Alessandro Di Meo

vivo a Roma, sono architetto, volontario di "Un Ponte per...", impiegato all'università di Tor Vergata, scrivo molto ma non sempre, ho moglie, un figlio e una figlia, tifo Lazio, leggo "il manifesto" e... che altro dire?

Alfredo

Alfredo Ormanno, chi se lo ricorda? Io l'ho conosciuto. L'ho incontrato prima nelle colonne de "il manifesto", uno dei pochi giornali, se non l'unico, ad averne raccontato la vicenda umana, purtroppo quando è stato troppo tardi, dopo quel suo estremo, disperato gesto… darsi fuoco sul sagrato di San Pietro, in Vaticano, una mattina di Gennaio di qualche anno fa. Poi l'ho di nuovo incontrato, ma sarebbe più vero dire "sentito"... qualche tempo dopo quando, alla premiazione di un concorso letterario, ho scoperto che alcuni miei racconti gli erano stati letti e che uno, in particolare, gli era piaciuto. Il presidente della giuria, volontario di una associazione, raccontò di avergli portato un minimo di conforto quando solo, in un letto di ospedale, abbandonato da tutti, ne più ne meno di quanto non lo fosse stato nella vita di tutti i giorni, Alfredo stava vivendo la sua tremenda agonia che lo avrebbe in breve consegnato all'oblio. Quel racconto parlava di un bambino che camminava su un lato di una strada, la sua mano stretta a quella della madre. All'improvviso, un desiderio irrefrenabile, la voglia di raggiungere l'altra parte della strada, attratto chissà da chi, chissà da cosa. Ma in mezzo, luogo oscuro e non considerato dal desiderio, ecco l'imprevisto, l'incidente. E il desiderio va in frantumi, stravolto, violentato, mortificato dall'odore acre di infermeria, dal pronto soccorso, da medici che si agitano intorno, da grida di madre. Quel bambino crebbe, superò l'incidente ma non superò più quella strada. Vinse la paura. Questo racconto gli piacque, ad Alfredo Ormanno. Forse anche lui, quella paura, non era riuscito a superarla mai, costringendolo a restare fermo, in mezzo a quella strada. Forse anche per lui, il desiderio fu un'emozione mortificata. Alfredo era una persona gentile, delicata, amava le arti, la letteratura. Ma era omosessuale e qualcuno, forse la famiglia, forse il piccolo paese siciliano, forse un parroco sbadato, forse il resto della società, quella che sta fuori nel quotidiano, coi suoi piccoli rifiuti giornalieri che se non sei più che forte e determinato nell'animo e negli ideali, se sei appena un po' debole e insicuro, preda dei tuoi dubbi, ti uccide piano piano, qualcuno… stabilì che non doveva. Gli bruciarono i libri, proprio come si vorrebbe oggi, per certi libri. Lo vollero diverso ma veramente, diverso. Diverso da come lui avrebbe voluto, diverso da come si sentiva, diverso da come si era desiderato, lo vollero contro natura. Contro la sua, natura. La natura di un uomo libero, coi suoi gesti, i suoi desideri, i suoi amori, le sua passioni, la sua cultura, le sue amicizie, la sua rabbia. Non ce la fece, non poteva farcela, Alfredo. Non si mettono catene ai gabbiani... Si diede fuoco, una mattina di Gennaio, a due anni dal Giubileo, proprio davanti San Pietro. San Pietro… Quel sagrato fu ripulito in tutta fretta. Alfredo lo uccisero un'altra volta due anni dopo, anno del Giubileo, quando agli omosessuali quel posto fu interdetto, come si sarebbe voluto per tutto il resto di Roma, dal Colosseo al Circo Massimo, perchè il Vaticano la voleva tutta per lui, questa città, per le sue consacrazioni e per i suoi pellegrini con tanto di maglietta, cappellino, souvenir, benedizione papale e memoria corta. A quella manifestazione omosessuale inserita nell'ambito del World Gay