Maria Grazia Trotta

sono nata in inverno, nel 1972, in un posto splendido. Ora vivo in un luogo che non riesco a comprendere, una città dove tutti sono invisibili.

La cosa che detesto di più sono quelle persone che quando gli fai leggere qualcosa di tuo si pigliano la briga di correggerti gli errori di ortografia.

INEDIA

I

Stai formulando banalità mentre ti guardi allo specchio. Ti servi della complicità delle mie orecchie per legittimare la tua ignoranza ammettendo di avere dei limiti. Mi guardi in cerca di risposte.
Io ti rassicuro come tutti i giorni. Siamo tutti così, perversi ed ipocriti, non curarti di questo. Pensa piuttosto ad una nuova strategia, ad una nuova forma, ad un altro bluff.
Stamattina mi sento stranamente felice, nonostante la musica sia scontata. La luce è di quelle fredde che ti fanno subodorare le atmosfere pubblicitarie tipo Londra o New York, di quelle che ti fanno sentire un dinamico e contemporaneo cittadino del mondo. Mi sento capace di fare qualcosa e questo mi accade di rado. Vorrei viaggiare, penso, ma cammino fino all'edicola che non sarà a più di cento metri da casa mia. Un vecchio in bicicletta tenta di investirmi. Mi scanso e lui se ne risente.
Certa gente ha proprio uno strano modo di divertirsi.
Oggi dovrò cercarmi un lavoro, mi dici. Me lo ripeti da mesi, oramai non ti credo più. Per conto mio, potresti vegetare sul balcone per tutta la tua vita.
Io respiro in attesa di un'idea. Attendo il mio sogno. Se non hai un sogno non puoi vivere.
Questo è quello che vedi senti tocchi tutti i giorni.
È tutto un tranello, mi dici. L'unica vera ragione per cui è necessario seguire un percorso, avere un progetto, inseguire un sogno insomma, è che hai bisogno di una legittimazione per la tua sofferenza, puoi finalmente lamentarti per qualcosa, perché tanto lo sai che non realizzerai mai nulla.
Non ho voglia di starti a sentire. L'aria fredda tende la mia faccia in un ghigno paonazzo. Sento l'umidità nel mio stomaco e nei miei occhi.

II

Entro in questo ufficio che si trova in fondo al corridoio, dopo la scaletta sulla destra e poi ancora a sinistra lì dove c'è scritto vietato fumare proprio lì. Vi trovo quattro soggetti attorno al tavolo di noce lucido e fiero. Uno è pelato. Mi sento come se non avessi i vestiti. La donna dice di accomodarmi. La ringrazio senza senso. Mi fanno due domande stupide e una divertente. Poi mi parlano di una determinazione che io dovrei dimostrare loro. Si vede lontano un miglio che non provo nemmeno lontanamente il sentimento che così affannosamente e non senza imbarazzo mi stanno descrivendo. Eppure non sono così cinico come te. Mi dispiace sul serio di non essere mai la persona giusta. Mi dispiace non provare entusiasmo.
Dico sicuramente tre o quattro cose sbagliate. Comunico, non senza un certo compiacimento che la cosa che mi interessa è essere felice e non mi affanno nella ricerca insensata di un feticcio di questa felicità. Il pelato mi dà gentilmente dell'idiota. Sento ad un certo punto tutta la sua autorità che per un brevissimo ma intenso minuto si impone nella mia esistenza. Ho detto sicuramente una sciocchezza. Vorrei alzarmi e andare via, abbandonare questo orribile edificio e rimuovere il tavolo di noce fiero e i quattro mostri di cui uno pelato che vi sono attaccati. Non ho più niente da dire.
Esco fuori dall'edificio con passo pesante e stentato. Le tue parole rimbombano nella testa. Non puoi dire che non sono nessuno. Nessuno è nessuno. Ognuno è una magnifica armonia di geniale architettura e poesia. Non mi freghi. Oggi ho capito. La pioggia fredda mi rivela che sotto la coltre grigia dell'indifferenza pulsano i colori vividi di un mondo il cui linguaggio va decodificato. Io voglio scoprire.

