Giuseppe Alizzi

ho 30 anni, sono laureato in lingue e letterature straniere. La parola, il linguaggio, sono la mia vita.

CIPDNC
(L'ASSOLUTO)

Genesi: Cercare Il Posto Dove Non C'è, non il posto dove c'è, questo il dilemma dei dilemmi; ovviamente cercare il posto dove non c'è è un rischio, il posto stesso rischia di non esserci, ma non solo, rischia di non esserci nemmeno chi cerca. Allora per evitare la zerità di tale atto, bisogna fare calcoli che mettono in operazione la Terra stessa.

In principio...
i cieli e la terra. La Terra
era senza forma e vuota, e la tenebra
era sulla faccia degli abissi...
e si muoveva sulla superfice delle acque

e cosí via, fino a ritornare obbligatoriamente alla presenza del soggetto che scrive. Strano come in un tempo quando il soggetto era cosí fuso col paesaggio, si sentiva il bisogno di staccarlo dalla Terra per far sí che il mondo parlasse di sé. L'antico testamento dà una svolta alla letteratura egiziana; il paesaggio segna orizzonti dietro i quali si nasconde la necessità del soggetto (dio), il punto dove il cielo tocca la terra formando le figure che mettono soggezione (l'io): produzione di soggetti in contrasto tra loro: il punto dove è possibile profetizzare il male.
Chiariamo subito che il cercare il posto dove non c'è non comincia con Dio, Dio è solo una delle tante (s)comparse causate da tale ricerca. Il 'cercarei il posto dove non c'è' prende una direzione apparentemente opposta con l'archeologia o l'antropologia. Poiché esiste solo il soggetto come opposto all'oggetto, anche nella sua disperata negazione, il CIPDNC cade nel documentaristico. Il CIPDNC non avrà mai fine perché ha come punto di partenza la sua piena realizzazione; il CIPDNC non avrà mai fine, non tanto perché non c'è il posto, ma perché tale ricerca si regge sull'invenzione di posti da cui spostarsi. Abbiamo cosí il migrante (spostamento da un posto a un altro, possibilmente per tornare al posto di partenza senza senso di appartenenza); il nomade (lo spostamento assoluto, la Terra intera intesa come il trasloco dei traslochi); e il turista (breve spostamento, intenso di esotismo che contiene in sé l'esperienza del migrante e del nomade). In tutti e tre i casi il CIPDNC viene rimpiazzato con l'invenzione di un posto che non c'è (cioé, il posto ideale) per poi essere il punto di partenza, e quindi di ritorno, del CIPDNC.
Qualcuno un giorno apre gli occhi e dice: "ma che ci sto a fare in questo posto", e se ne va, rinasce altrove; rinascita che dura poco per riaprire gli occhi e dire: "ma ho trovato qualcosa in questo posto?"; cambiare di nuovo posto non serve a niente e tornare nel posto natio nemmeno. Qualcuno un giorno apre gli occhi e dice: "ma che ci sto a fare con lui? Mi ha sempre trattato di merda.", e se ne va; ma deve ricostruirsi, riprendere la vita senza quel qualcuno che lo faceva sentire vivo. Ricaderci un'altra volta con qualcun altro, no, ma guardare avanti e vedere lo spazio immenso è insopportabile. Mia madre e noi figli cambiavamo casa continuamente e lasciavamo sempre un passato in ogni casa come una storia a sé; ma i traslochi si ripetevano fino al punto che si perdeva il senso di movimento, si perdeva il senso di spostamento da un posto all'altro.
Paul Virilio ha scritto un libro sul CIPDNC: L'estetica della sparizione, ma anche Virilio costruisce tale posto, per farlo diventare il posto che non c'è.
Non confondiamo "il posto dove non c'è" con "il posto che non c'è". "Il posto che non c'è" è una frase di senso compiuto che si sottrare da se stessa, mentre "il posto dove non c'è" è la frase che deve compiersi nell'assenza della domanda che da sé urge (il posto dove non c'è che cosa?). Sembra tuttavia che Virilio ci sia arrivato vicino, ma rimane da chiedersi che cosa intende per estetica quando parla di sparizione (o assenza), e perchè ha bisogno di dare al CIPDNC una mappa scientico-artistica; basta con le mappe, non portano da nessuna parte. La mappa per indicare le vie della sparizione?
Leggiamo: "Bernadette diventava molto pallida in quel momento, 'un bel bianco velo di cotone cadere sul suo viso', poi ritornava 'stropicciandosi gli occhi e il viso era di nuovo vivo di colore'...ma l'apparente somiglianza con l'epilessia finisce qui, perché Bernadette, durante l'estasi, è capace di muoversi, di mangiare, e al ritorno, sa raccontare cosa è successo."
Il CIPDNC deve evitare proprio queste distinzioni, deve coprire tutto, che si tratti dell'apparizione di Bernadette, o che si tratti di un attacco epilettico, altrimenti nel primo caso abbiamo solo un problema psicologico e nel secondo caso solo una malfunzione del cervello. Virilio vuole tracciare la mappa credendo di dare una direzione piú corretta di quella data da Heidegger; quando quest'ultimo si pone la semplice domanda "perché c'è l'essente invece che il nulla?" (Introduzione alla metafisica), in effetti traccia tutte le mappe possibili. Ma tale domanda rischia di ridursi a 'perché c'è qualcosa da dire invece che niente?', domanda che costringe Derrida a cominciare un discorso filosofico partendo dalla lettera 'a' (I margini della filsofia). Anche Mille plateaux, il libro di Deleuze e Guattari, è un tentativo di tracciare la mappa del CIPDNC, ma ancora una volta la mappa diventa solo il luogo assoluto da cui è impossibile spostarsi; quando la scrittura traccia una mappa deve necessariamente portare da nessuna parte, può solo indicare tutti i possibili spostamenti. Qui diventa importante il concetto che Baudrillard (Simulacro e simulazione) estrae dalla favola di Borges dove i cartografi dell'Impero disegnano una mappa cosí dettagliata che finisce per coprire in modo esatto tutto il territorio. La mappa stessa diventa il territorio, riferendosi solo a se stessa, indicando tutti i possibili spostamenti dell'unico posto da cui è impossibile spostarsi. La stessa fine ha fatto la filosofia.
