Calafiore Stefano

Nato a Milano il 25.06.1973

RACCONTI AD INTERIM
(o "racconti del Precario")

Linea Gotica è un album bellissimo, emozionante. Etereo, cinvolgente. Ha lo stesso titolo di un libro che rilessi più volte.

Credo non ci sia alcun riferimento tra i CSI e Ottieri, se non la linearità, la limpidezza e l'attualità di musica e parole.

PRIMA PARTE

I.

Era interessante conoscere tutte quelle persone, così diverse tra loro per età, atteggiamenti, modi di esprimersi, di presentarsi. Il mio ruolo prevedeva questo: l'approccio con ragazzi e ragazze alla ricerca della loro prima esperienza di lavoro, uomini e donne alla ricerca di una dignitoso posto di lavoro, ragazzi e ragazze e uomini e donne alla ricerca di sè stessi, un qualcosa di più complesso. E, per quest'aspetto io potevo far veramente poco.

Sì, perchè questo lavoro di colloquiare con tutti quelli che entrano , e dico tutti, ha, come altri lavori più o meno interessanti, aspetti positivi e no.

Quando dico colloquiare non intendo letteralmente parlare, ma avere un vero e proprio incontro, una conversazione un dialogo per conoscere il più possibile la persona che hai di fronte.

Questo è ciò che succede ogni giorno, da due anni a questa parte.

Leggevo Burroughs, Bukowsky, Kerouac e Ferlinghetti assimilandoli attraverso le traduzioni della Pivano.

Durante il periodo del servizio militare mi appartavo con un libro per leggerlo e scoprirlo in tutte le sue sfumature, la sua intensità. Beat beat beat, solo beat. Urlo l'ho letto tutto mentre facevo un turno di guardia.

Ho scoperto che Pasolini si fermò a Casarsa della Delizia e qui approfondì lo studio del dialetto friulano. Allora non avevo letto nulla ancora di Pasolini.

La caserma era enorme, logora, vetusta e decrepita. Per fare la doccia dovevamo attraversare tutto il piazzale a piedi percorrendo circa trecento metri. Ci facevi l'abitudine dopo un pò, come in tutte le cose.

Non mangiavo mai in caserma alla sera, la mensa era quel che era. Molto meglio un locale in piazza, di fronte alla stazione dove passavo tutto il tempo a mia disposizione insieme agli altri, fino alle undici. Poi rientravamo perfettamente coscienti che il tempo avrebbe fatto il proprio corso.

Leggendo Tondelli, un'illuminazione! Mi sono sempre stupito dell'attualità delle letture in generale;

Pao Pao ne è stato un esempio.

Ricordo di aver appreso della morte di Rabin proprio durante la mia permanenza in caserma, stavo leggendo il Dottor Sax.

Proprio in quei giorni, a Pordenone, in un teatro si svolgeva un reading di Ginsberg accompagnato dalla Pivano. Lo appresi da un giornale qualche settimana più tardi.

 

II.

Mi sono trasferito in paese. Vivo in un appartamento modesto, l'ho comprato. Ho deciso così perchè mi hanno suggerito che "in fondo è un investimento", "ti rimane, è tuo"; anche se il mutuo che ho stipulato dura vent'anni. Un pò spaventa. Avrà termine quando compirò quarantasette anni e quando avrò restituito qualche centinaio di milioni alla banca, senza contare gli interessi. In compenso vivo tranquillo, non ci penso tutti i giorni.

Sto lavorando in una società che ricerca personale per conto delle aziende.

Non l'avevo mai fatto prima. E' curioso relazionarsi con tante persone diverse tra loro. Devi riuscire a trovare la giusta misura per tutte. Un giorno incontri il mega responsabile delle "risorse umane" della mega azienda multinazionale, l'altro incontri l'omino titolare di una sconosciuta aziendina metalmeccanica, magari leghista.

Un pot-pourri.

Mi chiamano, li raggiungo nel loro ufficio, mi presento, tiro fuori il materiale di presentazione della società leader del settore, noi siamo primi di qua, leader di là, siamo bravi perchè di sì, le altre società fanno cagare, abbiamo l'autorizzazione del ministero e le altre ancora no, abbiamo una banca dati della madonna pure informatizzata ( poco importa se nessuno la sa usare perchè nessuno sa usare il pc, gli fai credere il contrario, da buon commerciale), siamo vicini alla sua azienda, abbiamo mille filiali.......gli racconti un pò di stronzate, lo intorti un pò e alla fine gli spari le tariffe. Gli stringi la mano, lo saluti e speri di fartelo cliente.

Non è sempre così, certo. Così lineare, dico.

