Luca Giambonino

Curriculum letterario:

- Ho collaborato con il giornale della mia città "Il Saviglianese". Ho seguito il corso di scrittura creativa organizzato dal comune di Torino proposto dall’Osservatorio Letterario Giovanile, cui sono iscritto dal 1995. Ho partecipato al concorso letterario "Racconta la tua città" (1996) sono stato selezionato e pubblicato sul quotidiano "La Stampa" di Torino (il concorso era organizzato dal Premio Grinzane Cavour). Un racconto e varie recensioni di miei scritti sono apparse sul bimestrale letterario di Roma "Storie", un mio racconto è stato pubblicato sulla rivista settimanale culturale "Giovane" di Pavia. Nel 1999 ho vinto il concorso letterario "Nuove Lettere" indetto dall’Istituto Italiano di Cultura della città di Napoli. Collaboro dal 1998 al progetto Manuzio dell’Associazione Culturale Liber Liber di Roma, per cui mi occupo della creazione di e-texts, ovvero copie elettroniche dei classici della letteratura italiana e non. Ho realizzato e-text di "Ciascuno a suo modo " di Pirandello e del "Nerone" di Pietro Cossa. Sto realizzando copia di opere di Corneille, Gioberti e Giuseppe Cesare Abba.

Sono creatore di un sito letterario culturale Grottesco-Grotesque che pubblica racconti on-line. Il sito ha indirizzo: http://www.geocities.com/SoHo/Village/6468/

Alcuni miei racconti ed un romanzo breve sono pubblicati in rete, un paio sul sito del Comune di Torino.

I

In macchina cerco di calmarmi, ma con esiti scadenti. Batto ripe-tutamente il palmo della mano sul volante. Do un violento pugno contro il vetro.

Accosto.

Chiudo gli occhi.

- Cazzo! Cazzo! Porco stramaledetto cazzo!

Il paraurti è fracassato. E quel maledetto coso verde sta morendo sull’asfalto, qualche chilometro indietro.

- Che dovrei fare? Raccoglierlo?

Non riesco ad altro che a pensare a quel coso verde che salta fuori dal fossato e mi si getta sotto il paraurti. Un volto enorme rotondo, gonfio. E quegli occhietti lucidi e viola. Sbang! Tramortito dalla station vagon.

Vorrei che Emil fosse con me. Ma quello stronzo se ne è andato via per il weekend. Poi che farebbe, pure lui? Probabilmente si tirerebbe un quintale di neve, tanto perché il cane bianco, come dice, gli abbai dentro e se ne uscirebbe:

- Wow (o uau). Che roba Lisa! Un cazzo di marziano sotto la station!

Ecco quello che direbbe quello stronzo di Emil.

Non so perché metto la retro. Forse per curiosità di sapere se è ancora vivo quel marziano. Marziano. Non è detto che sia un marziano... E se è un bambino scappato da una festa in maschera? No, no, impossibile. Non c’è una casa da nessuna parte lí attorno.

Pochi minuti e sono sul luogo del delitto. Delitto. In fondo è solo un incidente. Uno stupido incidente. Forse dovrei dirlo alla polizia. Mi faranno pagare una multa. No... no meglio lasciare stare, cazzo se è un marziano, magari fuggito da un laboratorio segreto... ora forse lo staranno cercando... e magari cercheranno di tappare la bocca ai testimoni. No. Non dirò niente. Me ne starò calma, andrò a casa e mi farò una doccia. Poi berrò due bicchieri colmi di vodka e mi metterò a guardare un film, magari Grosso guaio a Chinatown, o qualcosa del genere.

Quell’affare è ancora a terra. Non si muove, non respira. Non dà segni di vita. Morto. Kaput.

La festa è stata bella. Ma durata troppo. Ero stanca. E quando me ne sono venuta via ci ho messo mezz’ora a trovare l’auto. Il rosso ha fatto effetto.

Non scendo dalla macchina. Non mi va di vedere quella cosa da vicino.

Basta. Quello che è fatto è fatto, è inutile che stia qui a piangere e preoccuparmi. Se è vivo domani i giornali non parleranno di questo, se è morto ne parleranno. E forse qualcuno della sua gente verrà a riprenderselo. Sí... mi aspetto che l’astronave scenda. Forse mi uccideranno! Meglio andare via. Meglio telare di fretta.

Mezzo’ora dopo sono a casa.

