Alfonso D'Ambrosio

Salve a tutti mi chiamo Alfonso D'Ambrosio ed ho 23 anni. Studio Fisica (quasi laureato, finalmente!), mi piace tanto, ma proprio tanto leggere, in più faccio volontariato ai bambini nell'ospedale! Ho iniziato a scrivere quasi per caso circa 3 anni fa, poi le mie riflessioni ed i miei dubbi si sono tramutati in racconti e persino in un libro-diario. Non credo che diverrò scrittore ma mi piacerebbe, anche se non mi ritengo uno che costruisce trame ma piuttosto riflessioni!

CHI E' SENZA PECCATO
un racconto di tante domande e di infinite risposte

Questo è il mio comandamento:
che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.
GIOVANNI 15, 9

I

"Chi sei tu?" è questa la domanda che mi faceva l'uomo di fronte, io sempre più rossa dalla vergogna pensavo ad altro. Ho sempre avuto questa mirabile capacità di nascondermi in qualche parte del mio corpo e lasciarlo inerte davanti agli altri. "Chi sei tu? Cosa sono quelle orrende cose che possiedi?" Erano come colpi incessanti, martellanti, come una bomba inaspettata a ciel sereno. "Perché fai queste cose? Queste immonde trasfigurazioni della realtà? Dai ti aiuto, anch'io alla tua età…" "Bastaaaaaaaaaaaaa" ho gridato con tutta la forza che avevo, con tutto il poco fiato che mi restava. Basta, basta, vi prego. Ormai sono già altrove, nascosta nel dito della mano, lì si possono vedere tante cose, senza essere visti, si scorre con il sangue, si va in tutti gli anfratti del corpo. La prima volta da piccola ho iniziato il mio viaggio sotto un letto, mio padre mi aveva inseguito per tutta la casa, una furia immonda cadeva su di lui, era così arrabbiato, ma non capivo per cosa, forse per qualcosa che avevo fatto, ma correvo, gridavo e correvo a più non posso, sbattevo le mie mani contro le mura, mi davo una spinta con una porta, saltando da una stanza ad un'altra. Sempre più stanca ed impaurita, sono corsa a nascondermi sotto il letto, lì mio padre non mi avrebbe presa, solo i piccoli riescono a passare sotto il letto. "Teresaaaa, Teresaaaaaaaaaa" gridava sempre più straziante mio padre "dovunque ti sei nascosta io ti prenderò" Ero sempre più dentro di me, con le mani tappate alle orecchie, tremavo ed avevo gli occhi sbarrati, temevo che il fruscio del vento avesse fatto rumore sulle lenzuola e mi avrebbe scoperta, ma gli adulti sono furbi, questo l'ho imparato fin troppe volte col tempo, mio padre era furbo, con la cintura stretta alle dita e con la mano fissa sulla sporgenza del letto, ha iniziato ad alzarlo, sempre di più, sempre più in alto, lo ha trascinato lontano da me ed ha iniziato a colpirmi, con tutta la sua violenza, aveva un sorriso di compiacimento, come un cacciatore che ha scovato la sua preda. E' stato in quel momento che ho iniziato per la prima volta il gioco, mentre la cintura iniziava a battere sulle mani, ho cominciato ad allontanarmi dalle mie orecchie, dai miei occhi, dalle mie braccia, ho iniziato a vagare dentro di me senza essere vista, osservavo quel grande corpo nero che mi batteva, ma non sentivo alcun dolore, ero serena, viaggiavo per il corpo e sono arrivata ad una grossa palla pulsante, la corrente era più forte lì, doveva essere il motore dell'intero meccanismo, ho provato a spingere, ma non riuscivo ad entrare. Com'era fatto il cuore? Perché era il più duro da aprire? Cos'era il mio cuore? E' stato qualche secondo ed i miei occhi hanno ripreso a vedere i colori striati di bianco e grigio delle mattonelle della mia stanza, il lenzuolo di primule del mio letto dismesso, l'aria sospesa per sempre.