III

Il cielo è una massa compatta di particelle lilla. Il suono delle strade non copre il rimbombo silente della domenica. Non riesco a controllare i miei pensieri e forse comincerò a piangere. Il minimo che posso fare.
Ieri ho bevuto come una spugna strane storie e vino rosso in compagnia di un losco e logorroico soggetto. Avevo tanta voglia di autocommiserarmi e speravo tanto che costui potesse aiutarmi nel farmi sentire una merda, magari insultandomi amichevolmente. Di solito funziona così. Ma proprio ieri aveva bisogno di raccontarmi quello che gli è capitato negli ultimi cinque giorni e non sono riuscita ad incastrarlo nel mio delirio masochista.
Non ricordo bene quello che mi ha raccontato. Ho solo un'immagine sfocata di un qualcuno che ha cercato di fregargli un qualchecosa, ma ovviamente lui, il volpone, non ha permesso tale sopraffazione. Poi, quando era già troppo ubriaco di vino e di superbia per potermi stare a sentire, ho pensato bene di abbandonarlo al suo destino infame e solitario.
Credo di aver bisogno di un cane. Gli animali sono grandi comunicatori e soprattutto comunicano cose serie e semplicemente divertenti tipo amore, solidarietà, rispetto. Ma soprattutto hanno la capacità di insegnarle. Ed io ho bisogno di imparare il codice attraverso cui leggere il mondo.

IV

Una volta un tizio molto strano, molto alto e troppo magro mi ha letto i tarocchi. Mi ha psicanalizzato servendosi di queste carte colorate e affascinanti le cui figure grottesche sembrano prenderti in giro. Mi aveva predetto che ai piedi di una torre in rovina io avrei deciso di ricostruire tutto da capo.
Mi sento ai piedi di quella torre che sta crollando. Ma c'è il sole. Mi sento il decimo cavaliere, quello che troverà il Sacro Graal. Oggi più che mai, so di sbagliare quando mi lascio convincere da te a restare chiuso nella mia bara di vetro. Devo ricucire con spago d'amianto i lembi della mia anima infante, che tenerella fu stuprata dalle tue sadiche insinuazioni. Sento fragoroso e incessante il dolore del primo respiro. Mi libera i polmoni dalla polvere della mia claustrofobica paura. Fa freddo, ma la neve si sta sciogliendo.

V

I numeri sono una trappola. Le leggi sono la rete in cui continuamente si impigliano i miei pensieri più liberi. La stupidità e la banalità con cui si ricoprono le cose, le più belle, sono maschere mostruose e terrificanti, che mi hanno impedito di capire.
L'altra notte ero sveglio e non avevo sonno. Rimuginavo e masticavo la negativa esperienza di una notte amara e solitaria. Sembrava tutto come quella volta che avevo gli incubi e faticavo ad addormentarmi, perchè mi tormentavano da sveglio. Sentivo il respiro fetido della melma nemica sul collo. Bene, ad un certo punto è apparso Merlino, che con il suo solito tono da vecchio barboso e petulante mi ha sputato in faccia il suo sdegno. La ramanzina è andata avanti un bel po'. In realtà e a ragione, lui ce l'aveva con te. Ha distrutto con il fragore delle sue parole l'ultimo lembo di fiducia (o ciò che più le assomigliava) che io potessi avere nei tuoi confronti. Ha detto che non fai altro che affaticare la mia mente, che la tormenti e le impedisci di concentrarsi sulla missione. Ha insistito sul fatto che è molto pericoloso rimanere nell'attesa.
Io non sento ancora il pericolo, ma il dolore. E non riesco a farlo passare. Quel rompiballe barbuto di mago è andato via, senza darmi, chessò io…della droga, un qualsiasi farmaco, una soluzione densa, qualsiasi cosa potesse in qualche modo far sì che il mio corpo stanco e dolorante, ma non ancora del tutto vinto, si liberasse di me.
Il vecchio non si è però dimenticato di maledirmi sonoramente elencando una serie di sfighe pendenti a mio carico.