Emil ha lasciato un messaggio in segreteria:

- Allora... senti... io sono qua... il tempo mi sembra a posto anche se piove... adesso vado.

Cancello il messaggio. Mi svesto. Mi metto sotto la doccia subito. Ci rimango per un bel po’. Profumo di pulito, quando esco. Sono pulita. Ho ammazzato un alieno.

Mi faccio la prima tazza di vodka.

Metto un film. Grosso guaio a Chinatown.

Cerco di dimenticare tutto. In fondo, mi dico, cosa mai avrei potuto fare... metti che uno investa un alce. E’ lí morto... che fai? Lo prendi, vai dalla polizia? No. Lo lasci lí dov’è. Basta. Giochi chiusi, è morto finito.

Eppure quello non è un alce. No, è un alieno, un alieno schifoso. Un’intelligenza extraterrestre! Uno con l’astronave, va a sapere.

Ma poi che intelligente! Cazzo questo no di certo, non ci si butta sotto un’auto in corsa se si ha un minimo di intelligenza.

E’ dopo la seconda tazza di vodka che realizzo ciò che forse quell’alieno voleva. Incredibile. Si è buttato di proposito sotto la mia macchina. Si è suicidato. Tutto qui. Quell’alieno strafatto si è ucciso.

Non mi va certo che quella roba abbia scelto proprio la mia auto per suicidarsi ma in fondo che ci posso fare io ora. Penso che se anche uno decide di uccidersi facendosi investire da un tram la colpa certo non è del tramviere. La colpa non è mia.

Bevo la terza tazza di vodka. Accendo una paglia. Tiro tre note con forza. Poi prendo il telefono e compongo un numero. Ci vuole coraggio a volte per fare certe cose.

- Mamma... ciao... sí... scusa sono le quattro lo so... mamma mi è successa una cosa orribile... è morto...

Mia madre urla qualcosa di sconnesso. Inizia a piangere. Pensa che sia morto il cane.

- No mamma non è morto il cane, sono io... ho ucciso un alieno... un alieno si è gettato sotto la mia macchina... cosa?... della vodka... no mamma no non sono affatto ubriaca... mamma? fottiti!

Le sbatto il telefono in faccia... Lo riprendo. Faccio il numero:

- Scusa.

Le dico. Risbatto il telefono al fondo del tappeto.

Mi scarico sul divano. Credo di essermi addormentata poco dopo.

II

- Buon giorno. Sto cercando una ragazza bionda, viso abbronzato, lungo.

Fa vedere un tesserino.

Sembra un poliziotto, qualcosa del genere insomma. Non sa che fare. Che gli dice? Il ritratto è tutto quello di Elisa Partecchio detta la Lisa. In che razza di casino si è messa, ora!

- Sí. Qui abita una ragazza come lei l’ha descritta. Ma... non so se sia in casa ora.

- Ah è uscita?

Non sa che fare. Che gli dice?

- Credo. Non so. Comunque sta all’interno numero 7. Provi a suonare, piuttosto.

Il tipo in impermeabile verde va per il corridoio verso l’ ascensore. Preme il pulsante. Sale.

Il portiere alza la cornetta.

- Signorina Lisa... sí, sono Geremia. Sta salendo da lei un tipo strano... non so chi sia... cercava di lei, credo. Bene. Se ha bisogno comunque prema il pulsante di chiamata... va bene, buonasera.

Suono di campanello nel corridoio del quarto.

- Chi è?

- Signorina Partecchio?

- Sí?

L’uomo prende dalla tasca un tesserino nero. Su c’è scritto qualcosa di strano. EnTe GoVeRNaTivO AlIEnI.

- Lei ha fatto una cosa di cui potrebbe pentirsi...

Non so a cosa si riferisca.

- Apra, per favore.

Tentenno.

- Vorrei solo farle qualche domanda circa l’incidente.

Apro la porta. L’uomo entra. Si dirige subito verso il divano, nel centro della sala. Si siede.

- Gradirei un drink.

Dice, mentre controlla qualcosa su un taccuino giallo.

Glielo servo. Beve. Che diavolo vuole? Che stramaledetto diavolo vuole?

Mi contengo o esplodo.

- Che vuole da me?

Posa il bicchiere dopo aver trangugiato metà del martini.

- Non avrebbe dovuto investire quell’alieno.

Mi siedo. Sanno tutto. Loro sanno tutto.

