Antonio Siclari

Per quanto riguarda me, ho 28 anni, ho studiato lingue, conosco inglese, tedesco e spagnolo. Lavoro per una grossa compagnia cinese di transhipment e la mia passione principale è scrivere, seguita dalla musica e il mondo dei computer, Internet e la costruzione di siti Web. Ho pubblicato il mio primo romanzo nel 1995, partecipando ad un concorso letterario promosso dalla Joppolo Editore di Milano sul quotidiano “Il Giornale”. Il mio romanzo “Solo il ricordo” si è aggiudicato il terzo posto per copie prenotate più una somma in denaro. Pochi mesi dopo è stato pubblicato per la collana “Fiori di campo” dello stesso editore. Nel giugno del 2000, pubblico il mio secondo romanzo, dal titolo “Volevo il tampax” con Michele Di Salvo Editore di Napoli e partecipo alla seconda edizione del “Premio Internazionale Nuova Letteratura”, promosso dallo stesso editore via Internet, ancora in corso. Nel frattempo scrivo altri due romanzi, “Alter Ego” e "In Paradiso non si va in carrozza" che esce a settembre 2001 per la collana "Le Lettere" della Prospettiva Editrice. Non sto ad elencare i molti concorsi letterari ai quali ho partecipato, ma mi piace ricordare il concorso “Noi Due”, promosso da Famiglia Cristiana e Mondadori, al quale ho partecipato con il romanzo “Alter Ego”; il concorso pubblicato su SETTE – Corriere della Sera con un racconto incentrato sulla fine del millennio e, ultimamente con un altro racconto, al concorso lanciato dal sito InfiniteStorie (gruppo Longanesi), ancora in corso. Delle mie poesie e racconti sono stati pubblicati su riviste e antologie varie e collaboro con il sito Il Rifugio degli Esordienti come lettore di manoscritti per il servizio gratuito di correzione e valutazione testi Lettura Incrociata. Da luglio 2001, faccio parte della redazione del Rifugio come Responsabile della Vetrina degli Esordienti. Oltre a scrivere romanzi, produco anche musica da discoteca e, con lo pseudonimo Totokardes, ho pubblicato cinque brani dance, distribuiti da MediaMusica Italia (www.mediamusicaitalia.it).

UN’ANIMA IN VENDITA

Fa un freddo cane questa sera. L’aria gelida mi penetra le ossa quasi che me le voglia frantumare in mille pezzi. Stasera la clientela è scarsa ed io ho urgente bisogno di soldi, un fottuto bisogno di denaro.

Ecco un’automobile. Vaffanculo, è passata dritta come un bolide, non mi ha neanche notata. Eppure ancora sono bella, ben fatta. Mia madre, a suo tempo, diceva che aveva fatto un capolavoro a mettermi al mondo. Che stronza sognatrice mia madre! Mi doveva far bene il cervello se voleva che l’opera fosse completa.

La morsa del freddo si ingigantisce ed io divento piccola piccola. Questa maledetta minigonna non mi ripara per niente, eppure il mercante mi ha assicurato che avrebbe tenuto ben calda, mi ha fregata ancora una volta. Mi avvicino di più al fuoco sperando di domare questo gelo che mi fa tremare come una foglia.

Le mie compagne sono in crisi, anche loro non è che abbiano molti clienti questa sera. Bah! Sarà colpa della partita di calcio che trasmettono in televisione. Chi gironzola a destra, chi a sinistra, tutti hanno bisogno di soldi e stasera mi sa tanto che di occasioni per farne ce ne sono ben poche. Oh Dio! Lo so, sono indegna, aiutami tu, quei maledetti soldi mi servono per davvero.