Deleuze e Guattari parlano di Liscio e di Striato, rispettivamente il deserto e la città, differenza indifferente poiché è possibile una vita 'liscia' in città, e una vita 'striata' nel deserto (il giovane Geremia, eremita nel deserto della Siria). Il nomade che va da un posto all'altro senza in effetti essere in nessun luogo; il pensiero nomade che, non andando in nessun posto, è in effetti dappertutto. In entrambi i casi si tratta del CIPDNC, l'intellettualità: là dove essere d'accordo o non esserlo non fa alcuna differenza, si evita solo la zona in mezzo dove tutti pensano la stessa cosa. Ecco perché tutto inizia e finisce in mezzo (nel mezzo del cammin di nostra vita...), ecco perché se si parla di Uno (che diventa 2,3, etc,) o se si parla di molteplice, non fa alcuna differenza. La distinzione (tra liscio e striato, o tra qualsiasi cosa) si regge solo sul fatto che tutto è mischiato, allora, allora niente, punto di non partenza, e punto di non ritorno.
Dobbiamo assumere l'ipotesi che si inizia con un paesaggio. Lo straordinario film 'Medea' di Pasolini pone il paesaggio (la Terra) come la vera e propria visione di cui i nostri occhi sono vittima (trompe-l'œil); è il paesaggio che prende gli aspetti piú terrificanti quando si tenta di faccializzarlo, il naturale e l'innaturale si conformano rendendo la Terra un vortice di forze, un' apparenza. Il centauro. Medusa.
L'idea di Baudrillard della genesi intesa come conseguenza di quell'effetto (pittorico) chiamato "trompe-l'œil" (inganno dell'occhio-, vedi Il crimine perfetto), bisogna focalizzarla sul paesaggio; l'idea di Deleuze e Guattari dell'era primitiva intesa come un'era in cui la faccia non aveva lo stesso significato che ha oggi, deve essere indirizzata verso il paesaggio. Deleuze e Guattari sanno benissimo che l'inizio ha una faccia, ma lo dicono in modo labirintico, cioé nel modo piú appropriato allo scrivere una mappa. Tutte le vie portano all'urgenza di dare una faccia al paesaggio, é questa urgenza che scatena l'immaginario di facce e creature immonde. Quando è successo? Forse un secondo prima che questo immaginario trovasse le vie dell'arte. Se il momento in cui l'universo aveva, come età, un secondo, è accessibile alla scienza, è possibile anche pensare al paesaggio come il momento in cui l'immaginario dell'arte aveva la stessa età. Nel film di Pasolini il centauro dice tutto quello che c'è da dire, tutta la filosofia. È l'urgenza di dare una faccia a Dio che riduce la Terra allo stato di "formaggio svizzero" perché passi il soggetto da tutti i buchi, quest'io-topo, il creatore. Le genesi deve avere un soggetto. Al contrario di quello che sostengono Deleuze e Guattari, il primitivo, quindi, è una faccia; si comincia dal paesaggio, ma il paesaggio deve essere immediatamente faccializzato, la Grecia e l'Egitto offrono una perfetta geografia della faccia. Il sole. Il deserto. Solo cosí si spiega come il Cristo diviene la faccia assoluta. La sintassi del viso. Solo cosí si spiega come oggi, in assenza del paesaggio, tutto passa da viso a viso, da sintassi a sintassi, da linguaggio a linguaggio, una continua produzione di posti dove il mondo esterno non è piú preso in considerazione. Certo, si puó andare dovunque per tentare di capire (in Egitto, in India, nel deserto, in Grecia...come turista, come nomade, come migrante...), ma il paesaggio viene comunque interiorizzato. Il film 'Il deserto rosso' di Michelangelo Antonioni mostra come l'Esistenzialismo deve necessariamente cominciare davanti ad un paesaggio industrializzato: quando non si ha piú un paesaggio primordiale con cui confrontarsi (che permette il 'divenire-un-paesaggio'), allora ci si trova davanti all'Esistenzialismo, perché in assenza del paesaggio naturale, esistere sta proprio nel distacco; non è piú possibile essere un paesaggio, bisogna trovare una linea di esistenza tra sé e il paesaggio: l'Esistenzialismo. Quando la protagonista del film (Monica Vitti) racconta la storia della ragazza che passa il tempo da sola davanti a uno splendido paesaggio al mare, in effetti racconta la storia dell'essere-un-paesaggio. Ad un certo punto la ragazza sente una voce cantare e non si rende conto da dove viene, e cerca, per capire; in quel momento comincia la distanza tra sé e il paesaggio, ma poi si rende conto che quella voce non veniva da nessuna parte perché, come dice la protagonista, 'Tutto cantava'.
Con l'Esistenzialismo, Il CIPDNC trova nel paesaggio tutti i punti di distacco, non piú fusione. Nella grande metropoli è lo stesso, e la differenza è indifferente se bisogna tornare al paese di origine, se quando si resta si ricomincia a cercare ciò che sta davanti agli occhi, se spostandosi continuamente, il mondo stesso diventa il CIPDNC.
Un corpo morto al quale si vieta la miracolosa fusione col suolo, quindi la sua rinascita, può solo mortificare il paesaggio, il terreno, il corpo, il trapasso. Succede la stessa cosa con la pioggia: in quest'era tanto avanzata tecnologicamente, la pioggia non trova un punto di fusione col terreno dove asciugarsi in una metamorfosi che rende il terreno produttivo. Per questo le città si allagano e il terreno si prosciuga. La mummia è come la pioggia; se non trovano il punto di fusione col suolo, la mummia e pioggia continuano a vagare per il mondo. Mortificazione del corpo, prosciugamento del terreno. Succede la stessa cosa al linguaggio; quando si vieta la sua fusione col paesaggio (il non linguistico), il linguaggio vaga nel mondo eccedendo in significati. Il linguaggio mummia, il diluvio linguistico universale. La logica di questo è la logica del naturale che si fonde coll'innaturale, il limpido col cupo, Catullo che dice a Fabullo: un profumo,...
che se lo fiuti pregherai gli Dei
di farti diventare tutto naso.