"Come puoi essere così?" l'uomo che avevo ormai accanto ha iniziato a mettere una mano sulla mia spalla, tentava di riconquistare la mia confidenza, di farmi tirare fuori qualcosa. Ho cercato di perdere tempo, dalle mie ginocchia potevo osservargli le mani, le vedevo tremare, i suoi occhi erano fermi ed immobili, ma da essi traspariva tutta la sua insicurezza, il suo fare andante lo mostrava come un viaggiatore incauto nei pericoli della giungla. "Ehm…sì…" ho bofonchiato, ho fatto finta di giocare col telefonino ed ho tentato di scivolare via, con le mie gambe sull'ombelico, con gli occhi attraverso i piedi.

"Cos'è il cuore?" per anni ho provato a saltarci dentro, solo a sfiorarlo, a schiudere il mio cuore duro. Mi divertivo a mangiare attraverso le braccia, a giocare mentre correvo attraverso lo stomaco, a sentire le mie mani, mentre mani ingorde ed avide mi toccavano dappertutto. Un giorno ho sentito un prete in televisione parlare: "Salvate la vostra anima, è il bene più prezioso che avete dentro di voi". "Dov'era quest'anima?" ho pensato, era dentro di me, eppure non l'avevo mai vista. Nessuna l'aveva mai vista, nessuno l'aveva mai toccata, come si toccano le mani, le orecchie, le gambe, come si vedono i polmoni, come si vede il cuore… Nessuno l'aveva mai vista eppure tutti ci credevano, masse di uomini e donne vestite di bianco erano inginocchiate con la fronte china e pregavano di fronte al prete per la salvezza della loro anima, per qualcosa che non potevano vedere. "Cosa ne sai tu dell'anima!" mi ripeteva sempre mio padre " la tua anima è nera come la pece, per questo non puoi vederla". Forse era vero, la mia anima era nera per questo non l'avevo mai incontrata durante i miei viaggi, mi seguiva come un'ombra senza essere vista, ma allora tutti gli uomini dovevano avere un'anima nera, nessuno vedeva la propria perché era buia, perché ognuno aveva un'anima nera o perché forse la loro è trasparente e la mia sola è nera, come ripeteva sempre mio padre. "Cos'era il cuore?" non riuscivo a darmi delle risposte, era l'unico posto del mio corpo in cui non ero entrata. Ricordo che una sera presi un coltello che mia madre usava per tagliare il pesce, di nascosto mi intrufolai per la cucina e lo nascosi nella mia tasca. Come tutte le serrature anche il mio cuore doveva avere una chiave e se non riuscivo a trovarla avrei forzato la serratura, sarei entrata come una ladra e avrei scoperto i suoi segreti. Iniziai il mio gioco passando attraverso le vertebre, poi per il naso verso il fegato, ormai ero molto esperta e mi muovevo con grande velocità. Tum……tum……tum……tum……faceva il mio cuore a battiti regolari, mi è sempre piaciuto ascoltarlo, avevo imparato il suo suono, quando era stanco ed affamato puff……puf……puff……puf……quando era affannato putupum…putupum………putupum…putupum……quando aveva paura tututum…….tututum……..tutum…. Ora lo sentivo fum…..fffum…….fffummmm….fuum…. non lo avevo mai sentito chiamare così, sono corsa aggrappandomi attraverso la lunga aorta, con il coltello stretto fra i denti, ho vinto la resistenza del fiume di sangue. Il cuore batteva sempre più forte putupum…fffum……tututum….pum….puf….. ho spinto la faccia contro le sue pareti, ho trovato un buco, vi ho colpito con il coltello, ma non è uscito nulla, niente, stavo ferma, ho riso, poi solo un grande nero. Sbluf………...sbluf………sbluf………sbluf……..sbluf…………

I giorni seguenti li trascorsi nel letto di un ospedale. "Quello stupido dottore dice che Teresa soffre di pressione bassa" sentivo dire mio padre a mia madre "Quella sciocca è sempre chiusa in camera con il suo computer ed i suoi libri, con la sua realtà sempre più falsa. Il dottore non capisce che è malata, ma malata dentro" Ho guardato le riga di Hoffman scorrere di fronte ai miei occhi: dov'è la mia anima malata? Già, il segreto che custodiva il mio cuore era la mia anima nera, solo lì poteva essere nascosta, è stato per questo che non l'avevo trovata. La mia anima nera era dentro il mio cuore, dove poteva essere altrimenti?