- Io non ho investito proprio niente. Quel figlio di puttana mi si è fiondato sotto. E questo è tutto.

Bevo il goccio di vodka che mi sono preparata. Prendo coraggio.

- E ora se non c’è altro vorrei che se ne andasse, altrimenti chiamo il mio avvocato. E ve la vedrete con lui.

Non dice nulla. Non subito almeno. Prende un cellulare, chiede se non mi dispiace che telefoni. Lo lascio solo. Qualche minuto dopo me lo ritrovo davanti, in cucina.

- Ha preso qualcosa?

Mi chiede. Ha l’aria seria.

- Qualcosa?

- Sí. Dall’alieno.

- Non sono nemmeno scesa dalla macchina. Che diavolo avrei dovuto predere? No no. Me ne sono scappata via.

Sorride.

- Sí, ma poi è tornata indietro.

Sanno tutto. Sanno davvero tutto.

Non mi perdo d’animo. Quarantudue gradi d’acqua di madre russia fatta in cina darebbero coraggio persino a una suicida.

- Sí. Poi però sono venuta via... no?

Non aggiunge nulla.

Torna a telefonare. Intanto mi avvicino alla cassettiera della cucina. Mio padre ci teneva una beretta.

Rientra. Va bene, mi dice. Poi se ne va.

Ho le mani che tremano. Aggiungo vodka alla vodka. Accendo una sigaretta.

Che diavolo staranno cercando?

Suono di telefono.

- Pronto?

- Signorina Lisa.

- Sí?

E’ Geremia. Il portiere.

- Tutto bene?

Guardo il ricevitore. E’ una tale chioccia quando mia madre non è a casa!

- Sí. Sí.

Non mi chiede quello che voleva quell’uomo. Tanto non gli avrei detto nulla. Lo saluto e lo ringrazio per l’interessamento.

Finisco di bere. Mi siedo sul divano. Dovrei uscire. Ho appuntamento con una amica, al caffè, qui all’angolo. Alle otto. Sono le sette e mezza. Tremo meno ora.

Mi preparo. Esco.

Arrivo.

- Ciao.

Rebe ha sempre lo stesso sorriso. E’ un secolo che non la vedo.

- Ciao, re.

- Allora?

- Eh, sapessi.

Mi offre da fumare. Accetto.

- Allora come va con Emil?

- Emil... quello stronzo se n’è andato via...

- Ma avete...

- Rotto? No no.

La conversazione va avanti su quel tono per un’oretta. Poi sloggiamo. Rebecca vorrebbe andare al ristorante, ma dico che non sto tanto bene e me ne torno a casa. Nel cervello mi frulla solo quel tizio, il suo tesserino e le domande. Che diavolo avrei dovuto trovare? Non aveva niente... almeno mi sembra.

Passo dal garage. Non ho voglia di vedere Geremia. Entro. La mia macchina è lí. Il paraurti non è tanto malridotto. Credo che mia madre non noterà la differenza. Sto per salire con l’ascensore quando vedo una cosa luccicare sotto l’auto. Sotto il paraurti, attaccato ad esso.

Mi avvicino. E’ un congegno azzurrognolo, tutto pieno di tasti e con una lucetta intermittente. E’ un cubo.

Ecco quello che stanno cercando! Lo metto nella borsetta. Salgo su.

Che sarà?

Provo a pigiare qualche tasto, ma non succede nulla. Quando faccio pressione sulla lucetta da una faccia si stacca una sottile lamina di metallo, sembra un piccolo telecomando, adesso. Ci gioco un po’. Smetto. Lo lascio su un tavolino.

Vado in bagno. Ho una faccia smorta. Devo smettere di bere vodka. Mi lascia la pelle in uno stato schifoso. Per non dire dello stomaco.

Mi preparo uno scotch. Sorseggio lentamente. Non so se quelli torneranno. Non so nemmeno dove contattarli per restituirlo. Restituirlo! A chi? In fondo è dell’alieno. No. Se tornano glielo do. Ok. Se no, no.

Accendo la tv. Su un canale trovo un tg flash. Un oggetto è apparso nel cielo ha fatto delle piroette, ha sfasciato tre antenne paraboliche, nelle campagne, poi è sparito. Tutto è successo in pochi secondi.

Squilla il telefono.

Rispondo.

- Pronto?

- Deve restituircelo. Farà dei danni. Non sa come funziona.

