Sandro Verderio

Luogo e anno di nascita: Cantù (CO) il 24/1/1971
Pubblicazioni: nulla di ufficiale, solo su WEB
Altro: laureato in matematica a Milano, di professione programmatore.
Mettiamola così: dagli e dagli con la matematica e i numeri, con i computer e il software, ho sentito il bisogno di cercare la mia isola del tesoro per evadere. L'ho trovata: la scrittura. Il racconto "Nel nome dell'Arte" è stato scritto "di getto" in una notte particolare. Buona lettura.

NEL NOME DELL’ARTE

Arte: esiste forse una parola migliore? Ed esiste forse un motivo più valido per cui valga la pena morire?
L’Arte: la Musica, il Cinema, la Pittura, la Poesia…. Ma anche un Bacio, una Carezza, uno Schiaffo, uno Sputo….
L’Arte, in sostanza l’Universo.
L’amicizia tra me e Lisa era qualcosa di incrollabile. Niente e nessuno avrebbe potuto intaccarla, per il semplice motivo che si appoggiava su una base troppo solida per crollare: la sofferenza.

Non ricordo nemmeno quando la conobbi. Sapete, per le persone come me il tempo non esiste.

Avevo passato la notte sulla panchina di un parco (non ricordo quale, so solo che in quel periodo vagabondavo per Milano) e al mio risveglio mi trovai seduto. Ricordo vento, tanto vento. E foglie impazzite che si rincorrevano. Qualche anziano passeggiava su e giù per i viali con i giornali sottobraccio. Una giovane mamma passò davanti alla panchina con un passeggino ed accelerò immediatamente. Mi sembrava tutto così surreale… una folata di vento tentò invano di strappare il giornale ad un signore anziano.

"Credi nell’amicizia?"

Era stata la persona al mio fianco a parlare. Una voce femminile. E giovane. Non so perché, ma io capii che stava parlando con me. Senza voltarmi risposi: "Non ho amici."

La ragazza non disse niente per un po’, il che mi fece supporre che la nostra conversazione fosse già terminata. Di nuovo, tutto mi sembrò surreale.

Lisa disse: "Non mi interessano la lunghezza e la larghezza delle cose. A me interessa la profondità."

Io non risposi. Ero troppo affamato e troppo disperato per mettermi a filosofeggiare.

"E credi nell’amore?" chiese ancora.

"Non me lo posso permettere", risposi io. "Sto già troppo male così."

E lei, come se niente fosse, cambiò un’altra volta discorso: "E poi non mi interessano le cose importanti, credo che tutto dipenda dalle piccole cose. Una vita umana non è altro che un cazzo dentro una fica, non è nient’altro che casualità. Io credo che la terra giri su due piccole rotelline.

"Io credo che tu sei un po’ suonata", risposi io. Lo dissi ma non lo pensai. Chissà perché, non lo pensai.

"Io credo nella musica", disse di nuovo lei. Non ci eravamo ancora guardati negli occhi. Continuò: "Una canzone non è altro che un insieme di note e parole. La musica è l’emblema della casualità."

Non risposi.

"Ed io voglio entrarci dentro", disse. "Farne parte."

Poi finalmente mi guardò e allungò un braccio verso di me.

"Lisa", disse.

Le strinsi la mano e notai che era calda. La mia invece era gelata.

"Joe", dissi. "Piacere." E poi la guardai.

Da quel momento solo un susseguirsi di ricordi. Un caleidoscopio di emozioni. Nemmeno adesso riesco a distinguere i sogni dalla realtà. Solo una gran confusione, ed una gran voglia di vivere. Sì, una gran voglia di vivere. Sporco, affamato, con il cuore a pezzi… ma desideroso di vedere il sole, di sentire un altro giorno che nasce.

Lisa era anche questo. Era energia, era positività, era la stella della notte. E di lei ora ho solo ricordi confusi, un intricato sentiero di emozioni. Quante città abbiamo visto, abbracciato, vissuto, sotto a quanti ponti abbiamo dormito, quanta vita ci siamo donati.

Il primo ponte era a Milano. Il fuoco e le coperte bastavano a malapena per scaldarci. E allora giù vino a volontà.

"Sono un rifiuto della società", dissi. "Tutti mi evitano. Faccio paura ai bambini. Non ho un lavoro, non ho una casa. Non ho niente."

E giù un altro sorso di vino.

Lisa scoppiò a ridere. Eravamo soli sotto al ponte. Il fuoco che avevamo acceso disegnò strani riflessi sul suo viso.

"Sei felice?" le chiesi un po’ scocciato. "Godi delle mie disgrazie?"

"Cos’è la felicità?" chiese lei.

"Avere qualcosa in cui credere", le risposi. "Delle sicurezze a cui appoggiarsi."