All'uscita dell'ospedale ho iniziato a frequentare un corso di catechismo a due isolati dalla mia palazzina. Mio padre me lo aveva consigliato, o dire imposto, suggerendo che lì avrei trovato la mia anima e avrei potuto confrontarmi con gli altri, senza ingigantire i problemi da sola e con quei miei libri. In realtà alla catechesi sono andata poche volte, fingevo di uscire da casa tutta sorridente, nascosta dentro il femore "Mammina, oggi don Nicola ci spiegherà l'apostolo Paolo. Ho finito di studiare presto ed ho la mente libera, a te e papà serve qualcosa?". Le davo un bacio sorridente sulla guancia, mentre ero scesa verso il tallone. In quel periodo ebbi le prime mestruazioni, quella fu solo l'ultima tappa della mia maturazione, in realtà con la crescita di quei due tubercoli vedevo la gente e soprattutto gli uomini, rivolgermi uno sguardo diverso nei miei confronti. I ragazzi si voltavano per strada a guardarmi i seni, a lisciare la lingua per il mio sedere, mentre io li osservavo da dietro la testa. Di solito mi fermavo davanti alla chiesa fingendo di entrare e sgusciavo via dalle mura laterali, mi spostavo al parco alla periferia della mia città e scrutavo gli anziani lascivi e gli uomini che mi sorridevano, in fondo era molto più divertente del catechismo, essere penetrata da tanti occhi. Un giorno mio padre mi chiamo a sé, mi stese sulle sue gambe "Teresa ormai sei diventata una donna, è tempo di finirla con le vecchie idee da bambina, il peggio è passato, da oggi si inizia una nuova vita. Sai, vorrei essere quel padre che ho sempre voluto, se vuoi possiamo iniziare da oggi, insieme, io e te" Prese una scatola da dietro le sue spalle e me la porse "Aprila" disse "è un regalo come segno di una nuova amicizia". Mi sono rivolta con uno sguardo accigliato a quella scatola incartata con un foglio blu, su cui risaltavano figure dorate a forma di ruota. Ho aperto lentamente il pacco, mio padre, lusinghiero, mi incitava a fare presto, ad aprirlo velocemente, perché voleva vedere cosa ci fosse dentro, quasi come se lui non lo sapesse. Nel pacco ho trovato delle mutandine bianche di pizzo e una giarrettiera "E' il mio regalo, perché mia figlia è donna ormai". Già una donna, dentro di me non avvertivo nulla di diverso, mi strinse a se e mi guardò nello stesso modo con cui mi guardava la gente al parco, chissà che si potesse finalmente vedere la mia anima. Diedi un lungo bacio sulla guancia a mio padre.

Quel giorno mi diressi, per la prima volta convinta, da don Nicola, la riunione settimanale era iniziata da circa dieci minuti e così mi sono dovuta sedere sui pochi posti liberi rimasti, su una sedia in terza fila. Conoscevo solo pochi volti sparsi, tra le prime due fila, una signora tutta vestita in nero, un signore con i baffi e tre zitelle dai volti inespressivi. "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio" diceva don Nicola "avete mai riflettuto su queste semplici parole? Puro di cuore…i puri di cuore vedranno Dio, perché solo chi nella vita ha mostrato il suo cuore limpido e trasparente, solo chi è stato in misericordia con Dio, può vederLo, perché vedere Dio non s'intende osservarlo dopo la morte nel regno dei cieli, ma guardarlo e trovarlo in tutte le cose che ci circondano, nei fiori, nelle piante, nelle buone azioni, nella persona che c'è accanto" vicino a me c'era un signore dal cattivo alito. Faccio per alzare la mano, don Nicola mi guarda con fare severo, la riabbasso, credo abbia capito, sta a lui farmi parlare. "Esiste l'amore? Dio è amore, ma allora vi chiederete come mai tutto il dolore che ci circonda? Perché a soffrire sono sempre i buoni? Perché il mondo è pervaso da tante sofferenze? Chi può dirlo…il disegno di Dio è così grande ed imperscrutabile che alla natura umana non è dato capirlo". Don Nicola si ferma, un fremito di angoscia sembra stagnarsi sulle sue labbra, uno stupore repentino sembra accendersi negli occhi, mi guarda, indica con un dito appena curvato verso di me, la signora vestita di nero è la prima a girarsi per guardarmi, dopo di lei vedo tutti gli occhi delle persone scorrermi addosso, il signore con i baffi fa per sorridermi. Fum…..ffuumm…….fffffffuuuuum…….fummmmmm………inizia a fare il mio cuore, mi alzo dalla sedia, li anticipo "Cos'è l'anima? Potete vedere la mia anima? È così nera. Ho provato con una pistola a piantare i semi nella terra ma non è nato nulla, ho provato con l'irrealtà e il trascendente a spiegare la Vita. Cos'è l'anima? Nessuno l'ha mai vista, perché? Ma è chiaro che tutto quello che voi adorate non esiste o è tutto trasparente e nero, buio come la notte. Signora lei disprezza questa vita e rifiuta il mondo, si veste di nero per mostrare il suo lutto e piange perché spera presto di rincontrare il suo maritino, ma lui è morto, vi rivedrete all'inferno, a marcire sotto questa terra, mangiati dai vermi". Mi fermo, anche se un'onda di stupore mi colpisce gli occhi, corro a vedere, passo attraverso la retina, nuoto nella cornea. Due signore iniziano a piangere ed a pregare, il grande crocifisso resta sempre a testa bassa, don Nicola si fa il segno della croce minaccioso "Piccola Satana, come osi…" "cos'è il mio cuore? Chi lo ha mai visto?" gridai.