Quindi è quell’affare che ha fatto tutto ‘sto casino!

- Sí.

- Vuole che veniamo a prenderlo?

- No.

- No?

- No.

- Allora potremmo incontrarci al caffè, dove è stata con la sua amica. Oggi.

Mi seguono pure. Bene. Scatta in me una molla.

- Bene. Quanto?

- Scusi? Ha detto quando?

- No. Ha capito bene: quanto?

- Quanto!?

- Quanto pagate per riaverlo.

Perché dovrei darlo gratis?

- Sai che potremmo farti arrestare, troietta?

- Sai che sto registrando, stronzo!

Sento un’imprecazione.

- Aspetta.

Ovviamente non sto registrando nulla. Ma credo che sia ora di mettere a frutto dieci anni di film gialli ogni Giovedí e Venerdí sera. I miei se ne strafacevano. E fino ai ventidue me ne sono strafatta anch’io. Poi, da un’anno, ho smesso. Sarà che i miei si sono separati.

- Cento.

Rido.

- Centomila? Ma te sei scemo!

- Milioni. Milioni!

Dice con voce incazzuta il tipo all’altro capo del filo.

Aspetto un secondo. Questi fanno sul serio. Cento milioni. Gli dico di darmi un numero di telefono a cui richiamare. Tutti aspettano una propria occasione, nella vita. Credo che la mia sia arrivata proprio adesso.

Mi danno il numero di un cellulare. Entro mezz’ora li avrei richiamati.

Mi verso una vodka. Ho deciso che smetto un’altra volta. Mi accendo una sigaretta. Telefonerei ad Emil, ma presumo che sia sotto acidi. E tanto non mi crederebbe.

Non so davvero che fare. Potrei chiedere mezzo miliardo... sí, questo è sicuro. E loro tratteranno. Perciò chiederò un miliardo. Mezzo me lo danno di certo.

Non so... e invece non avere un soldo e sapere cosa è quest’affare, cosa ne faranno... chi sono gli alieni... e dove sono... ci stanno invadendo? ci uccideranno? perché siamo nati? dove andremo?

Ci penso per un po’.

Prendo il telefono. Compongo il numero. Attendo qualche minuto. Risponde il tizio.

- Voglio un miliardo.

- Cosa? Sei pazza!

- No. Ho chiamato l’avvocato. Ho preparato un documento.

Aspettare, dice di aspettare. Risatine di sottofondo.

- Non hai chiamato nessuno...

Dice ironicamente.

- Ho un cellulare anch’io.

Dico io.

Imprecazioni a non finire. Se non fosse che sono di buon umore li avrei già mandati a fare in culo ‘sti sciallati.

- Posso arrivare fino a mezzo. Non di piú.

Eh eh. Viva i gialli del Giovedí e Venerdí sera!

- Ma... se... forse...

La tiro per le lunghe solo qualche minuto.

- Sí. Va bene.

Dico.

Al caffè.

- Cosa ci farai con tutti quei soldi?

Chiede il tizio coll’impermeabile verde.

Giro il cucchiaino nella tazzina. Sorseggio il caffè. Non so nemmeno cosa dire. Non ci ho pensato. Non avevo bisogno di soldi.

- Forse mi comprerò una riserva di vodka per sei mesi. Magari mi faccio una crociera. Chi lo sa?

Sorride.

- Da sola?

Abbiamo già fatto il cambio. A loro il congegnetto marziano a me i soldi.

- Che ti frega?

Sorride di nuovo.

- Credo che mi licenzieranno...

Dice. Si guarda un po’ intorno.

E’ un bel tipo. Meglio di Emil.

- Ah sí?

- Sí.

Mi lascia il suo numero di casa. Forse lo richiamo, forse no.

Gli dico che non ci credevo agli alieni, prima.

Sorride.

- Sai una cosa, Lisa?

- No cosa?

- Gli alieni non hanno mai portato fortuna a qualcuno piú che a te!

Dice. Rido. Mi alzo. Me ne vado. Di certo ha ragione. Di certo ha proprio ragione.


La denuncia

- Le assicuro che io ho presentato una denuncia. Dovrei solo passare a firmare.

- Qui non è arrivato nulla. E ora, mi scusi, ma ho da fare.

Mise giù il ricevitore.

Cosa cavolo succede, pensò. Compose un altro numero, chiese dell'avvocato L***.

- E' in vacanza. Starà fuori più di un mese.

