Fosco d'Amelio

Sono un "tentativo" di scrittore, ci provo, mi diverto, mi affanno, mi inebrio della livida leggerezza delle parole, osservando ciò che mi invade ogni giorno, lasciandolo entrare, accomodare, e lasciando che si nutra della mia spaventata fantasia, che si limita a far nascere storie da storie che in fondo già lo sono. Hanno solo bisogno di qualcuno che se ne innamori.

MI SVEGLIO' L'ASSENZA

Mi svegliò l'assenza di macchine in transito sulla strada. Ero indolensito e un po' intirizzito dal freddo. Anzi, dall'umido più che dal freddo. La barba sul mio viso stava lentamente spuntando, e iniziavo a prevedere epidermicamente le piccole microscopiche infezioni che sarebbero sorte impietose. La grattai, ma era davvero troppo corta per darmi soddisfazione.
Una macchina decise di accalerare il mio risveglio lasciando risuonare nel vuoto dei palazzi un rumore pieno, sporco, fumoso. Gli occhi lentamente cercavano di capire dove mi trovassi. Ruotai la testa aspettando qualche risposta. Sotto di me c'era qualche scalino che partiva dal marciapiede. Ero seduto su una scalinata nel mezzo della strada. Troppo buia per avere qualche indizio sul luogo in cui ero accasciato. Mi alzai dalla mia posizione scomoda. Troppo duri questi scalini.
Un piccolo arco per stiracchiarmi ed eccomi in forma. Alle mie spalle, una porta. La mia porta. La porta di casa mia. E che ci faccio in terra qui davanti? Ho paura. Perché sono qui? Scendo in fretta gli scalini che mi separano dal marciapiede. Trovo appoggio al mio esitare in un albero di strada, è lì, fermo, e forse vorrebbe aiutarmi a capire.
Non ci riesce, continuo a non capire.
Meglio allontanarsi da qui. Devo trovare qualcosa che mi aiuti a comprendere cosa sta succedendo e, soprattutto, cosa mi è successo. Sento una stretta al collo. È fastidiosa, e nonostante il freddo, sudo sul colletto della camicia. Cammino in un'ora vuota, come ne ho viste tante la sera, la notte, di ritorno alla mia piccola dimora. Cammino in una città vuota come ogni normale sera di un giorno normale di una normale settimana. Cammino. E non capisco perché. Percorro metri restando fermo alla mancanza di ricordi. Percorro foglie secche bagnate dalla pioggia. Ieri, pioveva, ricordo che pioveva a dirotto. Ma questo che c'entra? Pioveva a dirotto, e io, come sempre, non avevo un ombrello. Ma questo è normale. Come ora che non ce l'ho…
Porto la mano alla tasca. Un piccolo ombrello è adagiato nella parte interna del mio cappotto. Un bel cappotto, non ricordo dove l'ho trovato. È caldo, nonostante tutto. L'ombrello è leggero, sembra di alluminio. È nero, intonato al cappotto. Alle scarpe. Però…che scarpe. Lucide, ma fradice come al solito. Apro l'ombrello. Mi riparo dalla pioggia. Dovrei tornare al mio piacevole giaciglio, con il mio fantasioso letto ricavato un po' dal nulla. Ma resta sempre il mio letto.
Continuo a vagare per cercare di ricordare. Forse è meglio fermarsi e concentrarsi. Cos'è successo? Cosa mi è successo per arrivare a questo? Quell'angolo riparato vicino al palazzo della Posta andrà bene per riflettere un po', da solo, interrotto solo dalle incertezze della mia memoria.
Ecco. Fermiamoci un attimo.
Appoggio la mano sulla fronte nel disperato tentativo di spremere qualcosa. Non so neanch'io cosa. Appoggio l'altra mano all'altra tempia. Mi tengo la testa per aumentare la pressione. Prova, dai. Trova qualcosa che ti aiuti…abbasso la testa. Defluirà più sangue al cervello, e forse qualcosa uscirà da questo oblio. Qualcosa…qualcosa…e questo che ci fa qui?
Dalla tasca del mio cappotto, la tasca all'altezza del petto. Spunta. Spunta un cellulare. È acceso. È acceso e mostra il mio nome che lampeggia dispettoso. C'è un messaggio. Espleto le formalità sequenziali per raggiungere l'interno della bustina virtuale. Ci arrivo.
