Fabrizio Lorenzo Lago

classe 1978, nato a Bari, vivo a Modena e studio presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna, Dipartimento di Scienze della Comunicazione. Cerco di tirare avanti barcamenandomi fra mille lavori: collaboro con un quotidiano locale, insegno informatica, lavoro in alcune fiere... Scrivo per passione, per dare manifestazione a quei vuoti assoluti che riempiono stomaco e cuore, per non lasciar scorrere nel nulla i miei pensieri, per trovare spiegazioni fra le parole e addolcire inquietudini spesso troppo pressanti... Le mie fonti di ispirazione sono molteplici: fra i miei padri poetici ci sono Charles Baudelaire e Bob Dylan, nei miei registri stilistici convivono caoticamente motivi surrealisti e beat. Il romanzo che ha significato di più nella mia vita è Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien, la capacità di costruire un universo narrativo simile rimane la mia ambizione più grande. Grazie a questo libro inoltre mi sono avvicinato ai giochi di ruolo fantasy, che ormai da molti anni sono il mio hobby preferito. La musica è un'altra componente fondamentale della mia esistenza, il Rock, nelle sue dimensioni di fenomeno sociale, permea la mia anarchicità civile ed è alla base dell'insofferenza che provo per il nostro mondo capitalista e industrializzato. Vorrei poter vivere realizzando romanzi di viaggio e suonando la mia chitarra. Adoro il pane e il caffè, gli attimi prima della pioggia, la birra scura, la montagna e le civette. Se volete leggere altre mie opere potete trovarle al sito http://www.aqualunae.it

