Alberto Di Lupo

Albelupo è un pessimo elemento. E'  brutto, sporco, cattivo e anche un pò antipatico. Odia i piccioni ed ama la cioccolata. A volte sta bene, a volte no. Da grande vorrebbe tanto comprarsi un fucile da tiro selettivo. Se lo incontrate, cambiate marciapiede.

BAMBINI CATTIVI

Dal diario di Viktor von Hankermann, maggiore delle SS.

23 dicembre 1939

No, non mi piace questo posto. Vorrei tanto essere ancora alla Linea Sigfrido a prepararmi per il secondo atto di questa magnifica guerra lampo, e invece da quattro giorni mi trovo nel gelo della campagna polacca per una missione che ha dell’incredibile. Non riesco a crederci, proprio non ce la faccio a concepire la natura del compito che mi è stato affidato, ma l’ordine è arrivato direttamente dal piano più alto che ci possa essere per un uomo delle SS, quindi lungi da me ogni possibile dubbio su quest’operazione. Se Himmler in persona mi ha voluto qui, cascasse il mondo non lo deluderò.

Per il resto, quaggiù le cose si stanno svolgendo regolarmente: i miei uomini, soldati selezionati direttamente dalla Leibstandarte Adolf Hitler, vigilano attenti il campo base, con particolare riguardo per la sezione di cielo che ci sovrasta, costantemente puntata dalle orbite vuote di quattro cannoni da 88. Ci troviamo a venti chilometri a nord di Kunto, in mezzo ad una piatta distesa di neve e terra ghiacciata. Ho organizzato il campo secondo le direttive contenute nel protocollo di Himmler, rispettando al dettaglio tutte le coordinate; d’altronde il Reichsfuhrer si è esplicitamente raccomandato su questo punto: secondo le informazioni dei servizi segreti il nostro bersaglio passerà proprio su questo scorcio di cielo in una notte compresa tra il venti e il ventiquattro.

Anche stanotte, come al solito, ho personalmente osservato il firmamento per un’ora, dalle 22 alle 23, senza che niente attirasse la mia attenzione o quella delle altre vedette: solo stelle, fulgide stelle piccole e lucenti come tanti diamanti, ed una luna eccezionalmente viva che dona una strana fluorescenza al manto di neve. Freddo e silenzio, ecco la notte nella campagna di Kunto.

Alle 23 mi sono ritirato nella mia tenda a prendere un tè col tenente Gunther, un brav’uomo dotato del raro pregio della conversazione. Mi piace parlare con lui, è quasi rinfrancante; insieme abbiamo trascorso più d’un ora rievocando i grandiosi eventi di appena quattro mesi fa: l’avanzata fulminante, la gioiosa infallibilità della blitzkrieg, il sapore inebriante della vittoria……la Campagna di Polonia è stata fantastica, assaggio e preludio della gloria verso cui ci sta innalzando il nostro Fuhrer.

Adesso è l’ora di coricarmi. Nonostante il più di questa missione si riduca ad un semplice appostamento, mi sento stanco e assonnato. È colpa dell’attesa, la vuota attesa di qualcosa di assurdo che ancora non riesco ad accettare. Mi trovo a chiedermi come reagirò quando lo vedrò, e soprattutto come reagirà il plotone. Vincolati dal segreto militare, anche i soldati sono consapevoli del nostro bersaglio, ma loro non sembrano preoccuparsene minimamente, comportandosi come se questa fosse la più normale tra le missioni.

Ma ora basta, le palpebre cominciano a diventare troppo pesanti per continuare. Ho già steso il rapporto e distribuito i turni di guardia per la notte, e anche se le vedette hanno l’ordine di svegliarmi al primo avvistamento mi sento intimamente sicuro che anche per stanotte non succederà niente. Se qualcosa deve accadere, so che sarà domani.

 

24 dicembre 1939

E così, alla fine, l’impossibile è realmente accaduto.