La logica della distinzione, qualsiasi distinzione, si basa sul fatto che in realtà tutto è mischiato; a qualcuno piace chiamare questa mischia l'UNO, qualcun'altro preferisce chiamarla MOLTEPLICITÀ, ma è solo la distinzione basilare per rendere possibile un "discorso". Chi, guardando il paesaggio, sapendo che non c'è niente da dire, dovette lasciarsi andare debolmente al dicibile, e dovette quindi distinguere. Perché c'è qualcosa da dire invece che niente? Col linguaggio tutto smette di essere mischiato; il linguaggio mette tutto in bilico tra un estremo e l'estremo opposto; non è né dialettica né unitarietà.
Quando chi, in stato di ubriachezza, sbatte la verità in faccia all'amico, alla moglie, al marito, ferendoli nell'animo, il giorno dopo, se ricorda, si sente in colpa perchè crede che quello che ha detto in realtà non lo sente, in realtà, piú che non sentirlo, sa che il mondo va a pezzi quando si lascia andare alla distinzione tra ciò che uno sente (di dire) e ciò che uno non sente. Il male della distinzione non sta nel fatto che la distinzione implica una scelta, ma nel fatto che essa implica una cupa chiarezza: VINO VERITAS. La mappa, quale direzione prendere?
Troppa chiarezza abbaglia.
Mia madre ha ragione, perché non si aspettava che, dopo tanti anni di lavoro e fatica, i suoi figli sarebbero stati tanto incapaci di prendere certe responsabilità. Mia sorella Venera ha ragione, perché non può fare niente per cambiare le teste dei miei fratelli. Ha la sua famiglia e i suoi progetti a cui pensare. Mia sorella Rosa ha ragione, perché in realtà la vita passa e va dove deve andare comunque, allora inutile uscire di casa. Mia sorella Maria ha ragione, perché se mia madre avesse fatto le cose con piú criterio, sarebbe andata meglio. Mio fratello Nino ha ragione, perché nel mondo ci sono un sacco di pezzi merda, esseri frustrati e vigliacchi che si sentono vivi solo quando una persona buona e genuina passa sotto i loro piedi. Mio fratello Salvatore ha ragione, perché il lavoro non nobilita l'uomo ma lo rende schiavo di certi pezzi di merda. Io ho ragione, perché se non mi preoccupassi maniacalmente della mia famiglia, avrei potuto fare qualcosa di concreto.
Freud, Freud, Freud. Avrà detto tante sciocchezze, ma dalle tante verità che ha detto sono venute fuori correnti di pensiero filosofiche che escludono totalmente il fatto che una persona nasce e cresce dentro quattro mura domestiche. Quello che per Freud era solo un diagramma dei desideri diventa, con la filosofia post-freudiana, una mappa che indica tutte le vie d'uscita della ragione, l'entrata verso un mondo dove il novantanove per cento della popolazione fa un lavoro che detesta. Nausea su nausea, repressione su repressione, ma quale metafisica d'Egitto! Quale discorso che si eleva su una popolazione che aspetta il fine mese per dire 'ah, come vorrei...'!
Ecco perché la metafisica è possibile solo dentro il limiti del metalinguaggio.
Si era arrivati al punto in cui si credeva che tutto quello che non è possibile riportare in linguaggio, in effetti, non esiste. Si era arrivati al punto in cui si affermava che nel dire, per esempio, che la moneta è rotonda, non c'è nulla di assolutamente vero. Si era arrivati, anche scientificamente, al punto in cui, avendo accesso all'infinitamente piccolo, perfino la matematica non si basa su verita assolute: due piú due non fa sempre quattro. Si era arrivati al punto di dire che la realtà non è altro che apparenza, che tutto si regge sul principio d'incertezza. Ma come si fa a negare ciò che il linguaggio non sa tradurre oggettivamente? Come si fa a trarre conclusioni su non conclusioni, su doppie negazioni, sulla possibilità di dire tutto e il contrario di tutto (che poi non è mai il nulla)?
Se io e il mio amico parliamo d'amore, di sofferenza, di profumi, di checchessia, possiamo solo arrivare al punto in cui (attraverso diverse opinioni, attraverso l'essere o il non essere d'accordo) avremo parlato di tutto e il contrario di tutto. Ci possiamo solo rendere conto che è impossibile avere una conversazione unicamente orientata sull'argomento scelto (l'amore, la sofferenza, il benessere); ma anche se riuscissimo ad avere una lunga discussione su un argomento preciso senza minimamente uscirne fuori, non riusciremmo a trovare un modo oggettivo per esprimere, per esempio, l'amore. Dobbiamo per questo concludere che l'amore non esiste? No. Perchè, il discutere per ore d'amore senza arrivare a nessuna conclusione non toglie