Cristo! Mi deve aver sentito. Grazie Dio, grazie!! E’ un macchinone, chissà quanti soldi avrà questo stronzo. Fa che si fermi da me, te ne prego, ti scongiuro. Seguo la macchina con gli occhi. Sta passando Cristina, passa anche Betty, ora vengo io, ti prego, fermati qui. Alzo di più la minigonna in modo che si vedano i glutei, è inutile dire che non porto le mutandine. Mi aggiusto i capelli e cerco di essere la più provocante. Eccolo! E’ a due passi da me. Fermati! Almeno per stasera! Miracolo! La macchina si arresta. Segue un momento di silenzio. L’uomo che sta al volante non è giovanissimo ma molto attraente, porta bene i suoi anni. Potrà avere al massimo quarant’anni, è un bell’uomo. Mi guarda per alcuni secondi. Mi ha ipnotizzata con il suo sguardo, mi cattura la vista e non ci posso fare niente. Mi fa cenno di salire. Vittoria! Per stasera è fatta. Salgo in auto con uno sguardo delle mie compagne dettato dall’invidia di aver loro soffiato il cliente, il ricco, si direbbe, cliente. Lui non dice una sola sillaba, potrebbe almeno sforzarsi di parlare, ma io già so quello che vuole; loro vogliono solo quello e basta. Stop. Mi porta per una stradina buia e solitaria. Ferma la macchia e io resto calma, sono talmente abituata a queste cose che ormai non ci faccio più caso. E’ il mio lavoro, è la mia vita, e nessuno, dico nessuno, l’ha scelta per me, è stata una mia scelta. Lo so, errata al cento per cento, ma l’ho voluta io. Ancora senza parlare, l’uomo si volta verso di me, mi guarda il seno, poi le gambe. Mi solleva il capo con un dito sotto il mento. Io sto zitta. Fa scendere la lampo ed io sono pronta, pronta a fare la puttana di sempre. Si abbassa i pantaloni e rimane nudo dalla vita in giù. Non mi scandalizza, ne ho visti talmente tanti che sono assuefatta dell’uomo nudo come un verme. Mi mette una mano nei miei lunghi capelli castani e con forza e di scatto mi porta il capo contro il suo membro. Faccio il mio lavoro, compio ciò che comporta la mia scelta di vita, faccio semplicemente la lucciola, sinonimo di puttana a pagamento. Duro pochi minuti, evidentemente il ricco signore soffre di eiaculazione precoce. Sono in tanti a soffrirne ed è un vero toccasana per noi, povere sgualdrine da strada. Infatti non abbiamo bisogno di molto tempo per adempiere al nostro compito. Ecco fatto! Ora mia aspetta solo la mancia. Molla i quattrini spilorcio! Lui si ricompone mentre io scendo dall’auto e cerco di pulirmi alla meglio. Poteva anche avvertirmi che stava per venire, quel porco. Metto a posto i capelli e rientro in auto. Lui abbassa i finestrini, ha caldo il maiale.

"Sei niente male. Ci sai fare tu"

Eureka! Ha parlato! Mi ha concesso la grazia di sentire la sua voce. Io, naturalmente non rispondo. Prende il portafogli e noto che la fece nuziale emette uno scintillio per il chiarore della luna che stasera è splendida. E’ anche sposato. Povera moglie ingenua, povera donna innamorata. Mi riaccompagna. Non ha voluto sapere nemmeno la tariffa ma mi ha pagato più del doppio, magari mi capitassero sempre di questi clienti, farei la puttana anche di giorno!

 

Sono quasi le cinque di mattina. Via Lugano ora è quasi deserta. Le mie compagne hanno lasciato il campo di battaglia già da un pezzo. Ora vado via anch’io. La stazione dell’autobus è qui vicino. Prendo sempre quello delle cinque perchè praticamente è quasi sempre deserto, in modo che nessuno possa notare la donna sporca che sono. In mezzo alla gente comune ho vergogna di me stessa. Forse mi vergogno in tutte le circostanze ma non lo ammetto. Sono una donna tra le donne e basta, deve bastare, ma prima di tutto sono una persona. Le attrici a luce rossa sono anche famose, loro non si vergognano di quello che fanno in pubblico dominio, perchè dovrei vergognarmi io? Facciamo solamente le stesse identiche cose: loro sul set, io per la strada e i vichi bui.

Lo 009 è arrivato. Come sempre è vuoto. Vi salgo dopo una lunga notte come tante. Durante il tragitto conto i soldi che sono riuscita a racimolare durante la notte. Un po' pochino: solo trecentomila lire, ma mi posso accontentare visto come si era messa la situazione.

Non mi sono accorta di essere arrivata a casa, se casa si può chiamare la mia. Quattro stanze: cucinino, stanza da letto, un bagnetto e una piccola entrata costituiscono quello che è il mio mondo staccato dalla realtà. Eppure in quel buco di casetta che mi costa cinquecentomila lire al mese, da dare a quella diabolica vecchia della Chiara, si, in quel buco di casa io mi sento come una vera regina. Ho il potere assoluto su tutto, lì, sono io che detto le regole, quel mondo è dominato da me, non dai soprusi dei miei clienti.

Entro in casa. C’è una strana puzza appena si entra. L’ho notata da diversi giorni ma non ho avuto tempo di fare qualche servizio domestico. Di giorno sono stanca morta e la voglia di lavare non è che sia tanta. Eppure, paradossalmente, mi ritengo una persona pulita. Ma non sono pulita nè dentro nè fuori.