Alle 23 e 30 mi trovavo disteso sulla mia branda, al buio, sempre vestito e perfettamente sveglio. Avrei dovuto compilare il rapporto sulla serata e mettermi a dormire, ma sapevo di dover aspettare……lo sentivo, sentivo che stava per giungere. Con gli occhi chiusi e i sensi all’erta ascoltavo il soffio ritmico del vento che ci teneva compagnia dal pomeriggio, pronto a captare il primo segnale di avvisaglia. All’esterno i soldati svolgevano le loro mansioni in silente efficienza, solo occasionalmente li sentivo scambiarsi qualche arida parola ad interrompere brevemente la muta vigilanza. Tutto era calmo, la campagna piatta e desertica suggeriva di rassegnarsi all’inutilità della missione, quando ho udito passi veloci avvicinarsi alla mia tenda. Si è aperta l’entrata, e insieme a una folata di vento si è fatta avanti la sagoma nera del tenente Gunther.

--Signore?— ha detto Gunther rivolgendosi al buio.

--Sono qui tenente. Che succede?—

--Un avvistamento—

Non aveva ancora finito di parlare che già ero fuori dalla tenda, dove ad attendermi c’era un soldato con la radio collegata alle postazioni. Gunther mi ha passato un binocolo indicandomi un punto nel cielo, là dove avrebbe dovuto esserci l’orsa maggiore se il firmamento non fosse stato oscurato da una coperta di nubi. Ho guardato dentro le lenti del binocolo, ma prima ancora di vedere ho sentito. Con un forte soffio il vento mi ha portato agli orecchi un urlo lontano.

--…..yahooooo…..yahoooooo….—

Urla d’incitamento, ecco cos’era quel verso profondo che scendeva dal cielo, e dopo una breve ricerca ne ho individuato la fonte.

--È lui, signore?— ha chiesto Gunther. Ho guardato attentamente quella figura lontana che ignara si apprestava a sorvolare la nostra postazione mimetizzata. Il buio profondo della notte senza luna permetteva di distinguere ben poco del nostro bersaglio, solo una forma lunga che volava in un silenzio rotto dalle urla del suo pilota.

Si, non c’erano dubbi: era proprio lui.

--Ci siamo Gunther, avverta le postazioni—

Il tenente ha trasmesso l’ordine, dalla radio hanno risposto che attendevano l’autorizzazione a procedere. Ho aspettato ancora qualche secondo, il bersaglio doveva accorgersi di noi solo quando non avesse avuto più possibilità di fuga.

--…..YAHOOO….AVANTI BELLE….YAHOOO…-- continuavano le urla, adesso perfettamente distinguibili.

--Signore?— ha chiesto Gunther in attesa dell’ordine. Ho aspettato ancora una manciata di secondi, osservando quella struttura improbabile avvicinarsi da nord con la velocità di un Messerschmitt.

--…YAHOOOO…YAHOOOOOOOOO…--

L’intensità di quel grido possente mi ha fatto capire che sì, era giunto il momento. In una sola, singola parola, ho sciolto la tensione con cui Gunther stringeva il microfono, condannando irrevocabilmente il nostro bersaglio.

--Fuoco— ho detto, e quasi contemporaneamente il tenente l’ha ripetuto alla radio. Un istante dopo l’oscurità del cielo è stata squarciata dal lampo improvviso dei nostri riflettori, così che d’un tratto il bersaglio è divenuto perfettamente visibile.