Voglia dell'Alba
di Arthur Sinlake

Era appoggiato alla macchina svogliatamente, fumava una sigaretta e pensava alla sua morte.
Lei aprì il portone davanti e uscì sorridendo, con la faccia colorita e vivace, nascosta appena da un cappellino scuro, dritto e rigido, di quelli che si usano per andare a pesca. Le dava un'aria simpatica, da forestiera gioiosa e spensierata, da persona di passaggio: perché è noto che i viaggiatori per scelta, i turisti della vita, specialmente quando portano cappelli del genere, non possono che essere persone felici e senza preoccupazioni.
Lui cancellò la morte dallo sguardo e la osservò avvicinarsi, finalmente…
L'aveva aspettata per quasi un'ora e iniziava già a pensare che lei volesse evitarlo, ma vederla così adesso, lo ripagava pienamente dell'agonia passata.
Camminava disinvolta, come se avesse già percorso mille volte quella strada che li separava, come se quella direzione fosse l'unica possibile per lei in quella vita: lui e la sua sigaretta che si consumavano lenti.
<< Ciao amore mio! >> esclamò quasi dal nulla, tuffandosi su Samuel con euforia e inarcando il suo sorriso all'estremo. Lo stringeva forte e lui quasi si sorprese della potenza che le braccia di lei, così esili all'apparenza, sapevano sprigionare.
Non era preparato a tanta gioia, a tanto entusiasmo. Mentre aspettava si era immaginato la scena del loro incontro, ed era drasticamente diversa da quella: aveva pensato a gesti lenti e significativi, a un po' di vento che avrebbe sottolineato i loro respiri intensi, mentre si abbracciavano dolcemente di nuovo, allo sguardo d'intesa che lei gli avrebbe rivolto, a poche parole, a nessuna domanda…
<< Allora bellone cosa mi fai fare adesso? Scusa se ti ho fatto aspettare un po' troppo… >>
Samuel aveva già ripreso posto sul treno del pessimismo, dell'insoddisfazione. Pensava che non ne poteva più di tutto quel vivere uguale, degli abiti costosi che indossava, della faccia ottimista che doveva fare per vendere sicurezza, degli incontri di lavoro, delle serate di gala, dei cocktail nauseanti trangugiati per fare compagnia ai suoi amici, per sedurre una donna, per dimenticare se stesso. Non ne poteva più.
<< Eri arrivato puntuale? >> uno sguardo dolce e finto, gli occhi abbassati in una timida costernazione, le braccia ancora al collo di lui e la vita stretta contro il suo sesso.
<< Ero arrivato si, e sono ancora qui, non stare a preoccuparti inutilmente. >> secco, deciso, eccitato dal calore di lei che sentiva premere sul suo pene.
<< Ma c'è qualcosa che non va? Non hai voglia di parlarmene? >>
<< Magari dopo dai, non perdiamo tempo. Non so, ti va di andare a casa mia? Se hai voglia di cenare posso provare a stupirti con un piatto da Nouvelle Cousine… Così risolviamo, finiamo a letto e poi dormi. Tanto ho solo voglia di guardarti un po' >>.
<< Non se ne parla bellone! Stasera andiamo a ballare e ho un paio di inviti per l'Havana Club che fanno proprio al caso nostro! Dai muoviti, che dopo le nove non fanno più da mangiare ed io ho una gran famona! >> rise Erika.
<< Oppure vuoi che mi mangi te bellone?! Eh si, lo so che ti piacerebbe…ma dovrai tenermi come dessert, e dovrai anche meritartelo cosa credi! >> finì di parlare ancora con quel risolino sulle labbra e il tono di una bambina stupida, poi lasciò Samuel e montò in auto rapidamente esortandolo a fare lo stesso con altre due sillabe acute.
Sentì le sue tempie pulsare e le mani gli tremarono un attimo. Vide poi che per terra dinanzi a lui c'erano due foglietti di carta variopinti: gli inviti del locale di cui aveva parlato Erika, dovevano essere caduti dalla sua borsetta mentre l'abbracciava. Li raccolse e li esaminò un attimo con le dita, liberandoli da un po' di polvere che li aveva sporcati.
Una serata latino americana era la festa che proponevano quei cartoncini colorati, probabilmente del buon rhum e qualche ballerina sudamericana ad animare il posto. L'idea non gli dispiaceva, anzi era attratto dal clima che sembrava emergere dalla pubblicità; l'unica cosa che non andava era la donna in auto con cui avrebbe dovuto condividere tanto tempo.
Un'idea assurda sfiorò la sua immaginazione con una folata di vento.
Tirò fuori dalla tasca destra il radiocomando dell'antifurto della sua auto, lo guardò un attimo indeciso, poi sentì ancora la voce di Erika incomprensibile, sembrava già distante anni, attutita dai vetri chiusi.
Premette il tasto del comando per chiudere l'auto e si mise a camminare.
Sentì ancora per qualche passo il suono della voce di lei e i rumori di qualche colpo contro il finestrino. Proseguì pacifico pensando al cane che aveva quando era piccolo: anche lui faceva quei rumori quando lo lasciavano da solo in auto.

Erika lavorava in un ufficio alla periferia industriale della città e per fortuna il locale della festa era proprio lì vicino, c'erano da fare a piedi un paio di Km, niente di più. O almeno così aveva stimato Samuel.
Il paesaggio intorno non era proprio rassicurante, una superstrada vicino provvedeva ad assordarlo ritmicamente con il passaggio di qualche lunghissimo camion e le uniche costruzioni che si vedevano all'orizzonte erano dei capannoni enormi. Le luci dei semafori agli incroci erano le sue mete progressive mentre cercava di orientarsi alla meglio. Pensò che se avesse saputo di dover fare quella passeggiata avrebbe indossato altri indumenti, e soprattutto altre scarpe. Camminava un po' impacciato e la sua figura elegante doveva essere piuttosto anomala in quei paraggi.
Dopo diversi minuti di cammino vide, ad un centinaio di metri di distanza, delle persone sul marciapiede opposto. Si avvicinò rapidamente affrettando il passo.
Mentre camminava iniziò a notare che per strada si trovavano diversi rifiuti.

Non fai in tempo a trovare gli uomini, che già la loro merda ti circonda.