Faccio pian pianino per non fare rumore. So che nella stanza da letto c’è Sara col piccolo Nicola. Se non ci fosse lei ad aiutarmi non so come andrei avanti con questa vita di merda che mi ritrovo a fare. Appendo la giacca e mi avvicino alla stanza da letto. Apro delicatamente la porta e Nicola dorme placidamente nel mio lettone matrimoniale. Noto che Sara non c’è. Non l’avrà mica lasciato da solo? In quel mentre mi sento toccare su di una spalla. E’ lei, ero sicura che non lo aveva abbandonato, non aveva dimenticato il mio bambino, solo ed indifeso.

"Era ora che tornassi", mi dice con aria accusatoria.

"Lo sai che torno sempre a quest’ora. Perchè mi ripeti sempre le stesse cose?", le chiesi seccata.

Lei non rispose. Andò in cucina. Io la seguii.

Si sedette e si accese una sigaretta. Mi guardava come si guarda un assassino, sapeva cosa mi voleva dire.

"Ma perchè non la smetti con questa vita del cazzo? Eh? Cosa pensi di risolvere in questo modo? Ma ti piace tanto fare la troietta di strada?"

"Non hai nessun diritto di parlarmi in questo modo!", le dissi cercando di non urlare per non svegliare Nicola.

"Invece certo che ce l’ho il diritto."

Si avvicinò a me ma io la sentivo distante anni lice. Quando le prendeva la luna storta non c’era niente da fare, aveva il sopravvento su tutto e tutti.

"Cosa dirai a tuo figlio quando comincerà a fare delle domande? Gli dirai che ancora vai a lavorare in un bar di notte? Prima o poi, tuo figlio scoprirà la verità e penso che ti odierebbe sapendo che gliel’hai nascosta per così tanto tempo. E cosa penserà quando capirà che l’hai cresciuto per tanti anni con i soldi delle tue marchette fatte ai tuoi clienti."

"Basta!", dissi irata, "cosa dovrei fare allora eh? Tu che sei la saggia con tutte, che cazzo mi consigli di fare?"

Lei rimase tranquillissima.

"Trovati un lavoro", mi disse calma, "umile che sia, sempre meglio di quello che stai facendo adesso è."

"Un lavoro! Un lavoro! Fate presto a parlare! Dove cazzo lo trovo un lavoro oggi! Per una miseria poi..... Lo sai che oggi ti sfruttano soltanto."

"Perchè! I clienti non lo fanno con te?"

Non seppi più cosa dire. Lei se ne accorse di avermi messo con le spalle al muro e non affondò il coltello nella piaga. Mi conosceva fin troppo bene. Sentii il mio viso bagnarsi delle stesse mie lacrime.

"E’ tutta colpa di quel figlio di puttana. Di quel bastardo!"

"Non sei nè la prima nè l’ultima ad essere abbandonata dal marito. Hanno forse reagito tutte come te? C’è chi ne ha due o tre di figli a si accontenta di lavare cessi alla stazione del centro pur di mantenere intatto il proprio orgoglio di donna. No, tu non ne sei capace e non lo sarai mai finchè continuerai a ragionare in quel modo."

Fece una pausa.

"Non c’è bisogno che io te lo ripeta più. Io non ti dirò più niente da oggi. Il bambino ha mangiato tutta la cena ieri sera. E’ stato buono. Ci vediamo stasera."

Nonostante mi avesse dichiarato guerra con le sue invettive, mi aveva dato appuntamento per la sera stessa per badare al bambino perchè io potessi recarmi al mio "posto" di lavoro. Aveva detto che dovevo capirlo da sola, dovevo cambiare da sola. Non sapevo fino a che punto ce l’avrei fatta.

 

La mia professione di puttana era iniziata da circa due anni. Nicola era appena un pupo di un anno quando iniziò la mia avventura sul marciapiede.

La mia fanciullezza era serena e felice. Avevo due genitori che mi adoravano anche per il fatto che ero l’unica figlia dopo due maschi. Ho sempre realizzato i miei sogni e quello più grande, il più bello mi sembrava, a mio tempo, che fosse quello di sposare Federico. Mi aveva conquistata col suo fascino un po' infantile, ma dietro tutto si nascondeva un uomo che si curava di me, mi faceva sentire forte e sicura, mi ispirava fiducia e me ne innamorai quasi subito averlo visto. Il nostro fidanzamento durò pochissimo e decidemmo così di sposarci al più presto per poter vivere insieme, credevo, per sempre.