il fatto che io e il mio amico stiamo parlando di un qualcosa la cui assolutezza sta proprio nell'impossibilità di esprimerla oggettivamente con una frase. Il tentativo di definire oggettivamente l'amore impone un discorso sull'amore, sull'odio, sulla gelosia, sull'amicizia, sul denaro, sulla psicologia, sulla storia, etc, insomma un discorso su tutto che porta di conseguenza a niente. L'ASSOLUTO. L'assoluto esiste, ed ha la facoltà di presentarsi in frammenti, permettendo la possibilità di un discorso, evitando il caos nel cogliere il mondo-per-come-è. L'assoluto è dio che ci protegge dal rischio di precipitare dentro il segreto della sua opera a costo di darci l'impressione di potere capire di cosa si tratta. Infatti noi sappiamo di cosa si tratta, dio ci ha dato questa facoltà; ma nel farsi parola, dio controlla i limiti del linguaggio, per proteggerci. Se col linguaggio si potesse tradurre oggettivamente il mondo, il linguaggio e il mondo sarebbero la stessa cosa; il silenzio prima della nascita e il silenzio dopo la morte si unirebbero costringendo tra loro la data di nascita e la data di morte; il discorso finirebbe dove inizia. È l'assoluto che ci permette di dire tutto e il contrario di tutto, è la pietà di dio che ci permette il discorso, tutto il discorso possibile, tutta la divisione possibile, dall'atomo fino ad arrivare all'etere in nome della filosofia e la scienza. È quello che respiriamo, l'aria, il tutto, il nulla; si, quella cosa intoccabile che scientificamente sappiamo che è composta da ossigeno, idrogeno, etc, l'assoluto che sta al di sopra del significato dei significati.
Ma l'assoluto riguarda solo l'uomo e il pianeta Terra?
Tutto quello che succede fuori da questo pianeta ci riguarda?
La scienza può fare tutte le scoperte che vuole, ma tutto quello che vediamo fuori dal nostro pianeta è solo quello che vedrebbe una cellula se, curiosa di sapere, uscisse dal nostro corpo. La cellula vedrebbe tanti corpi, diversi uno dall'altro; si chiederebbe che mondi sono quelli e se è possibile viverci. La cellula non capirebbe la similarità tra il suo mondo (corpo) e gli altri mondi (corpi), cosí come noi siamo portati a pensare che il pianeta Terra non ha niente a che fare con tutti gli altri pianeti. Dobbiamo uscire dal nostro sistema solare per capire che il pianeta Terra è uguale a tutti gli altri pianeti. L'assoluto è porre un'enorme distanza tra sé e sé per poi goderne la vicinanza: la poesia, quando con le parole sa universalizzare l'uomo sottraendosi dagli eccessi che la scaraventano nel filosofico o addirittura nello scientifico. La poesia oggi è impossibile perché cerchiamo l'assoluto nelle parole, senza avere prima posto una distanza tra noi e le parole.
Sapere che nell'infinitamente piccolo 2+2 non fa necessariamente 4, oppure, sapere che nell'infinitamente grande non si può nemmeno parlare di 1, 2, o 3, non toglie (o aggiunge) nulla al fatto che per andare da casa mia al centro devo prendere l'autobus, o al fatto che rischio sempre di innamorarmi di qualcuno incontrato nell'autobus, a lavoro, o su internet. Chiariamo subito: non vogliamo negare affatto che le cose stanno cambiando, che la tecnologia sta portando a un gigantesco cambiamento; il fatto è che dal punto di vista dell'infinitamente grande, questi cambiamenti sono molto ovvî, oppure, dal punto di vista dell'infinitamente piccolo niente è ovvio, oppure, dal punto di vista che tra i due, ci si trova sempre nel momento esausto, nel momento in cui ci sembra quasi di aver capito tutto e poi, FFFFUUH!, svanisce. Questo è l'assoluto. La crisi della filosofia, il momento in cui già dall'inizio, non c'è niente da dire. La cultura.
A un uomo bastano le sue crisi quotidiane, la crisi della sua vita, che contiene comunque tutta la filosofia intera, e non ha bisogno di tutte quelle idiozie. Baudrillard parla di 'scambio simbolico'; Deleuze e Guattari parlano di 'meccanosfera'; Freud parla di 'psicoanalisi'; ma davanti ai limiti del linguaggio Baudrillard si trova costretto a dire che 'lo scambio è impossibile'; Deleuze e Guattari sono costretti a dire che 'non si può scrivere sufficentemente nel nome del fuori'; Freud si trova costretto ad affermare che non è possibile analizzare certi momenti oscuri dell'individuo. L'assoluto. Bisogna far sempre sbattere testa contro testa linguaggio e metalinguaggio, in difesa dell'assoluto, perchè il fumo provoca il cancro eppure si fuma; dentro il sole non ci può essere vita eppure senza il sole