Fece pochi altri metri e distinse chiaramente delle donne, il cui schieramento lungo la strada e abbigliamento erano difficili da fraintendere: prostitute.
Rallentò istintivamente, pensò a come avrebbe potuto evitare l'incontro, ma presto capì che aveva poche opportunità: non c'erano bivi, e comunque non conosceva la zona abbastanza per permettersi strade alternative.
Riprese la sua andatura con sicurezza, ma dentro di sé era perplesso, non tanto per la situazione che doveva affrontare quanto per la reazione che aveva avuto, per il timore che l'aveva preso irresistibilmente alla vista di quelle donne. Dopotutto erano solo persone che cercavano di guadagnare qualche soldo.

Perché tanta paura? Perché tanto ribrezzo?
Cosa fanno loro di diverso da me in realtà?!
Vendono il proprio corpo, l'anima, la pelle, il calore della notte, niente più di ciò che faccio io da una vita. Forse loro hanno iniziato più tardi.
Ci distingue solo la platealità con cui rinunciamo a noi stessi e la biancheria intima, nel loro caso di pessimo gusto…

Arrivò vicino alle prime quasi sorridendo, ce n'erano una decina, tutte bianche, sicuramente ragazze dell'Est Europa. Mostravano un'aria annoiata, fumavano svogliatamente, molte dovevano avere poco più di vent'anni. Sembravano quasi a disagio nel vederlo arrivare così dal nulla, senza un'auto ed il rumore dei finestrini elettrici che si abbassavano, senza la solita domanda, senza l'abituale espressione meschina.
Samuel sorpassò la prima e salutò ad alta voce con un tono misto fra l'educato e l'allegro:
<< Buonasera! >>
Fu come se fosse entrato nel bel mezzo di una riunione di famiglia, in casa di estranei e ad un orario sbagliato. Non si sentì nessuna risposta e tutte lo fissavano come impaurite. Vide in loro la stessa reazione che aveva avuto lui poco prima e si sentì confortato.
<< Non vi preoccupate, dopo un po' passa… >> disse ad una mentre continuava a camminare. Scorse un abbozzo di sorriso di ricambio sulla faccia di lei, mentre si rimetteva sulle labbra una sigaretta e socchiudeva gli occhi, come ad apprezzare quell'attimo anomalo fra sé e sé, gustando la sensazione senza permetterle di avvolgerla, mantenendo il distacco necessario per continuare a stare lì, almeno per quella notte ancora.
Proseguì e qualcuna lo salutò a mezza voce, rompendo l'atmosfera paradossalmente formale che si era creata.
Samuel pensò alla stranezza della cosa, a quanto ogni situazione della vita sociale fosse ritualizzata e a come uscire anche solo per un attimo da quegli schemi di interazione a cui si era abituati fosse disarmante.
Camminava ormai oltre il gruppo di prostitute, quando una voce alle sue spalle lo chiamò.
<< Ehi! >> una delle donne si dirigeva verso di lui. Gli fu vicino in un attimo. Era bionda, piuttosto slanciata ma poco formosa, aveva gli occhi chiari e vispi, esaltati dal nero brillante dell'eye-liner.
<< Ehi, hai voglia? Vuoi godere? Io sono brava sai!? >> prese la mano destra di Samuel e la portò sul proprio inguine. Lui lasciò che lo facesse senza resistere, fissandola e rimanendo muto. Guardava le mani di lei, la velocità e la facilità con cui era riuscita a guidare la sua sul suo sesso, il modo in cui riusciva a fargli muovere le dita.
<< Allora? Mi dai poco sai, sei simpatico! Vieni con me… >> non sopportava la voce di lei, e il pesante accento straniero lo infastidiva. Ora la ragazza gli aveva preso la mano nella sua e lo tirava con se verso la strada per attraversarla.
<< Fermati, non mi interessa. >> disse lasciando la presa. Lei stava per parlare ancora, per dire qualche frase che sperava potesse convincerlo, ma lui la zittì prima che iniziasse:
<< Ti darò questi soldi per niente. >> disse tirando fuori diverse banconote dalla tasca del soprabito, << Voglio che torni lì e mi lasci in pace, dimmi solo se l'Havana è lontano da qui, lo conosci? >>
Lei afferrò subito le banconote dalla mano di lui sorridendo.
<< Si, vai lì in fondo, gira a sinistra. E' lì dietro. >> rispose indicandogli con qualche gesto la direzione del locale. Poi lo salutò e attraversò la strada.
Oltre il marciapiede davanti c'era un parcheggio, la vide entrare in una vecchia auto grigia rapidamente e andare via in direzione opposta alla sua.