Inconcepibile, assurdo, favoloso……no, non esistono aggettivi per descrivere la figura che ho visto stagliarsi nella luce dei riflettori. Una slitta, ecco cos’era, una slitta di legno lanciata in un volo impossibile, trainata da dieci renne che correvano come se sotto le loro zampe vi fosse stata una strada invisibile. Con un misto d’incredulità e fredda determinazione ho visto le bestie rallentare, confuse dal bagliore che le aveva investite; poi nella campagna ha rimbombato la detonazione di un cannone. Il primo colpo ha mancato il bersaglio di pochi metri, sbalzandolo però con l’onda d’urto. Slitta e renne hanno vorticato in confusione precipitando per una cinquantina di metri, finché il loro pilota non è riuscito a riacquistare il controllo del veicolo. Con l’abilità di un asso dell’aviazione ha invertito il percorso della slitta in un tentativo di fuga tanto abile quanto disperato: troppo tardi per scappare, ormai era chiuso in un tiro incrociato da nord e da est. Il secondo colpo che ha fatto tremare la neve sotto ai miei piedi l’ha preso in pieno, disgregando le renne in un botto di sangue e carne.

Gunther si è lasciato sfuggire un’esclamazione di giubilo, mentre io sono rimasto in completo silenzio osservando la slitta precipitare in un dardo infiammato.

--Tenente, organizzi una squadra di recupero— ho detto ritirandomi nella mia tenda. Una volta dentro non ho avuto altro da fare che sedermi a fumare un sigaro aspettando il ritorno della squadra. Strani sentimenti contrastanti su ciò che avevamo fatto cominciavano ad affiorarmi dentro, ma senza troppo sforzo li ho zittiti per concentrarmi sulla missione non ancora completata. Circa una mezz’ora dopo Gunther è tornato nella tenda.

--Signore, la squadra è di ritorno—

--Cos’hanno trovato?—

--Il mezzo era quasi del tutto bruciato. Hanno recuperato pochi oggetti ancora riconoscibili, e il pilota—

--Il cadavere era ancora intatto?—

--Non un cadavere signore, il pilota è sempre vivo—

La notizia mi ha meravigliato: sempre vivo dopo un colpo di contraerea ed un volo del genere. Scorgendo il mio stupore, Gunther mi ha esposto lo stato del prigioniero.

--Non è in buone condizioni, probabilmente durerà ancora poco. Adesso il dottore lo sta medicando per metterlo in condizione di riceverla—

--Ottimo, avvertitemi appena sarà pronto. Per adesso fatemi vedere gli oggetti recuperati—

Gunther si è affacciato fuori dalla tenda e ha chiamato un soldato, l’uomo è entrato portando un sacco di tela. Uno ad uno ha tirato fuori i reperti disponendoli a terra: una testa di bambola, un orsacchiotto di pezza mezzo bruciato, le gambe di legno di un burattino……

--Tutti giocattoli?— ho chiesto.

--Sissignore, tutti giocattoli—

--Allora non c’è bisogno che li veda. Bruciateli—

--Sissignore—

Il soldato è uscito per adempiere al compito, mentre Gunther si è trattenuto dentro.

--Tenente, cosa c’è?—

--Signore, permetta una domanda—

--Avanti, Gunther—

--Ma lui….lui è veramente….—

Comprendendo la natura della domanda non gli ho permesso di formularla. Nelle direttive della missione è esplicitamente ordinato che il nome del soggetto non venga mai pronunciato, a beneficio dell’integrità degli uomini.

--Silenzio tenente, sappiamo entrambi di chi si tratta. Ora torni ai suoi compiti—

--Sissignore, scusi—

Gunther è uscito, ed io sono tornato al mio sigaro che nel frattempo si era spento. Poche boccate dopo il tenente è venuto a chiamarmi: il prigioniero era pronto.

Erano le 24 e 43 quando entravo nella tenda contrassegnata dalla croce rossa. All’interno l’ambiente era diviso in due locali da un lenzuolo bianco a separare l’ambulatorio da un’anticamera; lì mi attendeva il dottore per aggiornarmi sulla situazione del prigioniero.

