Andrea Malabaila

Sono nato a Torino nel 1977 sotto il segno del Toro. Tutto lasciava presagire ad un futuro granata, ma i romantici contrasti del bianco e del nero mi hanno fatto crescere juventino al 100%. A Torino vivo e studio Scienze della Comunicazione. Collaboro con la rivista letteraria "Prospektiva" e ho pubblicato racconti su antologie e riviste. Nel 2000 ho pubblicato il mio romanzo d’esordio, "Quelli di Goldrake" (Michele Di Salvo Editore). Il mio scrittore preferito è J.D. Salinger. Il mio sito è alla pagina http://space.tin.it/io/amalaba

lei

Il bestione giallarancio su rotaia forse sta già tagliando Valperga Street, ma io non riesco a guardare fuori, non posso staccare gli occhi da un altro paio di occhi, due pupille maliziosamente femminili che mi smorzano il fiato, s’insinuano nei minoici labirinti del mio cerebroprocessore, mi fanno pregustare i dolci effetti collaterali, semiparalisi alle gambe e amnesia totale, quasi un’ipnosi da foglia di loto per dimenticare la mia missione impossibile. Sento a malapena lo sferragliare un po’ arrugginito, il dondolio strattonante e nervosissimo, il mio sistema vestibolare è in panne, cadrei sicuramente se non interpretassi la parte del manzo nell’hamburger tranviario municipale, stretto nella morsa di zaini&borse, senza possibilità di muovermi e fuggire da lei. Non ho atteggiamenti ammiccanti da testimonial-playboy degli aperitivi, eppure il più bel viso dell’europea città di Turin è rivolto verso di me, miracolosamente verso di me.

Una frenata più brusca spacca la calma afosa d’inizio estate, vengo trafitto da un carciofo sporgente, una stonata sinfonia di scuse non fa che aggiungere disturbo ai miei sensi catalizzati, tutti per uno e la vista per tutti.

 

Lei per fortuna è sempre lì, con i suoi tratti perfetti, il sorriso ingenuo e assassino, autentico totem d’immagine e immaginazione. Vorrei perdermi, respirare tutta la femminile essenza che mi piove addosso in minuscole particelle. Non saprei già più dove mi trovo, se non sentissi lo stanco tlik-tlak del congegno obliteratore e le grida di qualche raro turista che si accorge di aver sbagliato fermata, ché quella è inequivocabilmente la rigogliosa flora di Valentino Park. Il bestione giallarancio scoda in uscita di curva, saluta D’Azeglio Street e s’immette nella zona di Colombialand, tratto preferenziale per gli scambi poco culturali tra spacciatori e tossicomani. Davanti alla mia faccia allucinata, lei continua a fissarmi ed io a fatica riesco a mantenere un contegno da viaggiatore consumato, cerco di stringere forte il mio telecomando cerebroneuronale, ma ormai ne sono inconsciamente sicuro: il delirio mi ha avvolto la carne e adesso inizierà a stringerla fino a soffocarmi. E dire che sono quasi arrivato, il bestione su rotaia ha già imboccato Cairoli Street ed opposto a me si staglia, invisibile ai miei occhi prigionieri, il limaccioso Po River. Probabilmente farò la fine del Dorando Pietri di olimpionica memoria, crollerò ad un passo dal traguardo, vivrò di rimpianti e rimorsi, ma intanto mi godo la mia venere bionda, sorseggiando la gioia dal suo viso di cristallo. Sono rapito come certi pittori romantici di fronte al mare in burrasca, come certi mistici nei contemplativi giorni di digiuno, come certi appassionati di basket che rivedono alla tivù le azioni spettacolari di Michael Jordan. I pensieri al gusto di delirio sono ormai il piatto principale del menù cerebrale, e quasi non mi accorgo di nulla quando il bestione urta qualcosa di metallico. A quanto pare una berlinetta ha centrato in pieno la fiancata della nostra barca tranviaria, e ora tutta la ciurma invoca santi e madonne per quel disgraziato rimasto gambe all’aria, imprigionato nell’auto capovolta. Io non muovo una cellula, rimango impassibile dirimpetto alle pupille maliziosamente femminili, quasi contento che saremo costretti a rimanere nel bel mezzo di Vittorio Square per altri lunghissimi minuti. Si mormora che il pirata della berlinetta sia ancora vivo, e lo si fa con un certo disappunto, ché neanche oggi non si avrà nessun evento straordinario da raccontare a casa o meglio ancora al tigì. La fauna tranviaria ulula il proprio scontento, c’è chi arriverà tardi al lavoro, chi a scuola, chi al mercato della frutta, chi a Bogotà. Io sono l’unico tranquillo nella bolgia infernale, finché c’è lei è meglio del paradiso, penso. E’ tardi, tardissimo, troppo tardi per giungere in tempo utile all’university, non potrò ultimare la mia missione, ovvero l’esame di psicologia, ma tanto era impossibile, non avevo studiato, non sapevo nulla, ero preparato come un canoista ai mondiali di equitazione. Intanto nella nostra stipata stiva bollente inizia il valzer del panico: i più agili minacciano di tuffarsi dai finestrini, i più informati minacciano querele, i più robusti minacciano e basta.

Infine, si riparte. In fondo a Vittorio Square si staglia una gigantografia con lei in tutta la sua provocante bidimensionalità. Reclamizza non so quale profumo. Intorno a me il solito odore umano, troppo umano.