Scosse il capo e si alzò dalla poltrona. Sotto alcune auto stavano entrando nel garage. La strada era deserta. Era quasi sera.

Qualcuno suonò alla porta dell'ufficio.

- Il signor Erbo?

- Sì.

- Sono Eugenio R*** della S. Unlimited. Dovrei parlarle.

- Si accomodi.

Spense la luce nell'ingresso e accompagnò l'uomo nell'ufficio.

- Scusi l'ora.

Fece quegli, poi aggiunse:

- Lei ha impostato certe lettere contro la S unlimited?

La domanda fu brusca. L'uomo sorrideva, condiscendente.

- No, che io sappia.

- Saremmo disposti, proseguì l'altro senza dar peso alla sua risposta, ad aiutarla.

- Aiutarmi? Credo che ci sia un malinteso.

L'altro sorrise e accese da fumare.

- Nessun malinteso... Dicevo, saremmo disposti ad aiutarla... non sta cercando di ampliare il giro d'affari del suo studio?

Egli chiese come diavolo facesse a sapere di quello.

- Non ha importanza. Lo so e basta. Se per lei va bene, potremmo versarle, e scrisse

una cifra su un foglietto, su un suo conto o qualcosa del genere insomma.

Erbo non rispose nulla.

- E sua figlia... sua figlia non ha deciso di lavorare per la Xently... Io conosco molto bene...

- Senta, io non so cosa lei voglia.

- Lei non è Carlo Erbo?

- Sì.

- Non ha denunciato alcune...

E non finì la frase.

- No.

- Allora mi sono sbagliato io. Come non detto. Questo, comunque, è il mio biglietto da visita.

Lo accompagnò alla porta.

- Mi saluti Elli.

Disse poi, uscendo.

Egli richiuse la porta. Si lasciò andare sulla poltrona vicina. Elli era sua nipote. Non viveva in Italia.

Prese il ricevitore e compose il numero della figlia maggiore, Anna.

- Ciao... tutto bene? Ah, niente, scusa... così... volevo solo sapere se... Sì, allora ci sentiamo la settimana prossima, ciao.

Guardò il biglietto da visita che gli era stato dato. Si distese per qualche istante. Sarebbe potuto andare a casa.

Squillò il telefono.

- Pronto.

- E' Erbo? Sì? Bene. Allora, sarebbe il caso che lei andasse dal sig. F*** della S. Unl. Lei non si preoccupi, e vada a trovarlo. Così risolverà tutta questa brutta faccenda. Ah, la sua macchina potrebbe avere le ruote a terra, ci dia una gonfiata ogni tanto. Conviene.

- Che diavolo vuole lei?

- Non ha impostato certe cose lei?

Erbo mise giù il ricevitore con violenza.

Prese le chiavi e uscì dallo studio. La macchina era nel garage. Le ruote erano a posto.

La segreteria a casa aveva due messaggi. Uno della moglie, l'altro di un tale Frezza che desiderava consultarlo per una questione delicata che aveva a che fare con il signor F*** della S. Unlimited.

Fece una rapida cena, si cambiò e andò verso il campo da tennis. Flavio non c'era. Non poteva tenere il campo impegnato così dovette tornare a casa.

La mattina seguente arrivò in ufficio in ritardo.

La segretaria lo avvertì che c'era un certo signor Frezza che lo attendeva.

- Buon giorno.

Dissero entrambi.

- Forse sa già cosa le devo dire...

- No

Mentì egli.

- Mi è capitata la sua stessa esperienza.

Lo squadrò interrogativamente.

- Per la denuncia intendo.

Egli strinse i pugni e si fece forza per non scaraventarlo fuori.

- Il problema è che lei, caro Erbo, dovrebbe anzitutto considerare i fatti. Primo valutare se ne vale la pena, sencondo andara del sig. F***. Così potrà chiarire l'intera

faccenda ed evitare a lei e ad altri ogni preoccupazione.

Egli lo guardò come se fosse immondizia.

- Fuori di qui, grazie.

L'altro si alzò, un poco offeso, e gli porse un biglietto da visita.

- E' l'indirizzo a cui potrà trovare il sig. F***. Non necessita anche di un consulente finanziario?

- No. E ora se ne vada.

L'altro usci farfugliando qualcosa.