I giorni seguenti li ho passati quasi tutto il tempo in camera mia, con gli occhi incollati ad un computer o su un foglio bianco, facendo finta di studiare. Don Nicola aveva raccontato tutto ai miei genitori, che avevano preferito il silenzio. A tavola fingevano di mostrarsi sereni, si guardava la televisione come se niente fosse e si parlava distrattamente di qualche vicenda di cronaca. Poche volte mi lasciavano da sola in casa "Esco…torno subito" diceva mio padre davanti all'uscio della porta, come se il "torno subito" significasse che non voleva perdersi i miei pensieri, i miei movimenti, come quella guardia che controlla il carcerato 24 ore su 24, dormendo e mangiando accanto a lui e finendo per diventare lui stesso un prigioniero. Quelle poche volte che uscivo di casa da sola, perché a scuola mi accompagnavano, ritrovavo le mie cose in un ordine superficiale, ma sapevo che mio padre e mia madre venivano a rovistare tra le mie cose, tra i miei cassetti, per aiutare forse quella figlia dall'anima nera e così poco conformata a loro. Leggevano i miei scritti, ma non potevano leggere il mio cuore. Con il trascorrere dei giorni, fingevo sempre più di essere la brava bambina e così potevo uscire più spesso fuori, a leggere un buon libro. Un giorno indossai le mutandine di pizzo e la giarrettiera ed andai al parco, trovai una panchina libera, verde arrugginita, rovistai tra le mie tasche in cerca di un caramella, sfogliai la copertina cartonata del grosso libro, vidi distrattamente che un signore adulto mi stava osservando, seduto di fronte a me. I suoi occhi erano fermi, aveva le gambe accavallate, sincronizzate con il movimento delle braccia, di tanto in tanto il suo sguardo aveva brevi lampi verso una foglia cadente o un rumore di carta, sicuro, sembrava quasi entrare dentro di me. Lo avvicino "Riesci a vedermi l'anima?" Lui inizia a fare il gioco con me, si muove attraverso i miei piedi, le mie braccia, mi tira via la giarrettiera, passa attraverso i polmoni e si infila in un tunnel fin verso il mio cuore, lo osservo muoversi brusco e violento, come uno sparviero che conosce la sua preda e poi vola via. "Riesci a vedere dentro il mio cuore?" tento di guardarlo negli occhi.

 

II

"Dov'è la verità?" l'uomo che avevo di fronte si era chinato a testa bassa, guidava il suo piede verso un sassolino e con gli occhi cercava di spostare l'erba per terra.

