, fanno i più affettuosi auguri a Pietro e salutano tutti.
Il contributo più importante e decisivo di Pietro allo scavo di Settecannelle è stato il taglio della grande stratigrafia all'uscita della grotta, sulla sponda del fosso Paternale. Fu realizzata nel 1986, il secondo anno dello scavo e la stratigrafia servì da guida nelle ricerche successive.
Ci eravamo accorti che l'erosione aveva messo in vista alcuni strati del riempimento della grotta ad una decina di metri di altezza sul fosso. Per raggiungerla fu eretto un ponteggio, con caratteristiche piuttosto acrobatiche, ma una volta montato era abbastanza stabile.
Da qui Pietro con mano delicata e precisa, ripulì il fronte della ripa, e lo scavò arretrandolo di circa 20 cm, in modo da ottenere una superficie a piombo che misurava più di tre metri in altezza e quasi altrettanti in larghezza: su di essa era registrata la storia geo-archeologica della grotta, vi si leggeva una successione di sedimenti di diversi colori e consistenza, depositi giallastri sabbiosi, dovuti all'ingresso di acque nella grotta, strati scuri ricchi di carboni, con in vista ossi e selci, che si erano formati durante le fasi di frequentazione umana, strati grigi di crolli di tufi dalla volta, prodotti da clima molto arido o da terremoti. Una visione impressionante per grandiosità.
In un giacimento del Paleolitico o del Neolitico, anteriormente all'età dei metalli, non si trovano tesori materiali, né architetture come in una tomba etrusca o in una villa romana; il vero tesoro di un giacimento preistorico sono le informazioni scientifiche che si possono dedurre da evidenze apparentemente modeste: ad esempio la disposizione di manufatti in certe zone dell'insediamento, che indica le attività svolte sul posto, i focolari, i resti di pasti ed oggetti poveri (come frammenti di vasi primitivi, strumenti di selce, ciottoli con incisioni, ornamenti di conchiglia, di osso, di pietra, che tuttavia sono di primaria importanza perché sono le prime documentazioni della tecnologia e dell'arte).
Ognuno di noi è stato stregato dalla bellezza sublime di preziose opere classiche, greche ed etrusche; a volte noi stessi, scienziati della preistoria, ci domandiamo se non stiamo concedendo troppo tempo a manifestazioni modeste. Eppure la curiosità di sapere e l'emozione che suscita anche una piccola traccia degli uomini di un passato così lontano è altrettanto grande ed è una passione cui non si può resistere.
Per tutto il tempo che abbiamo lavorato insieme, durante gli scavi o cercando tracce del passato fra boschi e corsi d'acqua, che da vero cacciatore Pietro ben conosce, quest'emozione non è mai mancata.
Grazie Pietro.

 

LA STORIA DI UNA PASSIONE
Testimonianza di Anna Laura, archeologa e bibliotecaria

La storia di Pietro è la storia di una passione. La passione che nasce dalla curiosità di sapere chi erano, come vivevano le genti antiche delle quali ancora oggi si ritrovano le tracce, gli oggetti, magari arando un campo, o passeggiando in campagna o in un bosco, o visitando una grotta che per tanti anni è stata ricovero per greggi o animali domestici, e spesso per gli stessi pastori.
Un frammento di ceramica, un mucchio di sassi, una scheggia di selce, resti di ossa, tombe che hanno accolto individui certamente nostri antenati.
La stessa passione che ha investito generazioni di archeologi che attraverso l'interpretazione scientifica hanno decifrato quelle tracce, che ne hanno compreso il senso, la funzione, alle quali hanno saputo attribuire una cronologia, un significato, che hanno saputo fissare nel tempo frammenti di vita lontani migliaia di anni.
Passione di persone che con queste tracce hanno avuto una consuetudine fin da piccoli, magari senza capire cosa avessero tra le mani, ma che hanno intuito l'importanza degli oggetti che affioravano dalla terra e che si proponevano come interrogativo a chi li raccoglieva e li osservava con la curiosità di chi si pone di fronte a qualcosa di sconosciuto ed affascinante.
Ho potuto constatare la passione di Pietro durante lo scavo della Grotta di Settecannelle. In lui era l'esperienza a parlare, ad esprimersi. Dopo aver letto il suo libro ho capito da dove derivava tale ricchezza di manualità e di intuizione.
Lui la chiama "dono di natura"…
Credo molto alla capacità di assorbire gli insegnamenti che ci vengono offerti e di cui sappiamo fare tesoro, ma credo che a volte sia la passione a sviluppare una grande esperienza di vita.