Lui lavorava come impiegato in una impresa edile del mio paese e essendo la vita lì senza troppe pretese, il bisogno che io lavorassi era inesistente. Stavamo bene sia come coppia sia come tutto. La vita sembrava ci sorridesse ed eravamo felici. I guai cominciarono quando Federico fu licenziato perchè l’impresa aveva seri debiti con le banche. Da quel giorno in casa mia non è regnata più la pace ma la guerra continua. Non sapevamo cosa fare, era da poco nato anche Nicola e si doveva badare anche a lui, il mio regno tanto solido era crollato e si era frantumato in mille pezzi, come la mia vita. Fu un periodo nerissimo. Inizialmente facevamo uso dei pochi soldi che avevamo messo da parte, ma poi, la situazione diventava sempre più critica, giorno dopo giorno e noi eravamo impotenti e non potevamo affrontare il futuro. Cercavo di infondere un po' del coraggio che Federico aveva dato a me, cercavo di scambiare i ruoli, ma non ci riuscivo il più delle volte. La situazione crollò la prima sera che Federico tornò a casa ubriaco fradicio. Fu lite e di quelle ne ricordo un’infinità e molte volte terminavano con le botte e col bambino in lacrimoni per lo spavento. Una sera, dopo l’ennesima lite cacciai di casa mio marito e da allora non lo vidi più. Caddi nella più totale disperazione, ero una donna sola e non sapevo cosa fare, con un bambino che aveva fame per lo più. Non sapevo fare niente, non avevo mai lavorato, non avevo esperienza in niente e fu proprio la disperazione che mi portò nel mondo della prostituzione. Lasciai il mio paese e la mia vita da sgualdrina era conclamata. Sapevo che era l’unica cosa che io potessi fare. Ero cambiata radicalmente, non avevo mai fatto certe cose, ma ero a conoscenza che avevo un bel corpo e un bel viso e nessuno avrebbe indugiato nello scoparmi almeno una volta. E a dir che ero arrivata al matrimonio vergine. Avevo dato me stessa solo a Federico, ora ero di tutti. Ma non fu facile. Ricordo che la mia prima volta fu traumatica. Scappai via dal cliente e vomitai dietro una siepe. Ma a poco a poco imparai a convivere con tutto il mondo che mi circondava e me ne feci una ragione, non tanto per me ma per mio figlio, io dovevo crescerlo, dovevo mantenerlo e lo avrei fatto a qualsiasi costo.

 

La giornata passa in fretta ed oggi ho avuto solo poco tempo per stare con il mio bambino. Era felice di stare con la sua mamma dalle mille facce. Povero piccolo che ho messo al mondo. Volevo garantirgli un futuro migliore, ma cercherò di darlo ugualmente questo futuro che io sogno tanto per lui. Lui non deve soffrire come me, lui deve essere felice come tutti gli altri bambini. Oggi, mentre chiacchieravo con lui, ad un tratto, mi dice:

"Mamma, non andare via stasera. Mi lasci sempre solo con Sara ed io non voglio più."

Povero pupo, aveva quasi i lacrimoni, ma come un piccolo uomo non ha fatto fuoriuscire quelle lacrime che avrebbero ammesso la sua paura, a quell’età era già un ometto orgoglioso. Mi ammutolì, non sapevo cosa rispondergli.

"Lo sai che mamma deve lavorare, se no come facciamo a vivere? Lo capisci vero?"

Chinò il capo come cenno affermativo.

"Però promettimi che ritornerai presto domani, va bene?"

"Certo tesoro", gli dissi e lo abbracciai forte forte.

Sara arrivò dopo poco tempo. Io andai in camera mia a prepararmi. Il mio vestito era pronto. Diedi un ultimo tocco alle calze a rete che avevo strappato la notte prima dato che non ne potevo comprare un altro paio e, una volta indossate le scarpe a spillo, mi diressi alla porta. Sentivo Nicola parlottare con Sara. Volevo essere io al posto di Sara, mio figlio doveva parlare con me. Chissà se un giorno me lo avrebbe rinfacciato tutto questo assenteismo nei suoi confronti. Non era tempo di pensarci. Aprii la porta e li lasciai alle mie spalle.

 

Vanessa aveva già appiccato il piccolo fuoco anche per me. Il mio posto non era stato toccato da nessuno.

"Hai saputo la novità?", mi dice preoccupata.

"No! Dimmi! Cosa è successo?"

"Non sai niente della africane? Quelle bastarde hanno quasi occupato il nostro territorio per non parlare dei prezzi che fanno. Devono proprio essere morte di fame per fare quelle tariffe oltre che a toglierci i clienti a noi. Si deve trovare una soluzione."

Vedevo Vanessa molto preoccupata.

"Troveremo una soluzione", le dissi cercando di rassicurarla.