non si vive; è possibile sapere di cosa si muore eppure di qualcosa si deve morire; nessuno crede all'amore eppure stare da soli è insopportabile; è possibile clonare un uomo eppure l'immortalità è un'altra cosa.... Il linguaggio. Bisogna fare sbattere testa contro testa linguaggio e metalinguaggio e via, continuare, dopo un vigoroso sbadiglio, a svegliarsi la mattina, fare colazione, e perdersi tra i frammenti dell'assoluto. L'assoluto sa dimenarsi tra i limiti del linguaggio: c'è qualcosa che è piú atroce delle piú atroci esperienze, qualcosa che rende brutta la piú bella esperienza, ed è il non avere nessuno a cui raccontarle; ed è sempre l'assoluto che tiene le fila del linguaggio quando ci rendiamo conto che, nell'averle raccontate tali esperienze, non abbiamo risolto nulla. È l'assoluto che spinge il linguaggio oltre i suoi limiti, quando cadiamo in un folle soliloquio. Scrivere un libro.
Chiamate pure le stelle come volete, come volete la luna. Spiegate come la vista avverte la differenza tra i colori, come fa l'olfatto a odorare il mare, i sapori la lingua come li gusta. Fate magari uno studio accurato su come si fa a cadere dentro una solitudine voluta che mette malinconia, su come si fa a sentire la mancanza della persona che si era arrivati al punto di odiare, su come accade che ci si trova a scoppiare di gioia quando non è accaduto niente di straordinario se non altro che l'essersi scoperti fuori casa camminando sulla strada in armonia con lo spazio intorno e con il suolo sotto i piedi. Rivelate il mistero su una persona che si spegne nel buio di una dipendenza, di un ossessione, di una maniacalità; il mistero di una persona che sa spegnersi in tutto questo segretamente. Rendete la notte giorno e le distanze vicinanze; provocate interferenza tra il pensiero ed onde elettroniche, oceaniche. Supponete che il diavolo faccia lo stesso gioco di dio nel non palesare la sua presenza. Date la possibilità ai films, ai libri etc, di superare la realtà, alla realtà di ritrarsi in se stessa. E potrei continuare per tante pagine, scrivendo il libretto che finisce con la frase tanto liberatrice: -fate tutto quello che volete, ma non riuscirete a chiudere quaddentro la vita di un uomo-.
Ma quando un uomo arriva a masturbarsi chiuso in un bagno pubblico, nel silenzio plateale perchè nessun altro è laddentro con la stessa voglia per unirla alla sua, in un incontro di fugace eternità, non ha forse un uomo in quel momento tutta l'energia della Terra, vuota nel vuoto? Non è forse tutto il mondo orale che in quel momento viene fuori dal paesaggio con un -non c'è niente da dire-, prima della parola, dopo la parola? Niente, tornare a casa a parlare con gli amici, ma non si può dire in faccia agli amici tutto quello che si pensa di loro, non tanto perchè l'essere onesti non fa sempre bene, ma perché l'essere onesti viene spesso sopraffatto dalla voglia di ferire l'amico. È l'onestà dei bambini quando dicono "sei brutto!", la libertà di dire agli altri cos'è che dà fastidio nel loro atteggiamento, nel loro essere, nel loro apparire. La libertà del siciliano che, nel vedere qualcuno che gli dà fastidio, dice "malanova mi avi che bruttu!", che significa -è talmente brutto che spero gli venga una disgrazia!-. Lo stato puro dell'onestà, che viene spesso dal fastidio, dalla repulsione. Quando l'amicizia diventa un rapporto assiduo, quando si arriva al momento in cui si crede che all'amico si può dire tutto quello che si vuole, tutto quello che si pensa di lui, in quel momento comincia il fastidio bambinesco. Sopprimere l'onestà non deve sfociare nella falsità; bisogna smettere di vedere la gente troppo spesso. La solitudine è l'incapacità di lasciare scorrere il flusso dei rapporti; a interrompere il flusso dei rapporti è il maledetto "io". Bisogna fare scorrere il flusso dell'io nei rapporti (l'amicizia, l'amore); s'impara ad odiare chi ci sta molto vicino sentimentalmente perché impariamo a cancellare totalmente la possibilità di un incontro con chi si trova molto vicino fisicamente. Il rapporto tra cliente e commesso mostra proprio come l'interruzione del flusso dei rapporti, a causa del pesante "io", trova la sua via di sbocco ancora, e sempre, col denaro. Il cliente non paga solo il prodotto comprato per curare la depressione, ma paga anche il diritto di raccontare fatti della sua vita privata, verso i quali il commesso DEVE mostrare grande interesse. Allora? Allora niente, punto di non partenza e punto di non ritorno. 