Pride, furono interdetti tutti i sagrati di tutte le chiese. Proibiti, privati, sottratti, impediti. Forse, per paura proprio di quel fuoco, quasi a volerne riaffermare il diritto di esclusiva, posseduto dalla Santa Romana Chiesa nei secoli e nei secoli per tenere testa a quel demonio trasformista e subdolo di Satana, sempre travestito, da omosessuale o da strega, da eretico o da comunista. Nessuno fra gli organizzatori di quella manifestazione, o fra loro rappresentanti, o fra loro semplici conoscenti, è stato ricevuto dal papa per un colloquio o qualcosa del genere. Non ne furono degni di quel santo e sontuoso cospetto, quanto Augusto Pinochet, quel povero vecchio, o quanto i tronfi e torvi sanguinari macellai argentini con rispettive, nauseabonde protuberanze, fatte di militari, lacchè, dame imbalsamate, ambasciatori e nunzi apostolici. Oppure, ancora, non ne furono degni quanto il rampollino nazional-austro-tedesco dalla faccia pulita, Jorg Haider e relativa schiera di nostalgici sostenitori. Avrebbe fatto meglio a prostituirsi, Alfredo, per costui e per costoro. A darsi via, a pigliarsi l'AIDS, a finire in galera, drogato o spacciatore, che poi fa lo stesso. Avrebbe fatto meglio a disfarsi, magari allora si, che il papa l'avrebbe ricevuto, per dargli la grazia finale! O, magari, avrebbe mandato qualcuno, dal clero, a confortarlo, ad assolverlo, previo pentimento, nel nome del padre, del figlio, e dello spirito santo. Ma è stato testardo Alfredo o, forse, solo ingenuo e ha creduto di fare come Ian Palac e immolarsi per la libertà, senza chiedersi a chi potesse mai servire, quella sua libertà. Senza immaginare che ne esistono di talmente differenti fra loro, che per alcune di esse è meglio far finta di non vedere, di non sentire, voltarsi e parlare d'altro. Per lui, per la sua battaglia, non valse nemmeno la regola che vuole un semaforo all'incrocio pericoloso dopo che qualcuno vi ha trovato la morte. E nemmeno quell'altra che vuole la rampa all'ingresso di un edificio dopo che un disabile si è incatenato, magari dopo uno sciopero della fame, davanti qualche sede istituzionale. Alfredo ha pensato troppo in grande, forse. Si sa, il Vaticano… E' stato troppo polemico e diretto, invadente e accusatorio. Ma anche l'avesse fatto in piccolo, non avrebbe mai ottenuto quello che desiderava. Comprensione e solidarietà. Perché è molto più semplice occuparsi della realtà nella sua apparenza, degli effetti, delle conseguenze, spesso accettando tutto con fatalità, piuttosto che affrontare le cause, a volte troppo controverse e scomode da analizzare. Ed è più facile dare assoluzioni dopo pentimenti, veri o falsi non importa. Per la propria anima sarà sempre più redditizio, e gratificante... avere dannati da redimere ed assistere, nel loro estremo, flebile, ultimo attimo di vita, anche perché più deboli e rassegnati. Più difficile e pure più pericoloso per la putrescente malafede, evitare che esistano emarginazione ed emarginati, vivere e lottare perché l'ingiustizia del perbenismo e del belpensiero venga definitivamente sconfitta, andando a scovare il seme del razzismo in tutti i buchi dove si infila, come una serpe velenosa e infida. Lasciando, finalmente, che la dignità di ognuno venga rispettata davvero e non solo a parole, facendo in modo che le persone si godano la loro vita per come sono venute al mondo e che possano farlo quando esistono ancora, stanno bene e possono scegliere. Di potersela giocare, come tutti, così, semplicemente. Stesse regole, stesse possibilità, tante e diverse strade fra cui poter scegliere. La sola, l'unica, la propria.