"Ti ho aspettato con pazienza e disperazione. Ma dopo stasera dobbiamo davvero parlare. Carla."
Carla? E cosa vuole da me? "Stasera"? Che cosa è successo stasera? Che poi sarebbe ieri sera, o quantomeno qualche ora fa. Che ore sono? Le 4:30…che orologio! Sarà falso…Cosa mi succede?
Carla, cosa vuole da me? Devo richiamarla? Ma no, non è possibile, è un sogno. Non è possibile. Devo tornare, ora, poi forse capirò, ma ora devo assolutamente tornare al mio posto di sempre.
Carla, di nuovo nella mia vita. Come? Soprattutto, perché?! Che cosa ci fa di nuovo nella mia vita. Ricordo di averla vista ieri, ora inizio a ricodare. Ma come è possibile, pensavo fosse finita tra noi, fosse finita con quella vita…e invece…di nuovo tutto daccapo…non ce la faccio. Ma forse…il cappotto, il cellulare, l'orologio…
Scappo. Corro via. Più veloce che posso, cercando di lasciarmi dietro. Di lasciare dietro me stesso, o almeno quella parte di me che non voglio avere più tra i piedi. Corro. Più isterico, tra i pochi spiriti che animano una notte come questa. Vagano lenti chiedendosi cos'è che fa muovere tutto così in fretta. Cos'è che spinge un uomo come me a correre dietro il suo passato, a spiengersi più in là della memoria, alla ricerca dell'oblio. Corro, non devo pensare più a Carla, più alla mia porta grigia. Non devo pensare più a questo maledetto cellulare, alle scarpe. Che scarpe sono? Inciampo nella mia curiosità di sapere se davvero sono firmate. Sì, sono firmate, realizzo mentre rovino sul bordo del marciapiede. La mia testa incontra la targa di un'auto addormentata. Disturbo il suo sonno rinvigorente, necessario al suo obbligato risveglio mattutino. Sì, sono firmate. Cazzo, ma quando le ho comprate? Sono a terra, seduto in una pozzanghera, i pantaloni sono di un tessuto buono, ma è la loro giusta fine. Quanto li avrò pagati? Non ne ho idea! E non voglio saperlo. Devo tornare al più presto. Ma dove? Dov'ero l'altro ieri, dov'ero ieri? Quando è ricominciato tutto ciò?! Non ricordo, diavolo, non ricordo! Mi rialzo e corro. Corro verso la piazza dove mi aspettano sempre gli altri, i miei amici, sempre diversi, mai uguali a se stessi. Ma dove sono? Ho perso l'orientamento nella mia città. Dove vado…
Uno squillo. Un altro. Sarà la mia coscienza che si arrende all'evidenza. Il mio cuore che ha deciso di interrompere il suo cammino…no, è il cellulare, vibra e suona con veemenza "La cavalcata delle Valchirie". Quanto è che non la sentivo…
- Pronto?-
- Dove sei?! Dove diamine sei finito?!
- Pronto? Chi è?
- Come chi è? Sono Carla, imbecille! Dove diavolo sei! Avevi detto che passavi a casa, che saresti venuto. Sono ore che ti cerco. Invece sei sempre lo stesso! Lo sapevo che non dovevo fidarmi delle tue promesse…
- Quali promesse, Carla? Perché sono conciato così?
- Così come?!
- Così, con scarpe da cinquecentoventimila lire…
- Me lo chiedo anch…
Oddio! Attacco…Cinquecentoventimila lire…cinquecentoventimila lire…perché così preciso?! Cinquecentoventimila lire…ora ricordo…cinquecentoventimila lire. Vicino piazza degli Empori. Lì vicino. Un negozio, piccolo, accogliente. Oddio mio! Oddio, no! Ricordo. Non è possibile…
Il cellulare, di nuovo. Non posso rispondere…cinquecentoventimila lire. Devo buttarlo via. Devo resistere, non posso rispondere…
- Pronto, Carla, non è giusto!
- Cosa non è giusto?! Tu dici che non è giusto?!
- Non è giusto, devi lasciarmi in pace! Avevi promesso che mi avresti lasciato in pace!