VI

I giorni diventano velocemente polvere leggera nel gelo. Il mio corpo contiene a malapena il blocco di odio insensato che si è accumulato nelle viscere durante l'inverno.. Non so cosa fare. Resto a guardare tutti gli altri vermi che strisciano, corrono, distruggono, vibrano, sottomettono, con un'energia ed una frenesia davvero insolenti. Io mi limito a guardare e a sorridere di loro, ma anche a piangere e disperarmi per me stesso. Scoprire che le proprie parole ed i propri desideri non hanno alcun valore nemmeno per sé è molto doloroso. Io non riesco a ricordare chi può avermi trasmesso geneticamente insieme alla totale incapacità di affrontare qualsiasi situazione, il demone beffardo che mi permette di cogliere tutte le sfumature della poesia di questo progressivo degrado di cellule che è la vita. È veramente penoso il dramma di un essere il cui talento consiste nel vedere chiaramente e nel minimo dettaglio la sua miseria . Il mio desiderio si nutre della lussuria necrofila dei perversi figli del mondo.

VII

Non ricevo da tempo notizie sulla missione. Il vegliardo fanatico non mi ha più telefonato. Non mi ha nemmeno inviato gli auguri di Natale. Ora che ci penso, la cosa mi dà un po' fastidio. Che gli sia successo qualcosa?
Intanto ascolto la voce afona alla radio che annuncia una canzone di Prince. Andrea l'ha dedicata a Emanuela con tanto amore. Una fottutissima dedica d'amore - sussura con finto cinismo la voce fastidiosa. La canzone è indubbiamente orribile e non mi dà alcun calore. Come ha potuto Andrea dedicarla con amore ad Emanuela?

 

LA MISSIONE

Un messaggio in segreteria del nostro canuto negromante mi indicava la data, l'ora e il luogo dove dovremmo incontrarci. Finalmente saprò qualcosa di questa benedetta missione.
Sento delle strane vibrazioni nelle ossa e un leggero dolore al costato. Forse sono solo un po' emozionato. Confido.

I

Mi alzo presto. La luce è ghiaccio per le mie pupille. Sento il freddo negli sguardi della gente per la strada. In silenzio accompagnano i loro corpi al lavoro. Corpi che hanno ancora troppo vivo il ricordo del tiepido giaciglio abbandonato prematuramente.
Io mi siedo davanti alla vetrina, in un bar, ad un tavolino di vetro trasparente su cui si accumula polvere e granelli di zucchero fuoriusciti da caramellose bustine di carta. Mangio un bombolone freddo senza anima e senza crema. Sono ancora felice.
Il tizio che devo incontrare si fermerà qui all'angolo. Merlino mi ha detto così. Avrà un mantello turchese… o forse un cappello. Beh! spero per lui sia solo un cappello.
In realtà della Missione non ho mai realmente saputo un bel niente. Il vecchio ne parla in continuazione, ma in termini così vaghi che mi innervosisco presto e non lo sto più a sentire. Ho pensato tante volte a cosa potrebbe essere, alle persone che dovrò incontrare, a quelle che forse dovrò eliminare. Mi prende il panico: non sono mai riuscito a intrattenere rapporti con la gente.

 

L'UOMO DAL MANTELLO TURCHESE

Si presenta il tizio che ha indosso un vero mantello di panno (!!) turchese. I capelli circondano impeccabilmente una faccia lunga, dagli occhi piccoli ed espressivi.
Si siede con molta cautela, appoggiando il suo scheletrico corpo sulla brutta sedia davanti a me. Mi osserva. Sento i suoi occhi esplorare la mia figura ed il mio pensiero. Sono ansioso e lui lo avverte. Si presenta. Si chiama Aristide.
Quasi scoppio a ridere quando scopro che sfoggia con disinvoltura delle ghette dai bordi dorati. Mi è immediatamente simpatico.