Di nuovo lei scoppiò a ridere. Ma questa volta la cosa non mi irritò. Mi resi conto che non stava ridendo di me. Stava ridendo degli altri. Gettò in aria la coperta e mi prese per mano. Poi mi condusse fuori dal ponte e prese il mio viso fra le sue mani. La notte era gelida, ma le sue mani erano incredibilmente calde. Diresse il mio sguardo verso il cielo.

"Tu non hai una casa", mi disse. "E non hai un lavoro. No, non hai nemmeno un lavoro. Ma se tu avessi un letto in cui dormire e un tetto sopra alla testa in questo momento non potresti vedere quella luna lassù. Vedresti solo la piccolezza delle cose che possiedi. Perché vedi, mio piccolo Joe, ogni cosa che possiedi ti impedisce di vedere e di apprezzare tutto ciò che non possiedi. E pensa, domani non sai quello che farai, domani non sai quello che ti capiterà. Lo vedi? Dentro al nulla che possiedi si cela la tua libertà. Devi solo saperla apprezzare."

Si staccò da me e ritornò sotto al ponte. Io restai ancora a guardare la luna. Dio, quante volte avevo dormito all’addiaccio?

E adesso stavo guardando la luna per la prima volta in vita mia. Per la prima volta la stavo guardando veramente. Tornai sotto al ponte con Lisa e mi infilai sotto alla coperta. La guardai e dentro ai suoi occhi vidi la luna.

"Chi sei?" le chiesi.

"Forse un fantasma", rispose lei. "Forse un angelo. Ha qualche importanza?"

Lisa stava guardando i buchi sulle mie braccia. Eravamo a Torino, o forse ancora a Milano. Non ricordo.

Guardava i miei buchi e non parlava. La cosa non mi imbarazzava e nemmeno mi infastidiva.

"Vorrei drogarmi di Arte", disse. "Iniettarmi nelle vene Poesia, Musica, Pittura."

Cominciò a piovere.

"Quei buchi che hai nelle braccia", mi disse. "Cosa rappresentano per te?"

Mi limitai a scrollare le spalle. Non volevo parlare del mio personale rapporto con la signora Morte. Nemmeno con Lisa.

"Vorrei averne anch’io", disse. "Per capire quel che significa."

Mi allontanai di scatto. Lisa restò ferma sul marciapiede. Attraversai la strada e cominciai a fissarla. Poco dopo mi raggiunse.

"Piccolo Joe", mi sussurrò all’orecchio. "Mio povero, piccolo Joe. Non fuggire mai davanti alla realtà. Piuttosto facci a pugni, ma non fuggire mai. Se sei in collera con me non ti allontanare, dammi uno schiaffo piuttosto. Mi faresti meno male, te lo assicuro."

Io strinsi i pugni. Li strinsi con forza, per impedirmi di colpirla. E… stavo piangendo. Stavo piangendo senza nemmeno accorgermene, e Lisa era lì davanti a me, impassibile. Come se il mio pianto non la interessasse.

Un sole pallido tentò di emergere fra le nuvole. La pioggia andava già asciugandosi. Passava molta gente sul marciapiede, chi indaffarato per il lavoro, chi rilassato come durante una passeggiata. Io e Lisa eravamo lì, in mezzo a loro, in mezzo a tutti, in mezzo al mondo. Eravamo lì invisibili agli altri, e ci guardavamo senza parlare. Poi lei sorrise. E con la mano mi asciugò una lacrima. La vidi… o forse fu solo un sogno, solo un’illusione ottica….

Vidi la mia lacrima gonfiarsi sul suo dito come una goccia di rugiada che cade dalla foglia di un albero. Gonfiarsi, gonfiarsi e poi staccarsi dal suo dito… staccarsi e cadere. E vidi me stesso racchiuso, rannicchiato dentro la mia lacrima. E il mondo intorno correva, viveva, continuava la sua folle corsa, mentre io cadevo, precipitavo con la mia lacrima.

Ed erano spariti i rumori. Era sparito… il tempo, o almeno la mia percezione del tempo. Ed anche lo spazio, tutto stava perdendo concretezza.

Ed io crollavo, crollavo dentro la mia lacrima. Finalmente toccò terra e si mischiò con la pioggia. Si mischiò e scomparve. Mi risvegliai dal torpore. Lisa era sempre lì, davanti a me, ma adesso non sorrideva più. Il suo sguardo ora era duro, granitico… eppure non impenetrabile. E c’era il mio futuro scritto nei suoi occhi. Il mio futuro che pochi attimi prima avevo visto celato nella mia lacrima.

"Lisa…" ora non piangevo più. "Io… ti giuro che…"

Lei fermò le mie parole, e il suo sguardo adesso era tornato dolce, rassicurante.

