Alessandro Mazzoncini

agricoltore, nato a Pistoia cinquantadue anni fa.

Beccaccino di passo

Quando sentì dire che Bracci, il suo sostituto, era bell’e vestito e truccato, montò su tutte le furie. Quando poi Lopez, nello sciagurato tentativo di rabbonirlo, gli disse brutalmente che non era nelle condizioni di cantare, Riguardo buttò un urlo tremendo;

"Io!" e quell’io si gonfiò per tutti i corridoi e raggiunse perfino la biglietteria "Io posso disfare il teatro con queste mani e poi cantarne non una, ma quattro di opere!".

Siccome il Signore con riguardo era stato sì assai prodigo, ma tutto quello che aveva da dargli lo aveva messo nella fabbricazione di un corpo da titano con la giunta di quella gran voce, e per il cervello non c’era rimasto quasi più nulla, così Lopez si scansò a malincuore dalla porta del camerino e lo fece passare. Si trattenne dal dirgli:

"Se ti vuoi rovinare con le tue mani, fallo pure, ma non dire che non ti avevo avvertito.", non perché non gli volesse bene, ma perché per quella sera la fortuna l’aveva aiutato anche troppo e non gli sembrò il caso di chiederle dell’altro.

Quella volta Riguardo l’aveva presa proprio bella. Dopo la pomeridiana della domenica era andato a mangiare la rigaglia alle Soggette e dopo cene s’era messo a giocare a carte.Lo riportarono in albergo briaco fradicio. Il Lunedì Grasso, che era di riposo, lo festeggiò facendo il giro delle osterie e la scimmia che gli era montata addosso fin dalla sera prima, si trasformò in un mostro orrendo, che gli tolse ogni forza dalle membra, per non parlare della testa che – come si è detto – aveva dei difetti di funzionamento per conto suo. Lopez lo vegliò come un malato, camminando su e giù per la camera, tanto che gli dolevano le gambe. Verso l’ora di pranzo, non dando il suo assistito il minimo segno di vita,si decise a far chiamare Bracci a Firenze per la sostituzione.

Riguardo si svegliò che già cominciava a scurire e capì d’essersi messo nei guai, e grossi. Ci vedeva ancora doppio, braccia e gambe andavano per conto loro e si ritrovava in bocca una lingua che pareva quella di un vitello. Alla meglio riuscì a vestirsi e a uscire dall’albergo. Tirava una di quelle tramontane ghiacce che vuotano le strade, ma lui neanche se ne accorse. Fece pochi passi traballando e si rese conto subito che solo un intervento diretto della Divina Provvidenza lo avrebbe fatto arrivare al Manzoni. E la Divina Provvidenza – non si sa perché – decise di aiutarlo. Riguardo, voltato che ebbe l’angolo. Si trovò di fronte il deposito delle carrozze.

Quando il vetturino riuscì a intendere dal brocciolio di quell’omone che voleva esser portato a teatro, disse:

"Senta, sarebbe meglio che in codesto stato si facesse portare a casa.".

"Aiutami a montare," farfugliò Riguardo "che tanto mi passa.".

"Per far passare una ciucca come codesta" disse ridacchiando il fiaccheraio "ci vorrebbe un bel bagno a Bozzo Altura!".

Che la nebbia che aveva in capo si addensasse o si diradasse non si sa, il fatto è che gli venne fatto di rispondere:

"Bravo, e allora portatici a codesto Bozzo Altura!".

Il vetturino tentennava, dando segno di non aver capito bene e allora lui aggiunse:

"E se ti sbrighi son dieci lire.".

Trovare uno col cervello combinato male come il suo era come cercare un ago nel pagliaio, ma il vetturino, che per l’anagrafe era Piccoli Settimo fu Dario, per tutti quelli che lo conoscevano era Il Matto. Così la carrozza partì in tromba, neanche ci fosse stato da accompagnare un malato grave all’ ospedale.

Il Matto si cominciò a impaurire.

"Questa" pensò "è la volta che vo a finire in galera.".

Dapprima l’aveva preso come uno scherzo di Carnevale. Roba da tener banco all’osteria per un bel pezzo, e gli aveva dato corda. Aveva lasciato la carrozza sulla Via di Valdibrana e, presa la lanterna, aveva aiutato riguardo, che a malapena si teneva in piedi, ad arrivare fino alla roggia. Quando quello aveva principiato a spogliarsi, mostrando di voler fare il bagno davvero, si era risentito e aveva cercato di dissuaderlo. Macché, peggio che trattare con un mulo. Intanto la tramontana aveva avviato a tirarsi dietro del nevischio giù dai monti, ma all’omone che, completata l’opera, era nudo come un baco, non pareva che toccasse neanche a lui. Chiese:

"Quant’è fonda?".

"Tre o quattro metri." rispose allibito il vetturino.

"Fammi lume!" disse Riguardo, e si buttò a candela.

A quel punto Il Matto prese e tornò alla carrozza, poi ci ripensò, afferrò la coperta del cavallo e tornò indietro un’altra volta.

"T’avevo detto di farmi lume!" urlò Riguardo, che stava ancora a guazzo "O dove sei stato?".

Al Matto il sangue ricominciò a tornare in circolazione.

"A prendere una coperta." disse per scusarsi .

"Bravo!" disse il bagnante con voce allegra "Io ora esco, perché l’acqua mi comincia a sembrare un po’ ghiaccina!".

Appena in sala si seppe che avrebbe davvero cantato lui, lo aspettarono per impallinarlo come un beccaccino di passo. Ma lui subito, fin dal duetto con Tell del primo atto, tolse dalla bocca di tutti il sorrisino che aveva accompagnato la sua comparsa in scena. Quando finì l’aria del quarto atto "O muto asil del pianto…" la gente pareva ammattita, ma per quanto si sgolassero e si spellassero le mani, non volle concedere neanche un bis, perché quella volta se l’era avuta un po’ a male.