Quando ho compiuto diciotto anni ho avuto in regalo una macchina, di solito sostituivo le mie giornate al parco con lunghe passeggiate in automobile, fumando da sola una sigaretta. Sono passati tanti ragazzi sul quel sediolino accanto, ma non ho mai avuto un amore fisso, o meglio le persone che ho amato sono state adulate fin troppo, fino alla paura dell'amore. Ho sempre cercato in fondo di amare, ma ripassando nelle vene il mio cuore rimaneva sempre chiuso, nessuno mai lo aveva visto. Tutti erano pronti a toccarmi, a parlarmi, tutti erano soddisfatti e se ne andavano, nessuno vedeva la mia anima. Del resto si ama o si odia con il solo cuore? "Anche con il cervello" diceva mia madre "anche con il cervello" e non era poi così sbagliato, un ascensore subito mi faceva passare dal cuore al cervello, velocemente. Ho continuato il mio gioco sempre più duramente, sono entrata in questa massa grigia, grigia e viscida ed ho iniziato a muovere le fila, a spaziare fra i neuroni impazziti a cercare un canale che collegasse la mia mente fino all'anima, attraverso il cuore. "Se solo ci amassi un milionesimo di quanto ti amiamo noi, sarei felice" mi ripeteva spesso mia mamma quando mi vedeva assorta sul letto, quei pianti nei suoi occhi me li faceva sul cuore. Non so perché mi prendeva la tristezza, quasi improvvisa, quasi per caso, di solito durante i miei viaggi nelle arterie o per la milza venivo risucchiata da tanti vortici ed ero spesso stanca. Mio padre ha iniziato a chiamare vari dottori, ma nessuno riusciva a trovare la malattia. "Passerà vedrà, deve solo rilassarsi un po', studiare di meno e prendere qualche boccata d'aria" una sera andò a comprarmi le medicine nel cuore della notte, perché mi ero svegliata senza respiro, ma avevo solo provato a vedere se ci fosse una via dal cuore al cervello, nascosto nella laringe.

Dov'era la verità nelle cose? Chi stabilisce cosa è giusto e cosa è sbagliato? Ho iniziato quasi per caso ad accompagnare i miei amici in ospedale, all'inizio ero molto timorosa per quell'odore, quell'aria, quelle voci che si sentivano nelle corsie, quei camici bianchi e verdi, quella puzza di pollo. Tututum……tum…….tututum…….tutum…….faceva il mio cuore, poi col tempo ci si fa una corazza, credo che ci si possa abituare a tutto, anche alle cose più inquietanti, così mi sono abituata alle grida di un'operazione, alla speranza rassegnata su un volto, al sangue, agli incidenti di un giovane, alla morte, credo. Attraverso una porta lo vidi entrare su una barella col volto sereno, troppo lontano, le braccia insanguinate e le gambe quasi contratte. Il suo nome era Roberto, un giovane odontotecnico che era caduto da una impalcatura di dieci metri. Roberto per pagarsi gli utensili dello studio dentistico aveva tentato di racimolare un po' di soldi iniziando a lavorare come muratore. L'ho avuto davanti ai miei occhi per più di 50 giorni, le piaghe da decubito lo ricoprivano di stimmate. Nessuno poteva fare nulla, erano tante, troppe, le scale da rispettare, le graduatorie di necessità per dargli una sistemazione decente. Con lui ho provato un gioco più pericoloso, Roberto era un cane vigile, poteva sentire tutto quello che gli dicevo, provava gioia e dolore, solo il filo che legava il suo cervello al cuore forse si era spezzato. Allora ho tentato di fare qualcosa, con grande sforzo mi sono piegata attraverso la mia mano ed ho toccato la sua, l'ho guardato negli occhi e sono entrata: dum……dum……dum……faceva il suo cuore. Mi sono mossa con cautela, ho attraversato la sua bocca, per arrivare verso le sopracciglia e la fronte, ho vagato per ore ed ore in cerca del filo spezzato criin…scriiin……scriiinnnn……faceva il suo cervello, sembrava assente. "C'è Qualcuno?" ho gridato, doveva esserci, c'è sempre una Verità in tutte le cose puf…….pufffffffff……..puffff……sussurrava il suo cuore. "Esiste l'anima?" urlavo dallo sconforto, sapevo che lui aveva delle risposte nel luogo in cui era, lo guardavo, con la mano nella sua mano "Vorrei darti il mio cuore, lo vedi?"