Mi piacerebbe sapere che è scappata, che sta tornando a casa. Magari le mancavano quei soldi per guadagnarsi la libertà. Sarebbe bello.
C'è un'altra differenza fra me e loro: la speranza che la vita possa cambiare.
Nessuna è qui per rimanere per sempre una puttana, cercano di conquistare un modo di vivere dignitoso, sono sicuro che queste donne hanno delle ambizioni, dei sogni sul loro futuro. Io invece ho già tutto ciò che poteva interessarmi, ma mi sento senza senso, e non voglio nient'altro. Continuo a perpetuare i soliti gesti vuoti per ozio, perché la pigrizia di arrivare ad affrontare una fine drastica mi blocca.

Aveva ripreso la sua marcia a capo chino, frugandosi fra le tasche dei pantaloni alla ricerca di un motivo, di una ragione valida che potesse sostenere la sua lunga arringa contro Dio e le sue ingiustizie, ma nulla di ciò che trovava, a parte poche briciole di trascorsi travagliati, gli sembrava essere adatto. I suoi pensieri furono interrotti da una vibrazione ritmica che aumentava d'intensità.
Bellissimo, continuava a camminare e chiuse gli occhi. Si sentiva sempre più assorbito dall'aria che gli tremava intorno, in quell'assoluto vuoto suburbano la meraviglia arrivava di colpo e aveva le tonalità di una musica caraibica.
Il locale doveva essere vicino e ormai era sicuro della direzione da tenere. Si affrettò più che poteva, aveva voglia di entrare in quell'ambiente fumoso e adagiarsi da solo al bancone a bere. Sentiva già l'eccitazione della gente intorno, la voglia di farsi vedere delle donne, le risate senza motivo, cose che di solito lo facevano innervosire e di cui inspiegabilmente ora sentiva il bisogno.
Giunse finalmente davanti all'entrata, piuttosto anonima dopotutto. L'edificio che accoglieva l'Havana Club era un capannone come gli altri, a parte per una massiccia porta verde lucido ed una scritta al neon decorata da un paio di palme. Si capiva che quella era l'entrata di un locale alla moda solo grazie ai tre grossi palestrati che vi sostavano davanti e che sembravano sorvegliare attentamente la situazione.
Lo incuriosivano le persone adibite a quei ruoli: per accettare un lavoro del genere, bisognava un po' rinunciare a far parte della gente. Pensò che lui non sarebbe più riuscito a divertirsi in un locale del tipo se avesse mai fatto il buttafuori, il distacco professionale sarebbe diventato un'ottica diversa nel suo modo di fare.

Quando la gente vuole divertirsi ha bisogno di qualcuno che la controlli, è come voler mantenere un piccolo contatto con la realtà nonostante si tenti di fuggirla, e chi indossa le vesti del reale non se ne libera togliendosi una divisa.