Un giorno ebbi il piacere di conoscere un ragazzo senegalese, colto, molto preparato con un distinto senso dell'umorismo e di autoironia: Bara.

Ha ironizzato subito sul suo nome, era inevitabile.

Durante il colloquio mi spiegava che, prima di venire in Italia aveva un'attività in proprio, commerciava oggetti preziosi.

E' in Italia da qualche anno e obiettivamente - mi dice - non ha la possibilità di scegliere; qualsiasi lavoro va bene, anche su turni.

Io gli chiedo se ha disponibilità immediata perchè ci sarebbe un lavoro tranquillo, non pesante e vicino a casa. Ha una Alfa 33, non ha grossi problemi di spostamento.

Lui mi chiama sempre Esteffano.

Parliamo di musica e cinema, lavoro, del suo paese e di sua figlia che è prima della classe a Dakar, del suo sogno di riprendere l'attività di un tempo e trasferirsi negli Stati Uniti. E' un pò scettico.

Non dell'attività.

Degli Stati Uniti.

E' venuto una sera a sentirmi suonare, durante una festa della birra del paese, un classico d'estate. Tutti bevono e mangiano e a nessuno frega del gruppo che suona, ma sono tutti felici, li vedi. Chi ride, chi fuma, chi è ubriaco e ti arriva lì, davanti al palco urlando e bestemmiando in dialetto. Il momento più triste non è quello. Il momento più triste è quando ti vedi ballare dei bambini iperattivi inconsapevoli dei tuoi enormi sforzi ed estenuanti prove in saletta. Loro non sanno! Si vede che non gliene frega assolutamente un cazzo.

Noi continuiamo a suonare.

Suono in un gruppo, siamo in sei; un gruppo che fa rock psichedelico, così ci definiamo quando qualcuno ci pone la fatidica domanda: "Ma, che genere fate?".

Infondo non siamo male, abbiamo anche inciso due demo grazie ai quali riusciamo a suonare in qualche festa durante l'estate e qualche locale durante l'inverno. Finora è capitata sempre la prima che ho detto.

Suoniamo quattro volte l'anno e solo d'estate.

Ma a noi, come ai bambini, non frega un cazzo.

Mio padre suonava ai suoi tempi. Andavano molto quelle canzoni tipo New Trolls, I Camaleonti, Celentano, il Fausto Leali, l'Aznavour italiano. Quasi tutti riproponevano in italiano le canzoni di successo straniere. Non male come idea.

Suonava l'organetto in un gruppo, come me. Avevamo un organo a casa, ho iniziato a suonare lì. Rifacevo le canzoni che trasmettevano in radio, in tempo reale; a dodici anni ero già conscio del fatto che avessi un orecchio formidabile, un intuito musicale che mi ricordava solo gli esordi di Wolfang Amadeus.

Mio padre non ne dava molto peso, forse perchè non desiderava avere un musicista come figlio, sai si è sempre in giro, non si ha fissa dimora, un giorno guadagni e l'altro no, non puoi pensare ad una famiglia nè ad un reddito fisso, non puoi nemmeno pagare le tasse. La precarietà di una carriera musicale spaventa e a mio padre destabilizzava.

O forse non voleva che mi potessi trovare di fronte ad una scelta del tipo "Intraprendo l'attività di meccanico o vado in tournè con la mia band in Versilia?" perchè a questo si è trovato di fronte mio padre.

Inutile dire che ha scelto di fare il meccanico.

Lo fa da trentacinque anni ormai insieme ai suoi fratelli. E' riuscito bene direi, la sua predisposizione al contatto con il cliente, la sua dialettica e la sua dinamicità che tuttora lo distinguono, lo hanno portato ad ottenere buoni risultati, non senza fatiche o cadute depressive.

Recentemente era stato anche in ospedale, dal nervosismo gli si era bucato lo stomaco. Tutto però si è risolto per il meglio.

Nel rileggere queste righe direi che mio padre mi ha influenzato non poco: suono e il mio lavoro è il contatto con la gente. Con la meccanica, beh, lasciamo perdere.

 

Gli anni' 80. Li riconosco grazie ad una foto in cui sono ritratto davanti a casa con indosso un giubbetto di lana blu, jeans, scarpe coi lacci in feltro, felpa verde con sciarpa bordeaux.

Sorridevo.

E poi grazie all'abbondante ritorno l'anno scorso della musica di quel periodo con forza impetuosa. E grazie a dio, altrimenti avrei avuto un mezzo vuoto imperdonabile.

  

VII.