"Tu non mi devi niente", disse con calma. "E’ a te stesso che devi giurare. E’ a te stesso che devi promettere. Non a me Joe, ma alla tua anima. A quella parte di te che stai cercando di uccidere."

Poi Lisa raccolse una foglia da terra. Era gialla e stropicciata, calpestata, umiliata. Restò a fissarla per qualche istante. Poi la baciò. Baciò la foglia e la leccò, la leccò come un francobollo. Infine la appiccicò sulla mia fronte.

"Ecco", disse. "Ecco la parte di te che stai cercando di uccidere. Eccola, guardala. Guardala, mentre cerca di resuscitare."

Una brezza lieve tentò di strapparla dalla mia fronte, ma non ci riuscì. Io non capii mai quel gesto, ma quella parte di me che stava morendo lo capì. E ricominciai a vivere.

Ero di nuovo ubriaco. E anche Lisa. Ed entrambi eravamo euforici. Il treno viaggiava ormai da più di tre ore senza sosta, e l’odore del fieno era denso e penetrante. Eravamo in una specie di carro bestiame, anche se non c’erano animali con noi. Diretti verso chissà dove, verso chissà quale città.

Il treno rallentò. Dapprima impercettibilmente, poi più decisamente. Sentii i freni fischiare. Infine si fermò.

Lisa si alzò, instabile sulle gambe. Faticò a trovare l’equilibrio.

"Scendiamo", disse. Aprì il portellone e mi prese per mano. "Scendiamo qui, Joe."

Fuori c’era il sole. Eravamo in aperta campagna, forse Toscana, forse Umbria. Lisa mi trascinò giù dal treno. Anch’io barcollai. Ci rotolammo nell’erba respirandone il profumo.

"Ancora un po’", disse lei. "Dai Joe, ancora un po’." Afferrò la bottiglia di whisky e tirò un altro sorso.

"Non ti sembra di esagerare?" le dissi. "Non siamo già abbastanza ubriachi?"
Lei avvicinò la sua bocca alla mia. Parlò piano, e il suo alito sapeva di whisky.

"L’esagerazione è il sale della vita", disse. "Ancora whisky, dai."

Era la prima volta che la vedevo così. Che la vedevo fuori di sé, che la vedevo perdere il controllo. Le porsi la bottiglia e Lisa bevve avidamente. Poi la passò a me. Poi ancora lei. E poi di nuovo io. Fino a che ci addormentammo lì in mezzo all’erba, senza sapere dove eravamo, chi eravamo. Ma sapendo di esistere.

Fu la musica a svegliarmi. Una musica soave di flauto. Mi alzai e il mondo barcollò. Lisa stava ancora dormendo. E russava, Dio santo come russava. La cosa mi divertì parecchio, però non riuscii a ridere. Perché c’era la musica. La musica che mi aveva tolto ogni percezione del mondo esterno. Proveniva da ogni direzione, forse proveniva da dentro me. Cercai di muovermi, ma subito caddi in ginocchio. E restai lì, mentre la musica continuava a riempire le mie orecchie, a inondare il mio spirito. Poi Lisa fu al mio fianco. La guardai e lei si alzò, incredibilmente stabile sulle gambe. Allargò le braccia e chiuse gli occhi. Cominciò a danzare, e la musica cresceva, diventava più forte, più profonda. Mi accorsi che era la musica a seguire il ritmo della danza di Lisa. E anche le foglie, l’erba danzavano con lei. Io non potevo far altro che starmene lì inginocchiato e guardarla mentre confondeva il suo corpo con le foglie e il suo spirito con la musica.

E’ lei che sta suonando? Mi chiesi. E’ da lei che sta uscendo la Musica? E’ lei stessa la Musica?

Stava entrandoci dentro. O forse stava solo mischiandosi. Lisa, la piccola Lisa stava per diventare Arte. Era un addio quello, lo sapevo, lo sentivo, tuttavia non riuscii ad essere triste.

E Lisa danzava, Lisa era Musica, era sempre di più Arte. Poi ci fu Vento, e Musica ancora e Danze…

Fu il silenzio a svegliarmi. Lisa non c’era più. Tuttavia c’era, potevo respirarla, annusarla, sentirla dentro alla Natura, ritrovarla attraverso l’Arte. Restai inginocchiato ancora un poco, poi riuscii ad alzarmi. Raggiunsi la mia bisaccia e tirai fuori la coperta. Accarezzai la sua guancia col tramite di un filo d’erba.

Poi una brezza lieve, ed era la voce di Lisa: "Un giorno riuscirò ad entrarci dentro, Joe. Riuscirò ad entrare nella Musica, ad essere Musica. E quel giorno, Joe, arriverò alle tue orecchie ed entrerò nel tuo spirito. E poi ti guiderò dentro alla magia dell’Arte."

E finalmente dormii, dormii tranquillo dopo mille secoli di buio e paura.