Stava per bruciare quel biglietto da visita e l'altro quando l'occhio gli cadde sulla foto. Quella sulla scrivania. Mise quel pezzo di carta in tasca e, chiamata la segretaria, avvertì che sarebbe stato assente quel pomeriggio. Se ne andò.

- Quella cosa è pericolosa semplicemente perché getta discredito su persone che non hanno colpe, a mio avviso. E' così. Consideri anche, che certe altre persone per avere confidenza o confidenze con quelli che lei vuole vedere in carcere sono disposti a molto, per loro è pane (sennò come si fa a sapere chi mettere in gabbia e chi no?)

S'interruppe e accese una sigaretta oblunga.

- Dicevo, per avere queste confidenze ci mettono anni, e poi arriva lei e manda all'aria tutto questo castello. Ora capisce che questa situazione non è corretta, non andrà avanti ancora per molto. Lei può rimettere tutto a suo posto, e in più...

- Io non so di cosa lei stia parlando.

Egli sorrise e aggiunse:

- Diciamo che, allora, da una parte ci siamo noi, come S. Unlimited e quelli che vengono chiamati piedi piatti, no, quelli che ricevono confidenza, non so se mi spiego. E quei signori che lei vuole vedere in galera sono utili a modo loro. Danno soldi a noi per l'affitto dei territori su cui transitano e danno aiuto alla polizia, e a lei... a lei potrebbero creare non pochi pasticci. Non solo loro, ovviamente non solo loro, non so se mi spiego?

- Assolutamente no.

- Ah, è così? E allora diciamo che qualcuno potrebbe scavare una bella fossa con il suo nome sopra oppure, oppure, oppure, oppure farle certi regali di modo che la sua memoria per ciò che riguarda tale faccenda svanisca e si appunti su altre cose...

E i regali potrebbero anche essere molto, molto consistenti, non so se mi spiego?

E poi, mi scusi, ma di certe cose se ne devono occupare solo persone con più esperienza, non so se mi spiego!

- Caro signore, lei conosce la costituzione vigente in questa repubblica? Conosce i reati di ricatto, minaccia o corruzione?

- Se la mettiamo su questo tono...

- No, no, lei si infili pure i suoi regali e il suo tono dove meglio crede. A me non frega un accidente se la sua società, i suoi politici, la polizia appoggia dei criminali piuttosto che sbatterli dietro le sbarre. Non me ne può fottere di meno. Quelli violano la legge e commettono reati. Se si è così decaduti che per confidenze e denaro illecito si tiene fuori di galera chi delinque, bene che lo si faccia pure, ma non con il mio aiuto. Pattume umano della sua risma, caro signore, non so se mi spiego, dovrebbe essere passato al muro!

Si alzò e se andò.

L'altro urlò qualcosa come lei ha una famiglia, se ne ricordi.

Egli lo mandò affanculo.

Qualche ora dopo, a casa, iniziano ad arrivare numerose telefonate. Tutte identiche.

Inserisce la segreteria. Si versa da bere e prende un giornale. Legge per un po'.

Quel mercoledì si presentò alla porta dello studio un giovane. Disse di venire per conto della S. Unlimited. Aveva un incarico per il signor Erbo.

Appena entrato nell'ufficio disse che volevano ingaggiarlo per alcune consulenze.

Prese dalla tasca un assegno e fece per porgerlo ad Erbo, prima però aggiunse:

- E questo chiude ogni cosa.

Erbo annuì. Prese l'assegno e senza guardarlo lo bruciò con l'accendino.

- Fuori dalle palle, immondizia.

Quella sera la macchina del signor Tommaso Erbo ebbe un incidente.

Tommaso Erbo perì.

Alla lettura del testamento, redatto alcune settimane prima, non fu poca la sorpresa. Veniva descritta per filo e per segno la sua possibile fine. Venivano citate persone, date, luoghi, venivano acclusi dischetti, lettere, fotografie e nastri. Venivano denunciate persone, tra commercianti, professionisti che avevano taciuto alcune verità per evitare di finire in carcere. Venivano denunciati ufficiali delle forze di polizia che avevano taciuto numerose verità piuttosto per evitare il carcere. Venivano denunciati uomini politici che avevano taciuto per evitare di finire in carcere.

Quella sera, una settimana dopo, vi furono un paio di arresti. Dalla tomba del signor Erbo salì una grassa risata. Sul testamento, in fondo, a epifonema era scritto:

<< Se non prima almeno dopo qualche pattume umano in meno ci sarà, ah, ah, ah.>>