--Ustioni di terzo grado sul settanta percento del corpo, riporta svariate lesioni interne ed inoltre ho dovuto amputargli un braccio. L’ho sedato con la morfina per calmargli i dolori, ma ha dimostrato una tolleranza fuori dalla norma— ha detto, per poi aggiungere –Signore, un uomo normale sarebbe morto in quelle condizioni: oltre alle ferite letali, tutta quella morfina avrebbe mandato in overdose un cavallo—

--Dottore, sappiamo bene di non trovarci di fronte ad un soggetto qualsiasi. Adesso per favore ci lasci soli—

Il dottore è uscito mentre io superavo la tenda divisoria procedendo con passi meccanici. Solo quando mi sono trovato davanti al capezzale del moribondo ho veramente realizzato con chi avevo a che fare: un mito secolare, un essere leggendario, una creatura straordinaria a cui avevo smesso di credere da tempi immemorabili e che invece adesso mi giaceva davanti, immobile, sopra un lettino operatorio. Era una massa immensa dalle fattezze umane, un corpo obeso di oltre cento chili coperto da un lenzuolo da cui sbucava solo la testa. Aveva gli occhi chiusi, e prima di attirare la sua attenzione mi sono soffermato qualche istante ad osservare quel volto che fino ad allora avevo visto solo disegnato. Bé, non che fosse molto simile alle sue effigi, le ustioni lo rendevano a malapena riconoscibile: il suo mitico barbone bianco e soffice come una nuvola era ridotto ad un grumo di peli bruciati, e così le guance floride e paffute crostificate in lucida carne nera. Mentre ancora lo osservavo cercando di accettare la sua esistenza, lui ha aperto gli occhi fissandoli nei miei, uno sguardo azzurro e benevolo reso vacuo dalla droga.

--Salve, sono il maggiore Viktor von Hankermann. Immagino si stia chiedendo cosa le sia accaduto—

--……Dio…..Dio….che avete fatto?……-- ha detto con voce stentorea.

--Che abbiamo fatto? Abbiamo solo eseguito degli ordini, ordini in cui crediamo. Il mondo sta marciando veloce verso un nuovo Ordine, e nostro è il compito di aprirgli la strada—

--……i….i ba…bambini….Dio….i bambini…..non capite….—

--Oh, no, capisco benissimo; è lei che non capisce: nell’Ordine Nuovo non c’è spazio per le vecchie leggende. È giunta l’era di nuovi miti, nuove usanze e nuove credenze. Gli esseri come lei sono divenuti obsoleti—

--…avete u…u…ucciso…..ucciso il…N….Natale…..—

--No, il Natale continuerà ad esistere, solo il suo paladino non ci sarà più. Tutto ciò che non può essere controllato dal nostro Fuhrer è destinato ad estinguersi—

--…pazzi…….solo dei pazzi….—

--Pazzi? Ci chiama pazzi? E noi come dovremmo chiamare una creatura che vola su una slitta con l’unico fine di portare regali in giro per il mondo? Non so come sia possibile ed immagino che mai lo saprò, ma lei ha un grande potere, e il miglior uso che è riuscito a farne è una disinteressata opera sociale. No, lei è il pazzo—

Ho finito di parlare, e lui non ha avuto altro da aggiungere. Avevo adempiuto alla necessità di fargli conoscere il motivo della sua morte, adesso era giunto il momento di porre fine alla mia missione.

Gli ho puntato la mia Luger tra gli occhi ed ho sparato. Un buco gli si è aperto sulla fronte, mentre una macchia di sangue si andava allargando sul cuscino. La pallottola gli aveva attraversato il cervello uscendo dall’altra parte, tuttavia……tuttavia era sempre vivo.

--….ughhhh….gghh…gah…gahh…..gggaahhh….-- ha cominciato a farneticare, ormai incapace di esprimersi. Era proprio penoso vedere un simile essere ridotto ad un ammasso cerebroleso di carne martoriata, così gli ho svuotato il caricatore a bruciapelo sperando che almeno questo servisse a porre fine alla sua esistenza. Sette colpi in rapida successione; quando ho finito la metà superiore della sua fronte non esisteva più. Finalmente era morto. Consapevole dell’immensità dell’evento, ho voltato le spalle alla carcassa e sono uscito.