 

LETTERE DAL TRADE

Arriva, un'onda fresca dentro i sensi, una felicità disumana allarga il respiro e il corpo s'intensifica, diventa più corpo, e l'anima diventa più anima, il pensiero più pensiero. Ecco che si surriscalda il meccanismo verbale, esce la parola più parola e fa sì che cose semplici, semplicissime, divengano ricchezza assoluta, scarica necessaria di quella felicità. La parola diventa, insieme al corpo e al viso, l'immagine e non la spiegazione di quel benessere. L'identità è al massimo di sè, la vita intera diventa radice quadrata del sè, l'anima radice quadrata del corpo, il corpo radice quadrata del pensiero.

TRADE

Il club, quello dove ti senti di essere proprio in una discoteca del ventunesimo secolo. Si balla dovunque, lo spazio tagliato dai lasers, buio-luce da nave spaziale (o caverna). Tutti ci si guarda, ci si sorride, tutti, corpi grandi, visi ritagliati, buio, parte un laser, ombre si avvicinano, tori metropolitani che attraversano la folla, ci si guarda, ci si manda baci con languida durezza, ci si offre l'acqua. Il corridoio. Si balla, una fila da un lato e una fila dall'altro, tra le due file gli altri passano, ci si guarda, ci si guarda, un dito passato tra i pettorali, una smorfia di sensuale aggressività. Tutto questo basta ed è grande. Mezzogiorno. Un ragazzo rasato a zero con due corna rosse incollate in testa passa con un bacile di acciaio pieno di pezzi di ghiaccio.

Il museo del sè

Ho preso tre mitsubishi. Fu così che tutto era solo apertura e chiusura di occhi, no-corpo, no-sesso, perdita del concetto di tutto (di cui mi liberavo con gridi animaleschi, come gridavamo!). Era il soggiorno in quell'angolo della mente dove sta l'essere a godere della perdita del tempo e dello spazio, attraversando i buchi dell'amore, mistero toccato con mano.
Ogni volta che riaprivo gli occhi mi ricordavo stupito do essere al Trade, di essere con Giovanni che subito cercavo samrrito, mentre lui stava a due centimetri da me guardandomi perplesso. "Giuseppe, non ho mai visto la beatitudine su un viso come l'ho vista nel tuo quella notte". Questo mi ha detto. E lo ero beato. A un certo uno spendore d'uomo comparso dal nulla comincia ad abbracciarmi accanitamente, a passarmi i denti sulla testa, divenimmo io e lui uno in piegamenti ed architetture d'estasi e goduria per quasi un'ora come se ci conoscessimo da sempre.
Pur andando al Trade solo una volta al mese, questi scandali al sistema del pensiero e della visione del mondo sono cose che restano.

Ebbene si, l'ho provata la chetamina. Forse già saprai che è un tranquillante per cavalli. La bestialità, il viso s'imbestialisce in smorfie d'estasi, schifo, pietà, aggressività, fissità, sorpresa bambinesca. Siamo di fronte alla pozione del Doctor Jekill and Mr. Hyde, credimi. Giovanni era più perso di me, lecca i muri, mi lecca le braccia, fa mimiche di accoltellamento e smantellamento. Puah! La fogna. Spalanca la bocca a indicare mostruosa sorpresa. "Giuseppe non so che fare! Voglio fare mille cose, essere in mille posti nello stesso tempo! Si! Fanculo la musica!" Esce la lingua, la prendo con le mani. Ci guardiamo negli occhi fissamente dondolando la testa alternativamente a destra e a sinistra , sempre più veloce non perdendo lo sguardo fisso negli occhi- è una sfida di sconquasso dell'umano! Assenza, si cade in coma per secondi, Huuuoau, huuuu, yes, yes, si ride, TUM TUM TUM SCASH SCASH SCASH...
Si smette con la chetamina, l'effetto passa. Come se fossimo usciti di casa in quel momento, era quella la sensazione, freschi e rilassati. Qualche estasi adesso. Quattro. Ci sembrava di prendere la vitamina C, ritornava il senso di essere nel club, di essere a ballare, la gente era ora presente, la sensualità, la voglia di guardarsi intorno. Ballare, Ballare, capisci! Solo ballare, ballare. Sapessi la musica che c'è qui! In un pezzo divino una voce femmininle italiana dice- LA MUSICA PER IL MONDO- sapessi come lo dice, sapessi la risatina che fa dopo, non so spiegarlo. Ci sembrava di aver viossuto due serate distinte e separate. Pur avendo preso 4 estasi, ci sembrava di essere tornati nella realtà.
La chetamina non è una droga da club; a contrario dell'estasi che ti abellisce, ti carica di edonismo, la chetamina è una droga per cani rognosi. Le immagini ruitornavano nel peggiore DOWN. L'immagine di quella ragazza che si castigava da sola in un angolo della discoteca, con espressioni del viso e movimenti del corpo, credimi, da fango, da terrorizzare Francis Bacon.