Si avvicinò con fare composto e mostrò al tipo più vicino uno degli inviti di Erika. Dopo un breve esame del cartoncino l'uomo lo salutò e gli aprì la porta invitandolo ad entrare.
La musica lo investì allora pienamente con gli odori della sala gremita di gente in movimento. Era tutto come s'aspettava, persino il bancone era posizionato secondo la sua idea, infondo a sinistra, sotto una specie di balconcino o piano rialzato, su cui ballavano due ragazze mulatte; entrò e si diresse senza indugiare verso uno sgabello libero, aveva già sulle labbra il gusto del rhum.
Si sedette e ordinò la sua bevanda ad una barista di colore, che lo considerò solo dopo diversi tentativi di farsi sentire e lo guardò sorpresa, come se stesse chiedendo qualcosa di anomalo.
<< Rhum per favore, di quello invecchiato 7 anni se possibile. >> ribadì Samuel pazientemente.
In realtà era evidente che aveva interrotto i pensieri della donna, che poco prima guardava attentamente in direzione di un paio di tavolini vicino, a cui sedevano tre uomini, che parlavano con una cameriera intenta a servirgli bicchieri pieni di intrugli colorati.
<< Ehi, se è un problema dammi quello che hai. Oppure fammi il cocktail del locale che so? >> disse Samuel sporgendosi sul banco verso di lei.
<< No, nessun problema, mi scusi. >> rispose lei porgendogli un bicchiere largo e quadrato, e versandogli il rhum. Dopo poco tornò a guardare nella direzione precedente.
Samuel si sistemò più comodamente e si girò verso la pista iniziando a sorseggiare il liquido ambrato con calma. C'era gente sui trent'anni, raccolta in piccoli gruppetti da quattro o cinque persone che interpretavano a modo loro i ritmi dettati dal dj. C'era qualcuno più capace ed altri che erano palesemente fuori luogo, decisamente negati per seguire la musica ed estremamente rigidi negli atteggiamenti.
Le donne si muovevano con più grazia e tenevano conversazioni serrate con le vicine di ballo, ridendo di continuo e lanciando occhiate maliziose a destra e a manca.
Per lui parlare in mezzo ad una pista da ballo con la musica alta era una cosa impossibile, gli capitavano fraintendimenti clamorosi oppure faceva finta di capire frasi che suonavano assurde, sorrideva compiacente quando gli succedeva e sperava che l'interlocutore del caso finisse in fretta. Ma era convinto che fosse così per tutti: in realtà regnava un tacito accordo in quei casi, secondo cui bisognava far vedere che tra amici ci si divertiva e si scherzava di continuo, per dare agli estranei l'idea di essere parte di un gruppo molto goliardico e affiatato.
Per le donne invece era diverso: loro davvero parlavano di cose importanti anche in situazioni come quella; le due ragazze che aveva davanti in quel momento, per esempio, si stavano certamente confidando segreti di un'intimità insospettabile, riuscivano a coinvolgersi completamente nei loro discorsi nonostante tutta la gente intorno, la musica alta, uno che le fissava da un po'…
Samuel pensava che l'unica spiegazione possibile fosse riconoscere un'intensità diversa ai rapporti d'amicizia fra uomini e donne. I primi mantenevano in generale un distacco maggiore fra loro, conservavano sempre per se stessi una sfera personale di stati d'animo e sensazioni che spesso non esprimevano mai, tendevano comunque a considerare i momenti insieme più come occasioni per distrarsi che per parlare di sé. Le donne invece, quando stabilivano un forte vincolo d'amicizia, sembravano condividere tutto, si confidavano ogni minimo particolare della propria vita, persino il modo in cui scopavano!
Era assorto in queste considerazioni quando qualcuno lo urtò al braccio sinistro: era la barista, che aveva lasciato il suo posto e si dirigeva a passo svelto verso i tavolini che stava fissando poco prima. Samuel osservò le gambe della donna e le sue caviglie sottili e frenetiche sopra dei tacchi a spillo vertiginosi.
La vide rivolgersi ad uno degli uomini seduti, dal modo in cui muoveva la bocca e dalle espressioni del viso doveva essere piuttosto alterata. L'uomo con cui parlava si alzò portandosi una mano alla fronte e poggiando l'altra su una spalla della donna, poi sembrò dire qualcosa, ma non ebbe il tempo di finire, perché lei gli scostò la mano bruscamente e lo colpì al volto con un secco schiaffo. Si girò poi in direzione della pista e scomparve fra la gente lasciando il tipo allibito.