Fuori c’erano Gunther e il dottore ad aspettarmi. Ci siamo scambiati silenti sguardi d’intesa, dunque il dottore è entrato per gli accertamenti clinici. A questo punto stavo per dare a Gunther gli ultimi ordini sulla missione quando abbiamo udito uno sparo provenire da un tendone della truppa. Siamo corsi a vedere, per trovare tre soldati attorno al corpo di un camerata. Il morto giaceva con in mano la sua pistola, mentre fili di fumo gli uscivano dalla bocca.

--Che è successo?— ho chiesto.

--Il camerata Hunde……ha detto il nome del prigioniero, poi si è sparato— mi ha risposto un soldato. Già, un debole che non ha retto alla forza dell’avvenimento, un sentimentale annientato dalle proprie emozioni. Ho pensato che fosse un bene che un simile uomo si fosse tolto la vita, quelli come lui non sono degni di vivere nell’Ordine Nuovo, tuttavia ho ritenuto opportuno evitare di esprimere i miei pensieri. Un suicidio non giova al morale della truppa, tantomeno in un momento delicato come quello in cui ci troviamo, così ho deciso di rinfrancare il morale dei soldati con un discorso. Dopo aver dato ordine che il corpo fosse coperto e trasportato all’esterno, ho detto a Gunther di radunare il plotone davanti alla mia tenda.

Cinque minuti dopo i soldati erano allineati davanti a me, in tacita attesa delle mie parole. Ho aspettato qualche secondo di silenzio perché tutta la loro attenzione fosse focalizzata su di me, dunque ho cominciato a parlare:

--Camerati, oggi è un grande giorno. Mentre il Fuhrer eleva il nostro popolo verso le vette che gli spettano per diritto di natura, noi ci siamo resi degni di appartenere a questa razza scrivendo una pagina grandiosa nella Storia del Mondo. Anche se nessuno saprà mai cos’è successo oggi, anche se i nostri nomi non compariranno mai in nessun libro di storia, tuttavia noi saremo pur sempre coloro che hanno dato una svolta fondamentale all’esistenza umana. Eroi, ecco quel che siamo, e come tali dobbiamo dimostrarci degni del ruolo che il Destino ci ha riservato. Il camerata Hunde si è rivelato un debole, lasciandosi vincere da sentimenti infantili che proprio non si addicono ad un milite dell’Ordine Nero. Siate forti o miei camerati, siate all’altezza della razza a cui appartenete, e soprattutto siate consapevoli della profondità con cui stanotte abbiamo solcato il futuro dell’umanità. Per il popolo, per il Fuhrer, per il Reich: HEIL HITLER—

--HEIL HITLER— hanno risposto i soldati in un sol coro, e col saluto è finita l’adunata. Ho detto a Gunther di radunare una squadra per la cremazione del corpo del prigioniero, poiché direttiva primaria della missione è che di lui non resti alcuna traccia. Probabilmente non sarà semplice eliminarlo completamente, oltre ad essere estremamente grosso quel corpo ha già dimostrato doti sovrumane, quindi non mi stupirei se si rivelasse particolarmente resistente anche al fuoco. Comunque sia, so che Gunther riuscirà a risolvere qualsiasi problema.

Quando sono tornato nella mia tenda ho steso il rapporto finale sulla missione, un documento segreto destinato esclusivamente all’attenzione di Himmler, e terminata anche l’ultima formalità burocratica sono stato finalmente libero di analizzare la situazione. Continuo a pensare al nostro "prigioniero" e a tutto ciò che rappresentava, ed il suo pensiero richiama inevitabilmente antichi ricordi d’infanzia. Rivedo vecchi natali in famiglia, riassaporo la meraviglia dell’albero addobbato che riluceva in sala da pranzo e rivivo la gioia dei regali scartati. Chiudo gli occhi, e per pochi preziosissimi istanti torno a sentirmi bambino………

………un bambino cattivo, molto molto cattivo.