25/10/99

E chiaro che ormai andare in discoteca, prendere droghe, diventa sempre di più un viaggio mentale intenso. A parte la musica e il ballare che si presentano come le uniche cose possibili (-Che cosa esiste oltre ballare?! Chiedo a Giovanni, -Niente!-, mi risponde, come se quella domanda l'aspettasse da secoli sapendo qual'era la risposta che io volevo, ed io quella risposta volevo!) percorro un viaggio viscerale attorno alle facce delle persone, fissarle e perdermi. Spesso assorbo negatività nel vederle disumanizzate, bestializzate, spesso assorbo una rara irripetibile bellezza. Mi è successo ieri. Un ragazzo, per niente bello, anche molto magro, viene catturato dai miei occhi nel momento in cui la sua faccia era in uno stato di selvaggia felicità. Ad un certo punto dalla sua bocca gli esce fuori "OUT!", si rivolgeva alla gente intorno a lui. "EVERYBODY OUT!". Invitava la gente ad andarsene, uscire fuori dal club, la cacciava insomma. L'espressione della sua faccia era la figuradell'estasi, che superato il limite, diventa dolore. Il ragazzo, infatti, ha un sorriso mentre lo dice, lo dice con un amore sconvolgente verso quelle persone perchè non può sostenere quella contentezza nell'averle attorno. EVERYBODY OUT. Mi viene la pelle d'oca se ci penso, un momento di bellezza e felicità suicidale.

Domenica siamo andati a "fare visita alla musica" -l'spressione "andare a ballare" non fa giustizia a Lei, l'espressione "andare a ballare" la usa chi non ha un atteggiamento ritualistico-sperimentale davanti all'uso di droghe e conseguente fusione con Lei. Grandi sensazioni che non provavo da tempo, sembra che quel malore psicologico dovuto a quella mia prima e ultima esperienza con la K che mi rendeva terrorizzato davanti a quelle facce completamente andate, è finito. Era un malore che io stesso cercavo, orrore davante a quelle facce, ma nello stesso tempo desiderio di essere posseduto da esse, questo conflitto creava quell'incredibile DOWN. Siamo nella stanza dove Lei è selvaggia, c'è una vcoce femminile nera che l'accompagna, grida, sgrida, stritola; siamo sopra il palco in braccio a Lei. Girando e rigirandomi mentre ballo, scopro che la ragazza nera della quale si sente la voce è qui tra noi, seduta sullo scalinodel palco col microfono in mano. Mio dio! Non che non sia successo altre volte, ma vedere quella ragazza lì, seduta, gridare come una pazza insieme a Lei, non fottendosene un cazzo se noi l'abbiamo notata, è stato miracoloso. Adesso la cantante si sente notata, ci sorride, balla con noi, va via un attimo, torna con un bicchiere di vino rosso, wow!, si avvicina a me, mi offre il bicchiere, ne bevo un sorso, glielo ridò. Lei e io in confidenza, che bello!
Per la prima volta ho preso un mitsubishi intera, di solito ne prendo metà alla volta, inoltre ho già preso quattro Wolswagen. Ciò ha causato l'effetto che ora ti dico: sento tirare il cervello, la mente forse, tutto il mio corpo converge verso quel tirare, per ammorbidirlo, dio è estremo, non lo reggo è doloroso, è come se qualcosa (LA PAZZIA) mi avesse attraversato, LA PAZZIA. Eppure non ho avuto paura, è diventato subito follia piacevole. Si ricomincia con Lei. Immagina che l'unica che vorresti fare sia ballare e che mentre lo pensi lo stai facendo, siamo di fronte al più alto stato di realizzazione del desiderio.

Che la droga la prendono anche gli idioti lo vedo in prima persona, di certo non è il nostro caso, ma tocchiamo ancora una volta un altro tema trattato da Baudrillard, il venir meno delle differenze. La massa non è più quella di una volta, così per fare la differenza l'unico modo è portare all'estremo la sua consistenza. E un'apnea dentro l'universo della massa, esperimento prezioso per chi cerca di andare a fondo nella vita. Il fatto è che non c'è più fondo, non si può più spaccare la superficialità, intendo proprio la superfice, l'immagine, non si sfugge all'immagine. Si può solo estremizzarla fino a sfigurarla. In mezzo a loro mi sento più isolato di come lo sarei se cercassi di differenziarmi, creando indifferenza entro nel loro codice per poi disturbarlo creando un altrove intellettuale di cui loro nemmeno si rendono conto. Non si può usare la droga per cercare di raggiungere ciò che voleva raggiungere Rimbaud, credo che anch'egli amerebbe spaccarsi il cervello al Trade oggi. Non si può andare nel profondo, abbiamo raggiunto il fondo, il risultato non cambia, sempre di superfice si tratta, immagine. L'immagine si può solo sfigurare, e loro non lo sanno, però lo fanno, e lo fanno bene proprio perchè non lo sanno, come vedi è sempre dalla massa che viene fuori una nuova era.