"Teresa vai a casa ora, sei così debole, non vorremmo che ti ricoverassi anche tu" mi fece una infermiera, io non riuscivo neppure a guardarla negli occhi per la stanchezza. "Il mondo è uno schifo, una grande ingiustizia" ha detto mio padre quando gli ho raccontato di Roberto. Probabilmente quell'Essere che ci ha messo al mondo ci ha lasciati soli, ha dettato le regole del gioco e poi si è dimenticato di noi. Forse aveva visto una donna passare e gli sarà caduta quella palla azzurra tra le mani. Cosa avrà detto? "Bah, era una delle tante, ne farò un'altra". Se dovevo credere in questo era meglio buttarmi nel nulla, piuttosto che pregare in ginocchio un crocifisso che non ti guarda negli occhi. Roberto stava sempre più male, ormai i medici gli avevano dato pochi giorni di vita, lo avrebbe ucciso la sua febbre che durava da giorni e che lo indeboliva sempre di più, ho provato a toccargli il polmone, ad arrivare fino alle orecchie, a parlare ai suoi neuroni, ma non riuscivo a muovermi nella sua corrente. E' strano ci domandiamo se esiste Qualcuno, ma nessuno si chiede che cos'è la Vita? Oppure cos'è la morte? Che poi in fondo è la stessa cosa. Le mani di Roberto diventavano sempre più fredde. Se la nostra esistenza finisse qui? Se dopo la morte non ci fosse nulla? Uccidiamo e litighiamo tra di noi, distruggiamo la natura e violentiamo i bambini, mandiamo a fare in culo uno che ci taglia col rosso e ci chiudiamo sui torti subiti, facciamo gli stessi errori e giudichiamo per una carezza, piangiamo e preghiamo Dio. E' così facile odiare, basta un colpo ad una pistola, un pugno chiuso, una parola detta male, ma è così difficile dire "ti amo". E se tutto finisse qui? Se il solo modo di rimettere i nostri peccati fosse su questa terra? Se poi l'ultimo bacio, l'ultimo abbraccio, l'ultimo sorriso, l'ultimo "ti odio", fossero davvero gli ultimi? Se poi il gioco fosse solo questa terra?

"Che cos'è la coscienza?" l'uomo mi guardava pensieroso, sapeva la risposta, conosceva la sua risposta, ma era curioso della mia, di cosa pensassi. Il suo volto sembrava severo, ma la posizione del corpo, delle mani, delle gambe, lo tradivano bambino, insicuro e timido. "Perché uccidiamo o perché non uccidiamo? Perché amiamo oppure odiamo?" Già, perché amiamo oppure odiamo? "La coscienza è non fare agli altri ciò che non vorresti sia fatto a te" risposi con una voce monocorde, dopo aver pensato per pochi secondi, poteva essere una risposta, una possibile verità. Perché voglio essere amato oppure odiato? Perché non voglio che mi uccidano? Potevo rispondere in tanti modi, ma questo lo aveva colto di sorpresa. Potevo dirgli che la coscienza è la legge dello Stato o la legge Dio, che non uccidiamo per un senso di colpa o semplicemente non amiamo per vendetta o perché non esiste un vero motivo. Tra tutte le infinite risposte, tra la miriade di scelte possibili, solo questa lo avrebbe stupito. L'uomo si ferma, giocherella un poco con delle foglie di melo, si sofferma a guardarsi le scarpe. Io ho un momento di tregua, per un attimo tento di scappare, di fuggire lontano. Il vento soffiava forte e portava nell'aria solo pochi odori.