"Lo spero", disse e si allontanò mettendosi a posto i capelli lunghissimi e biondi. Era davvero una bella ragazza, il suo destino poteva essere migliore, come il mio d’altronde.

Quella sera riuscii a racimolare parecchio. Sembrava come se i clienti non ne avessero mai abbastanza. Ci voleva quello, chi quell’altro, erano incontentabili. Metto a posto la mia borsa e non mi accorgo che si sta fermando una macchina proprio davanti a me. Era una macchina della polizia. Mi gelò il sangue nelle vene, non ero pronta ad affrontarli. Ma stranamente, il via vai delle persone era del tutto normale. Mi sembrava così strana la cosa! Pensavo ad una retata o cose del genere. Dentro l’auto ci sono tre uomini. Mi guardano e quello che sta alla guida si passa la lingua tra le labbra. E’ evidente che vuole scopare. Ma non mi ero accorta che lo volevano anche i suoi amici.

"Quanto vuoi per tutti e tre?"

Non avevo avuto mai di quelle occasioni, ma non mi persi d’animo, uno, due otre erano la stessa cosa, io ero solo l’oggetto di sfogo e basta, si, si faceva per sfogo.

"Quanto basta", risposi.

"Monta!", mi disse quello seduto dietro, "Ci divertiremo un casino!"

Senza un attimo di tempo salii sull’auto. Ci appartammo vicino al parco e lì mi montarono in tre. A differenza degli altri clienti, questi non venivano mai, mi hanno fatto proprio soffrire. A lavoro finito chiedo la mia paga. Si mettono a ridere, come dei porci ubriaconi, le loro risa sanno di sporco, come me.

Mi si avvicinano tutti e tre e comincia una raffica di calci e pugni senza fine. Mi lasciano mezza morta e sanguinante. Rimettono la macchina in corsa ed io, come un cane bastonato che ha voglia di mordere chi gli ha fatto del male, mi metto al loro inseguimento.

"Bastardi! Siete dei luridi bastardi!", e giù fiumi di lacrime. Amare lacrime.

 

Torno a casa dopo essermi lavata alla meglio cercando di nascondere le percosse subite, ma inutilmente. Apro la porta e mi ritrovo di fronte Sara, più serena che mai.

"Ti hanno pestato vero?" e allargò le braccia.

In lei, in quel momento vidi mia madre, protettiva, comprensiva, umana.

L’abbracciai e le lacrime non si volevano arrestare. Piansi con piacere, espulsi tutto il veleno e la rabbia che si covava in me.

 

Quella vita di merda deve finire. Già la mattina seguente compro il giornale della città e do un’occhiata agli annunci economici. Ne trovo uno interessante, da segretaria, pagano poco i primi tempi, ma non importa, non tornerò mai più nel fango. Sono emozionata. Ho fissato un appuntamento con il titolare dell’impresa. Deve essere una brava persona, una voce così pacata, affascinante. Deve essere anche un bell’uomo. Non vedo l’ora di conoscerlo. L’appuntamento è alle cinque di questo pomeriggio. Ci vado in macchina, spero solo che questo vecchio macinino ce la faccia a portarmi a destinazione. Ci riesco.

Il palazzo che mi trovo davanti è immenso. Tutto di cristallo. Prendo l’ascensore e il decimo piano sembra non arrivare mai. Si aprono le porte e l’ufficio è davanti ai miei occhi. Busso e un tremito si impossessa del mio corpo.

"Avanti", sento, è la stessa voce pacata del telefono, è quell’uomo, voglio vederlo.

Apro lentamente la porta, quasi con timore. Entro dentro. Avanzo nella penombra. Dietro la scrivania c’è lui che mi aspetta. Potrà avere sui quarant’anni, li porta benissimo. Nell’oscurità vedo il riflesso di una fede nuziale. Peccato! E’ sposato, ma non importa. Mi avvicino a lui. Si alza e il mio cuore smette quasi di battere. E’ uno di quei porci, è lui, la voce pacata che nell’auto mi ha pagata per tre volte in più, è lui, colui che sposato va a fottere le puttane per strada. Mi sorride. Provo schifo per lui, non per me questa volta. Le lacrime scendono lente e nello stesso silenzio di come sono entrata, esco, vado via da lui, dal porco che la moglie non riesce evidentemente a soddisfare.

 

Un altro tocco di rossetto, la minigonna, un’occhiata ai capelli. Tutto a posto, posso andare. Raccomando a Sara di stare attenta a Nicola. Lei non parla più. Esco di casa, tiro un lungo sospiro e mi accingo a raggiungere, a piedi, quella che è la via della mia vita finita ormai: via Lugano.