Nicola Artuso

ho 36 anni, vivo a Padova e mi occupo di comunicazione multimediale. Scrivo per lavoro durante il giorno e per diletto, nel corso della notte. Poi dormo. :-)
Collaboro con un portale di spiritualità per il quale scrivo racconti e articoli su problematiche sociali. http://www.spiritualsearch.it/files/index.cfm?id_rst=90

Inesistenza Logica

Sono impazzito alla fermata dell'autobus, tentando di capire dove fosse collocato il mio "Io" all'interno di me stesso.
Sono impazzito di brutto, nel tentativo di spiegarmi l'interdipendenza dei fenomeni e l'inesistenza dei fenomeni di per se stessi.
C'erano un paio di persone lì a fianco, che mi guardavano di sbiscio come se il flusso dei pensieri che andavano producendo fosse stato concreto, visualizzabile, reale…
Ho sentito un rumore dal fondo, un abbaiare di cane lontano, secco e determinato.
Uao! Poi sono andato via di zucca.
Dall'altra parte devo dire non si sta niente male (a parte il vuoto che ti circonda tutto e i riferimenti che mancano). Sentirsi privi di identità, verrebbe da dire, è una cosa da provare. Peccato che da un affare come questo non si torna più indietro. O meglio, non così facilmente.
Voglio dire… non è come un viaggio con gli amici in riva al mare, che poi ritorni a casa, ti svuoti la sabbia dalle scarpe e morta là.
In ogni caso, dopo mezzo minuto è arrivato l'autobus e sono salito in silenzio osservando le due persone che erano lì con me dileguarsi nella parte avanti. Poi mi sono seduto sul primo seggiolino libero che ho trovato, continuando a lasciarmi impazzire dal pensiero fisso sulla collocazione dell'"Io" all'interno di quello che identifico con il "mio" corpo. "Mio" di chi?
Avevo iniziato pensando "Io chi sono"?
E poi ancora "Se sono qualcosa di definibile, dove sono dentro a me stesso"?
Analizzando le due cose ho capito che non mi era possibile dare una definizione coerente alla seconda questione, se prima non avessi risolto la prima.
Fissando il muro decadente di un palazzone che sfrecciava lungo la strada mi sono detto "Io non posso essere altro che una sommatoria di fattori, pensieri che vanno e vengono e che ipotizzano la presenza di un sé manifesto dotato di appartenenza, esistente e unitariamente presente, che li produce". E mi sono chiesto ancora "ma é veramente così?"
"Se "Io" sono i pensieri e nel contempo il sé manifesto che lì produce, in questo preciso istante di esistenza interdipendente, cos'ero ieri?"
Be' (facile risposta) ero il sé di ieri.
Quindi il mio "Io" di ieri era un "Io" differente dal sé di oggi. Ciò significa che il mio "Io" è un "Io" in mutamento perché, se ieri ero un qualcosa di diverso da oggi è probabile che domani sarò già un'altra cosa.
Dato per assunto questo concetto ho osservato il biglietto arancione dell'autobus e perdendomi sulla banda grigia con il codice numerico ho fatto mente locale su tutti i sé che posso aver vissuto dall'inizio della mia esistenza fino al momento attuale.
Da quali di questi innumerevoli "Io" che mi sono appartenuti fino ad oggi (appartenuti a chi?) posso dire di essermi sentito veramente rappresentato?
Risposta: nessuno.
Controdomanda: ho una vaga idea se un domani, uno dei prossimi, quello specifico "Io" non ancora esistente potrebbe comunque rappresentarmi?
Risposta: sì.
Quindi ho dedotto che il mio vero "Io" esiste nel futuro, ovvero è una proiezione di quello che una simulazione di me stesso pensa mi rappresenti. "Potrebbe" esistere.
A quel punto ho detto stop, fingendo che una definizione di questo tipo potesse bastarmi. Altrimenti avrei dovuto chiedermi ancora: "chi è quel "me" simulato che pensa che la proiezione di se stesso lo rappresenti?" e di certo sarei ancora lì a fare i conti fissando il vuoto nel riflesso della carenatura di un motorino.
Questo significa però che, se il mio "Io" è una proiezione vivente in un futuro possibile, non essendosi ancora materializzata, in sostanza, "Io" non esisto. Non ancora…
Ma anche questo non può essere perché "chi sta pensando in questo momento a questa cosa?"
Risposta logica: "Io" , cioè una sommatoria di fattori dipendenti tra loro. Una serie di microscariche elettriche che partono da un organo di percezione attraverso una serie di processi biochimici e che si rendono manifeste sotto forma di pensieri. Può andare?
Forse.
Ma, se niente niente ti tolgo quell'organo (mettiamo sia il cervello) dal corpo "Tu saresti" ancora?
Mi viene da pensare di sì, forse più per la paura di non esistere al di fuori del mio cervello che per logica convinzione.
Quindi la collocazione del mio "Io" non è nel cervello.
Ma se non è il cervello dov'è? Nel cuore? Nella pancia? Nel pene?
Dove sono "Io"? Cosa sono?
Osservando una vitina cromata sulla montatura degli occhiali della signora con la borsa color argilla ho ipotizzato la parola "mente", definendola come un'entità senza forma, ma coesistente all'interno di una forma (il corpo) dotata di un'interfaccia sensoriale e con delle regole di identificazione. La mia mente pensa di essere quello che sono perché proietta su se stessa delle immmagini che simulano la mia configurazione, quindi la mia esistenza. Cioè, "Io" sono quello che proietto, ovvero "Io" proietto quello che desidero essere nel tentativo di essere quello che voglio. Questo dinamismo perciò fa sì che "Io" sia qualcosa che però non è altro che un "qualcosa" di immaginato.
Quindi io non esisto. Non esisto sia che sposti la percezione del mio"Io" in un ipotetico futuro, non esisto sia che riporti la questione al presente.
Da ciò non posso altro che desumere di essere il mio "Io" del passato?
Eh no! Perché in questo caso entrano in gioco i verbi e coi verbi, come si sa, non si scherza. Qualsiasi cosa potessi essere stato in passato non posso usare il presente per definirlo. Quindi "Io" non sono il mio "Io" del passato, perché se è passato il mio "Io" era.
Quindi cosa sono adesso? Chi sono? Dove sono?

Sono impazzito così, di brutto, tra la fermata dell'autobus e il semaforo di Via Goito fissando le mani rugose di una signora anziana sostenere una borsa di nylon color verdino con dentro qualche acquisto vegetale e un paio di calzini per il figlio di suo figlio di nome Vittorio.
Spostando lo sguardo verso la strada ho visto gli oggetti esterni scorrere velocemente fuori del mio campo visivo.
Dal momento in cui sparivano dal mio sguardo smettevano di esistere, perché il mio "Io" inesistente di per se stesso smetteva di percepirne la presenza.
Eppure dentro di me qualcosa mi diceva che da qualche parte, lì indietro, quelle stesse cose continuavano a esistere, indipendentemente dalla mia percezione, e contestualmente a un'esistenza parziale e per nulla permanente.
Proprio come il mio "Io", frutto di una percezione prodotta da un susseguirsi di cause che sono a loro volta proiezioni e che per convenzione chiamiamo esistenti e dotate di vita. Che però non hanno.
Alla fermata, subito dopo quella dell'aeroporto sono sceso, confrontando i miei passi con quelli di quelli che andavano al Sert, al Cim e all'Uls.

"Io" ero ciò che ho pensato.
"Io" sono ciò che non ho ancora prodotto.
Vedi tu se chiamare l'assistente sociale o meno.