20-05-2000

Sono stufo di chiamarla musica, è un insulto al genere umano invece, è la forca, le streghe al rogo del medioevo, una montagna di vetro che frana. Sono stufo di chiamarlo "ballare", siamo tutti fermi lì invece a ricevere i colpi, tutti i colpi che vengono con perfetta mortificazione, elevazione verso la mortificazione. Cerchiamo di dare alle cose il nome che si meritano! Alla fine, parliamoci chiaro, più che altro, sono quelle frustate elettroniche che ci distruggono a fine notte, più che la droga. Infatti io e Giovanni non ci diciamo più "che bella musica!" nei momentiin cui tagli ci attraversano, ma ci guardiamo negli occhi vittime volute e voluttuose. "Io sono pronto per il manicomio!" gli ho detto, perchè lo ero, il cervello voleva uscire dalla scatola cranica, un unico pensiero nella mia mente: NON LO SO, era l'unica frase che riuscivo ad elaborare nella mia mente: NON LO SO, era più che altro un motto, un principio, dignità del genere umano arrivato alla fine, elevazione verso la zerità.
Mio caro, è il rovescio della realtà, una superrealtà votata alla squalifica di ogni responsibilità, di ogni del passato e del futuro. EVVIVA!

La verità è che io amo quella felicità disumana regalata dalle droghe, dall'estasi. In quei momenti ci sei tu e la tua felicità, tutto e tutti sono la tua felicità. Che straordinaria energia intellettuale e fisica dentro quella piccola pillola, ma che sarà mai? E vero quindi che siamo il risultato di reazioni chimiche se una pillola può cambiarci così profondamente l'io? Io ho deciso di smettere per questo, perchè è troppo dura affrontare la realtà dopo, la lucidità, perchè questa diventa l'estremo opposto a quello stato di totale estasi, quindi ancora alterazione. Ma l'alterazione dovuta alle droghe è da sogno, quella dovuta alla lucidità è morta. Bisognerebbe trovare una condizione che sta tra le due.
"Il grande segreto della felicità sul quale i filosofi avevano disputato per tanti secoli era stato scoperto senz'altro!... l'estasi si lascerebbe racchiudere in bottiglia, e la pace dell'animo potrebbe essere spedita con la diligenza!" Ecco cosa diceva Baudelaire in Un mangiatore d'oppio. L'ho letto in aereo, opera meno ineressante di quanto pensavo, il rapporto con le droghe è troppo mistico-religioso, l'idea di liberarsi di dio è troppo forte; tuttavia ci sono molti momenti nel libretto in cui vedo molte similarità con l'esperienze che ho fatto. Il brano citato sopra sottolinea come l'uso di droghe da parte di chi ha già nelle cellule crebrali quel qualcosa che fa scattare una certa reazione: nel caso di Baudelaire fu totale dipendenza fisica, nel mio caso è stato terrore che ha giocato a mio favore perchè mi ha fatto smettere, ma lo spirito è ormai stregato, spacciato.
Baudelaire fa esperienza con l'oppio, guarda un pò, a Londra. L'oppio sostituisce l'alcool, perchè "l'espansione dei sentimenti di benevolenza causata dall'oppio non è un accesso febbrile; piuttosto è l'uomo originariamente buono e giusto che viene ricostituito e reintegrato nel suo stato naturale, liberato da ogni amarezza che non aveva occasionalmente corrotto il nobile temperamento".
Anch'egli si aiuta con la musica ed è sorprendente come scrive ciò ritengo valga anche per la musica TECHNO:
"La musica entrava nelle orecchie, non come una semplice successione logica di suoni gradevoli, ma come una serie di memoranda, come gli accenti di una stregoneria all'occhio della mente il suo intero passato. Musica interpretata e accesa dall'oppio...". Ma costa troppo, la tristezza di dopo non si sopporta, è prorpio fisica, senti quasi il bisogno per togliertela da dentro il cuore. L'esperienza con la chetamina è stato l'inizio della fine, l'ombra, la tenebra, e poi, come ti ho scritto spesso, i volti; e sono rimasto scioccato quando ho nel libretto ho letto: "Dopo pochi anni, però, ho pagato a caro prezzo queste fantasie, quando il volto umano è venuto ad ossessionare i miei sogni... Si manifestò allora..la tirannide del volto umano." Incredibile, il mio stesso trauma.
Ciò che oggi chiamiamo DOWN, depressione post-droga, (proprio perchè non abbiamo un dio di cui liberarci), in Baudelaire (De Quincy) si configura nella famosa triade- mater Lachrymorum, Mater tenebrarum, Mater Suspiriorum. (Anche Dario Argento si è deliziato a usare le tre madri in un suo film). Potressimo ancora caratterizzare l'oscurità interiore con creature romantiche!