Roberto stava peggiorando, i medici non avevano alcuna ragione per tenerlo in vita. "La vita di Roberto è affidata alla Provvidenza, solo le mani di Dio possono aiutarlo ormai. Ci vuole solo un miracolo, ci possiamo affidare solo alla Sua misericordia" Chi era quest'Uomo? Come poteva decidere l'ultimo nostro destino e darne il primo soffio? Io non avevo mai pregato, non sapevo neppure cosa si dovesse dire, ma lo feci, davanti a Roberto chiusi gli occhi ed iniziai "Padre nostro…" mi fermai. Ma un padre può togliere la vita a un figlio? Era assurdo che le fila del suo cuore erano nelle mani di una sola Persona. Pum……pum pum…….pum tum………..pum pum…….tum tum…….tum pum……..rideva il suo cuore. Sono uscita dall'ospedale con una ridda di sensazioni e di pensieri che mi attraversavano il corpo, ogni tanto mi accorgevo che c'era un incrocio e premevo il piede sull'acceleratore, controllavo che il telefonino fosse acceso e gettavo un'occhiata sulla riserva di benzina, mi toccavo una guancia, mettevo un braccio sul finestrino abbassato, lo aggiustavo per trovare la posizione più comoda, giravo una stazione musicale ogni dieci secondi e mi soffermavo solo sulle musiche più tristi. Dò un'occhiata al cielo distrattamente, è limpido e sereno e tra la nebbia di smog si distinguono le stelle illuminate dalla luna, già la luna, una nuvola nera le stava passando accanto "la coprirà, tra pochi secondi la coprirà di nero. "Scommetto che passerà giusto sopra di lei" ho pensato, distratta da questo inaspettato e curioso passatempo. La nuvola è salita sulla luna piena, si è deformata, ne vedevo chiaramente i contorni, "dai ancora uno sforzo", ma un puntino, solo un piccolo puntino giallo e luminoso rimaneva ancora scoperto, appena impercettibile, ma quel puntino di luce è durato, è rimasto, mi ha lasciato la speranza che la luna non fosse morta, che fosse sempre lì. C'era davvero tanto spazio nell'universo? Davvero una Luce può guidare il nostro cammino? Chissà, l'anima è nera solo se non viene illuminata, mentre può essere di qualsiasi colore, azzurra, rosa, gialla, perché no, turchese?

III

"Chi sei tu?" ho gridato all'uomo che avevo di fronte, avevo sempre più paura, mi ha guardato sempre più rosso in volto. La delazione delle mie parole era fin troppo evidente. Non so perché avevo risposto in quel modo, probabilmente per una forma di difesa. L'ho toccato con un dito, sono scivolata attraverso la mia unghia, a toccare il suo polpastrello. Avevo imparato a fare il gioco anche dentro gli altri, a sgusciare indisturbata attraverso le ossa, dentro la cartilagine, a scoprire l'anima. "Chi sei tu?" Il gioco si faceva sempre più duro e difficile. "Ascoltami" con la voce più disperata che avevo "ascoltami".

Dopo la morte di Roberto, ho lasciato l'ospedale, era così disarmante vedere morire un uomo sotto i propri occhi, sapere che si è impotenti, che resta solo il conforto delle proprie parole e non basta. Si è così soli con il proprio dolore, con le proprie incertezze e incomprensioni, vedevo il mondo muoversi davanti ai miei occhi e non ne capivo la logica. Ormai facevo passare quasi tutte le mie giornate distese sull'erba a leggere un grosso libro; la gente passava, qualcuno mi gettava un'occhiata di disprezzo, altri mi sorridevano avidamente, qualcun altro si sedeva accanto a me, poggiava la mano sulla gamba, mi toccava, ballava con me e poi se ne andava, io restavo sempre lì, immobile. A casa i miei genitori iniziarono a preoccuparsi "Teresa noi ti vogliamo bene, non vorremmo vederti così, con noi non devi avere sensi di colpa? quali sono i tuoi problemi, se non me li dici non possiamo capirti" mia mamma mi piangeva sulla spalla, mio padre invece si sedeva sulla poltrona e per tutta la sera leggeva il giornale. Quali sono le tue paure? Come posso aiutarti? Come posso liberarmi? Forse qualcuno ti ha fatto soffrire? Tu non esisti, rispondevo al mio cuore. Problemi. Gravi. Da lasciarsi morire. Quali problemi di fronte al dolore? Quali problemi di fronte a questa vita? Quali problemi di fronte alla normalità imposta al mondo? E tu gridi: non c'è Nessuno, non esiste l'anima, non esiste la vita che voglio. Stranamente anche i sogni pi belli si dimenticano al primo mattino. Piangevo accanto al mio cuore serrato. "Si aggiusta tutto" mi ripetevano i miei genitori "ogni domanda, anche la più ardua ha sempre una risposta, se noi vogliamo dargliela"