- Ma che dici, sei impazzito?! Pensi di potermi trattare così fino quando? Fino a quando pensi di poter anteporre il tuo isolam…
- Basta!!! Lasciami in pace!
Riattacco. Non ce la faccio. Stava per piangere, lo so. Stava per scoppiare in lacrime. Ma devo correre. Non posso fermarmi, mi sono fermato di fronte a quella vetrina…cinquecentoventimila lire…anzi, no, il prezzo era seicentocinquanta…mi hanno fatto lo sconto. Ma come ho fatto a pagare? Come ho fatto, non avevo ormai più nulla in tasca…avevo un numero…il numero di Carla…sì, solo quello avevo ancora con me…il cellulare, di nuovo…
- Pronto…
- Cosa credi di fare?! Io…io ti…ti ho aspettato…ti ho rispettato…nelle tue…nelle tue maledette decisioni! Ma cos'altro posso fare?!
Sta piangendo.
- Carla, dimmi solo una cosa. Non capisco…sono stato io a chiamarti?
- Sì!!! Sei stato tu!!! Sei stato tu…io…io non me l'aspettavo…stavo per farci l'abitudine…stavo provando a ricostruirmi una vita…
- Sono stato io…Carla, non è giusto tutto questo…basta…straccerò il tuo numero…basta…
- Aspet…
Basta. Cosa ho fatto? Lancio via il cellulare. Non basta. Corro, solo questo posso fare. Solo questo mi rimane. Dov'ero due giorni fa? Maledetta vetrina! Dov'ero sistemato prima di incontrare quella maledetta vetrina in piazza degli Empori?! Corro, e piove ancora. Mi stringe il collo più di prima. Ma…è la cravatta, è una cravatta, una maledetta cravatta bordeaux…nel pomeriggio…settantatremila lire…settantatremila lire. Ricordo tutto, e devo correre via. Slaccio la cravatta che vola in una pozzanghera non adatta al suo tessuto. Si impregna, e scompare nel buio di una melma cittadina. Le scarpe, via anche loro. Nel terreno di un'aiuola, nel terreno più fangoso, lo aspetto correndo, lo individuo, lo scelgo tra mille, correndo. Lo trovo, e via! Le scarpe lì, tutt'e due! Cinquecentoventimile lire! Via! Corro, e il cappotto non l'ho trovato, non mi è stato lasciato in un angolo di strada da un ricco scontento della sua impercettibile usura. L'ho pagato! Anche quello, in serata, l'altro ieri, con Carla che mi guardava allibita. Novecentocinquantamila lire! Via, dal cavalcavia! Giù sulla strada vuota di macchine addormentate. Via la giacca, ancora con il cartellino. Eccomi, sto arrivando, ora ricordo. Arrivo a piazza degli Empori, la vetrina, eccola lì, spenta e serrata. Eccola lì, e io venivo da lì, dall'angolo opposto della piazza. Certo! Ero con gli altri al ponte della Frada! Ero lì, cavolo! Corro più veloce che posso. Carla mi segue ma non riuscirà a raggiungermi. La vetrina si accende più di quanto non abbia fatto due giorni fa. Io non la vedo. Sta per albeggiare. Eccoli lì, i miei amici, sono tutti addormentati. Fa freddo, ma non importa. Eccomi a casa. Trovo il mio posto, tra Marta e Francesco, non vedendomi tornare si sono un po' allargati. Pazienza. Ho l'affanno. Mi inginocchio, sono rimasto in camicia e con il pantalone tutto bagnato. Me lo sfilo. Raccolgo i miei abiti da notte, sono nascosti sotto il cartone della Coop. Francesco ci è appoggiato sopra. Li tiro cercando di non svegliarlo. Ha il sonno pesante. L'ultimo leggero strattone lo costringe ad assicurarsi che sia io e non un estraneo.
- Che hai fatto? Dove sei stato?
- Dormi - e mi infilo il mio usuale e rattoppato vecchio velluto grigio, da quattro soldi, appartenuto a chissà chi. - Dormi, non preoccuparti per me.-
- Ma che hai fatto per due giorni?
- Niente, dormi - e mi introduco nel mio scomodo giaciglio quando ormai il sole sta per nascere.
- Sei sicuro che sia tutto a posto?
- Sì, solo qualche problema di normalità.