Sono felice di conoscerti. -
Io non so ancora-
Credo che non sarà facile la nostra missione.
Di che si tratta?
Di qualcosa di estremamente semplice. Sei destinato a scoprire la bellezza, il messaggio, la via, la luce, la ragione, come vuoi chiamarla tu.
Mi dice che sono stato scelto tra milioni di persone, che è troppo complicato spiegarmi il perché sia stato scelto io, ma che lo capirò dopo. Mi dice che molte cose cambieranno nella mia vita e questo a volte mi renderà felice, altre un po' meno. Mi promette che riuscirò a decodificare la realtà con strumenti assolutamente diversi.
Interessante davvero.
Aristide sa che cosa sto pensando.
Mi dice che sono stato scelto proprio in ragione del mio scettico cinismo. Questo mi permetterà di passare attraverso la realtà, di masticarne la dura consistenza, di vomitarla e modellare quella poltiglia informe ed inquietante fino a creare una tenera scultura, un monolìto da cui trarre l'energia per respirare.
La ridondanza e la poetica seriosa delle sue parole, pronunciate con la calma di chi pensa a cosa sta dicendo, le sue ghette dorate, la bizzarra forma della sua cornice tricotica, le assurdità che sta formulando, mi ipnotizzano per una buona mezzora.
Ad un certo punto, mi riprendo e scopro di avere ancora un briciolo di intraprendenza nel chiedergli:
- Ma cosa dovrò fare di preciso? Avrò, come dire, dei poteri magici? Potrei avere anch'io un paio di ghette come le tue?-
Aristide, sempre più illuminato mi risponde che la mia totale indifferenza verso il mondo si trasformerà a poco a poco in consapevolezza di qualcosa d'altro, di straordinario. Sì, potrò avere anch'io un paio di ghette come le sue e gli fa estremo piacere che qualcuno le apprezzi.
-Ti insegnerò tutte le tecniche respiratorie per uscire ed entrare nel tuo corpo a piacimento, per volare dall'altra parte del mondo con la forza del tuo spirito, per entrare nel cuore e nella mente delle persone. Un potere immenso, ma anche molto difficile da gestire.
Non sono molto contento.
Aristide resterà con me fino a quando non sarò pronto.
Stasera andiamo ad una festa.

 

CONSIDERAZIONI

Sono steso sul letto della mia stanza. O forse sull'autobus schiacciato nella ressa dell'ora di punta. Ho tanto caldo e noia. Formulo considerazioni sul mio nuovo punto di riferimento o leader spirituale. Aristide mi piace ma non mi convince.
Cosa vuol dire che scoprirò la bellezza?
Perché la gente è tanto crudele?
Si fa gioco dei sentimenti altrui.
Ti illude con la certezza affettata dell'esistenza di una speranza.
Perché quest'uomo tragicamente sadico mi vuol far credere che io in qualche modo possa essere utile e che possa ricredermi su tutto? Perché è così cattivo da destabilizzare il pigro equilibrio delle mie certezze?
Non voglio sperare. Io sono solo un depresso che non guarirà dal suo male. Mai. Perché la mia patologica ironia ed il sarcastico disprezzo nei confronti della vita è l'unica cosa che mi fa sopravvivere. Nutre la mia vigliaccheria. Mi impedisce di disintegrarmi nel nulla.
Ah! Patetico!

 

LA RIUNIONE

Sono seduto in questa stanza incredibilmente bianca. Il mio pensiero va a chi è riuscito a renderla così linda e luminosa con il lavoro delle proprie braccia ed un panno elettrostatico. Deve essere un mago. Ammiro chi sa fare il suo lavoro. Chi sa sviluppare una competenza.
Sono solo nel candore artificiale di una stanza sfregata fino al logorio. Mi sento anch'io più ripulito del solito. Non c'è alcun essere umano oltre a me. Nessun fastidio visivo o rumore turba l'armonia quasi inquietante di questo spazio. Lontano da ogni luogo.
Aristide mi appare davanti all'improvviso. Lo scruto per due secondi come leggermente impaurito, meravigliato, come se mi fossi svegliato in questo istante. Mi saluta con voce flebile e mi sorride con gli occhi. La sua faccia è tanto rugosa da sembrare presa in prestito. Gli occhi, invece sono quelli di un bambino. Non saprei dire che età abbia. Neanche all'incirca. L'unica cosa che riesco a capire di lui è che è completamente pazzo.
Mi sorride ancora sornione e mi chiede se mi sono ripreso dalla festa dell'altra sera. Gli rispondo di si, e mi accorgo che è la prima volta da allora, che ci penso. In realtà non ricordo nulla di quello che è successo. Proprio così. Non ricordo nulla. È come se mi fossi addormentato e la mattina dopo svegliato senza ricordo alcuno di quello che avrei sognato durante la notte..