Scrittori si diventa - profetizzava Kerouac - dato che chiunque non sia analfabeta sa scrivere. Che consolazione, aspettavo con ansia la conferma di questa cosa da un'addetto ai lavori perdipiù illustre e riconosciuto. Certo, però è anche vero che di geni nati ce sono stati. Non so, Withman, Thoreau, Joice, Shakespeare. Sempre Kerouac ricordava che il termine "genio" deriva dal latino gignere (Generare) e un genio è semplicemente una persona che dà origine a qualcosa che prima non si conosceva.

Prima di porsi la domanda "Scrittori si nasce o si diventa?" ci si dovrebbe chiedere: "Scrittori di talento o scrittori originali?" per la serie tutti possono scrivere, ma non tutti inventano nuove forme di scrittura.

 

XVI.

In paese ci sono più bar (bars) - On va chercer la femme, on va trouver l'amour. Es que ce l'anger? Nanananananananananananananananananananananananananananananana Curami!Curami!Curami!Curami!Curami!Curami!Curami!Curami! Paraparapa paraparapa, predimiincuradatemaintantoadesso Cu-ra-mi! Cu-ra-mi!

Scrivo a ritmo di CCCP.

Dicevo, sì, ci sono dei bar come in altri paesi e tanti negozi: di scarpe, libri e cd e videocassette, di gelato produzione propria, di oggetti artigianali, di sigarette e cose varie-le drogherie, di occhiali, di piante, di tagliodicapelli, di profumi e creme, e tu focalizzi il tuo interesse in quelli che più ti piacciono, dove ti puoi anche permettere l'acquistoinbasealtuostipendioealtuotenoredivita.

Gli scegli come con le amicizie e le scuole, dopo una certa età.

Io ho scelto UN bar, uno perchè è vicino a casa, due perchè è curioso, perchè ha una sua personalità, un suo essere. Gente, la solita ma non per questo cade nella routine di quei bar dove tutti salutano amichevolmente tutti, tutti si conoscono, hanno i giorni fissi per incontrarsi e bere l'aperitivo - ci becchiamo per l'aperitivo, per il solito alle sette? con gli altri? Annarella c'è 'sta sera? - la monotonia celata da detti abitudinari e saluti e baci a cui nessuno crede nell'indifferenza più assoluta.

  

Il mio bar l'ho scoperto ed iniziato a frequentarlo dall'anno scorso da quando cioè mi sono trasferito. E' gestito da due sorelle quasi gemelle Anna e Angela, atipiche donne nell'aspetto e comportamento, inflessibili coi clienti più rompicoglioni, determinate nel quotidiano - Amami ancora, fallo dolcemente, un anno un mese un'ora, perdutamenteeee, tararata-trata - assistere i clienti con professionalità e gentilezza riconoscendo quali meritano e quali altri no, precise alla lira nella contabilità qui però aiutate da un'amica contabile simpatica che ho conosciuto, veloci nel Lotto nel far sì che coda non si crei e che la gente in fila non sbuffi con in mano dodici schedine da giocare uscendo dalla fila con la testa per guardare di chi è la colpa se di chi sta giocando o chi è dall'altra parte del bancone.

Angela è stata la prima con la quale ho parlato, Anna è venuta poco dopo.

Scendo a prendere il caffè alla mattina alle otto, otto e qualcosa prima di andare al lavoro; se ti vuoi svegliare perchè ti sento un pò rincoglionitoo sei ancora gonfio dalla loro Faema con guaina invecchiata di vent'anni esce il caffè più unico di tutta la zona, un sapore che ce l'hai in bocca per l'intera mattinata almeno fino alle dieci quando cioè è il momento di decidere cosa mangerai a pranzo. Metterci il latte non serve, credetemi.

Non tutte le mattine ci vado, ma al sabato mattina sì

Entri e ti trovi il lungo bancone con di fronte dei tavolini con le sedie, occupate solitamente in ordine di apparizione da: la sciura che imperterrita ci prova sempre con ogni versione di gratta e vinci e che ricicla le misere vincite in altri bigliettisucchiasoldi, un signore che è una sorta di factotum del bar, si muove per varie commissioni nel paese a botte di bianchini, tutto smilzo e chiuso nella sua bassa statura, sempre con camicie a fantasia colorate o fiorellate hawaiane, il macellaio del discount accanto che seduto commenta a voce alta la Gazzetta dello Sport, anche lui tra un bianco e l'altro, discutendo con altri personaggi in dialetto stretto, vestito da lavoro con quell' immancabile cappellino a barchetta che ogni buon macellaio di fiducia di ogni negozio o supermercato indossa.

Raramente faccio la spesa nel discount.