Sono corsa dritta verso il parco, ho girato al primo isolato, ho guardato distrattamente la vetrina di bambole, mi sono fermata dinanzi a quella porta socchiusa, erano le sei e cinque, la riunione con don Nicola era iniziata da cinque minuti. Non so perché ho aperto quella porta, perché mi sono seduta sulla sedia in terza fila, perché ho ascoltato cosa si diceva. Erano anni che non mettevo piede in una chiesa, erano anni che non vedevo don Nicola, da quando sono scappata dall'ultima volta. I volti erano tutti nuovi, non ne conoscevo nessuno, tranne il signore con i baffi, che mi ha guardata perplesso, voleva fare per salutarmi, ma probabilmente stava mettendo ancora a fuoco il luogo in cui mi aveva vista per la prima volta. I posti erano tutti occupati, restava vuota solo la sedia dove mi ero seduta, accanto avevo una ragazza di quindici anni, forse anche lei era arrivata in ritardo o era troppo timida per aprirsi in prima fila. Restava con le mani giunte sopra il lungo vestito che le copriva appena le caviglie, non si è neppure accorta che mi ero seduta vicino a lei, aveva solo scostato la sedia per farmi passare, quasi automaticamente, senza alcun moto di consapevolezza. Don Nicola mi ha guardata stupito, si è fermato quasi, ha ripreso subito a parlare e la gente non aveva letto la sua tensione. Era molto invecchiato dall'ultima volta, le mani tremavano e sedeva stanco, quasi all'altezza del mio cuore. "…la natura, le cose, il creato si muovono sotto i nostri occhi e disegnano tracciati imperscrutabili a cui solo una grande sensibilità è dato intuire. Dov'è Dio? Dov'è Dio in tutte le cose che facciamo? In un fiore? Sulla luna? Su di un albero? Sul volto dell'uomo che passa per strada? Nel nostro cuore?" la ragazza accanto stava sorridendo " Già, probabilmente non possiamo vedere Dio, non potremmo mai vederlo in tutta la nostra vita, ma possiamo godere dei suoi frutti, non potrà lenire il nostro dolore ma può sostenerlo, può condividerlo con noi. Il mondo è cattivo, direte voi, il mondo sembra essere senza Dio, sembra non avere giustizia, un'esatta misura delle cose. Soffriamo perché nel mondo c'è tanto dolore, ma perché non esultiamo perché c'è anche tanto amore? Ci chiudiamo in noi, non siamo compresi, vediamo il mondo diverso dai nostri sogni, è così facile rattristarsi ma perché è tanto difficile sorridere? Perché odiamo? Perché tanto dolore? Ma allora perché amiamo? Perché tanto amore? Sta a noi scegliere. A noi la chiave del paradiso e dell'inferno, a noi e tra noi uomini la scelta tra il Bene ed il Male. E' troppo facile corrugare la fronte e piangere, subito dopo pregare. Ama il prossimo tuo come te stesso" "Ama il prossimo tuo come te stessa" mi sono ripetuta uscendo dalla chiesa, perché era così difficile crederci? Ama, come te stessa, il prossimo, tuo. Te stessa, ama, come il tuo prossimo. Come il prossimo tuo ama te, stessa. Ama come il prossimo tuo ama te.

"Chi sei tu? Perché fai queste cose? Sei un mostro. Anche io…" mi dimenavo, mi battevo dentro il suo corpo, l'uomo mi guardava, voleva sorridermi, voleva dirmi qualcosa. "Io voglio bene a Teresa, vorrei tanto abbracciarla, sussurrarle: non temere, il tuo papà è qui con te. Non importa cosa pensi di me, io le voglio bene". Ho notato che aveva gli occhi azzurri, non me ne ero mai accorta per tutto questo tempo, aveva gli occhi azzurri come i miei. "Quali sono i tuoi segreti? Cosa nascondi?" ho detto al suo cuore "Chi sei tu?" mentre mi avvicinavo ai nostri cuori. Dum……dum……dum……dum……perché odiamo? Pum……pum……pum……pum……l'ho guardato negli occhi. Ho provato vergogna. Puf…….dum……tummmm……puffffff…….tututum………pum………..qual è la lingua del cuore? Tum…..puffff,,,,,,,sbluffffff…….senti il mio cuore? Ne vedi l'anima? Vedo la tua anima? Riconosco il tuo cuore? Tutum……tutum…….tutum………tutum………tutum……… "Io ti amo".