Samuel scosse la testa ridendo.
Fra una considerazione e l'altra i bicchieri davanti a lui erano diventati diversi e lo stato del suo umore era notevolmente peggiorato. Pagò le consumazioni e si alzò, aveva intenzione di fare un giro completo del posto e di cercare nel frattempo un bagno.
Gli appariva più grande ora quell'ambiente, ed era come se tutte le persone che incontrava lo squadrassero spudoratamente. Si sentiva a disagio e contemporaneamente era infastidito. I ritmi della musica sembravano non cambiare mai e iniziava a non sopportare più nulla.
Si trovò di fronte ad una scala che portava ad una specie di privè, ebbe un attimo di indecisione e poi iniziò a salire. Incrociò una donna nera che scendeva rapidamente e che lo urtò quasi travolgendolo. Qualcosa di familiare nel suo viso, ma al momento non gliene fregava niente. Sentiva solo la sua vescica terribilmente gonfia e dolorante, aveva bisogno a tutti i costi di un bagno.
La sala di sopra si rivelò un ambiente più piccolo, con diversi divanetti e tavolini di vetro nero. La musica del piano inferiore sfumava e si trasformava in una melodia d'intrattenimento dai toni meno esotici. C'era gente, molte coppie che flirtavano, qualche uomo seduto di fronte a diversi bicchieri vuoti, tanto fumo nell'aria.
Vide l'indicazione per i bagni in fondo a destra, come in ogni posto di questa terra, la scritta di quel verde asettico gli sembrava sfuocata. Entrò appoggiandosi troppo forte alla porta, che sbatté violentemente contro la parete dell'anticamera del bagno, uno stanzino minuscolo dotato di un piccolo lavandino. Aprì l'altra porta davanti e si lanciò sul water senza esitazioni. Un gorgoglio di umana soddisfazione gli morì in gola, mentre con una mano si appoggiava alle mattonelle davanti, terribilmente fredde.
Uscì dal bagno tirando un sospiro e tentando di riordinarsi i capelli.
Guardò la saletta con occhi nuovi e la trovò piuttosto confortevole, aveva voglia di sedersi e c'era giusto un tavolino libero in una specie di nicchia alla sua destra. Si sedette e osservò per un attimo le pareti nere e profonde, poi provò un leggero senso di nausea e decise che era meglio smettere. Si portò una mano sugli occhi e sentì di aver urtato qualcosa con il gomito, un piccolo rumore sotto il tavolino gli chiarì la fine dell'oggetto colpito. Si piegò pigramente nel flebile tentativo di ritrovarlo, ma le tenebre sotto i tavoli sono dei nascondigli perfetti si sa, e certo lui non avrebbe sfatato questo mito. Stava per rinunciare quando sentì una voce sopra la sua testa:
<< Posso esserle d'aiuto? >> un giovane cameriere bruno dalla faccia glabra gli stava dinanzi sforzandosi di avere un'espressione gentile.
<< Ma…devo aver fatto cadere qualcosa…non so cosa, stavo cercando di…>> farfugliò fra sé e sé Samuel, e poi si corresse subito << Si grazie, portami del Bourbon per favore. >>
Il ragazzo fece un cenno di assenso e si diresse rapidamente verso il bar.
Stimò che nella sala ci fossero una ventina di persone, anche se i separé non permettevano di vedere tutti i tavolini. Si sentiva un leggero brusio di voci di sottofondo che si fondeva piacevolmente con la musica. Samuel si sentì un attimo più rilassato e mise le mani sugli occhi cercando di riacquistare tranquillità.
Sentì un movimento scuotere il divanetto su cui stava e guardandosi al fianco vide una donna nera che gli si era seduta vicino e beveva da un bicchiere azzurro. Aveva i capelli corti acconciati in delle sottili treccine, indossava un top bianco molto attillato ed un pantalone con le stesse caratteristiche. Teneva le sue due lunghe gambe accavallate e dondolava il piede sinistro nervosamente, lo sguardo fisso nel vuoto davanti a lei, le dita strette tenacemente attorno al suo cocktail.
Il cameriere arrivò con il Bourbon e lo poggiò sul tavolino, salutò confidenzialmente la donna che era con lui:
<< Ciao Tina, tutto bene? >>
Lei non rispose, nemmeno distolse lo sguardo. Il ragazzo se ne andò salutando entrambi un po' contraddetto.
Samuel la guardò più attentamente in viso e riconobbe in lei la donna che l'aveva quasi travolto poco prima e che l'aveva servito al bar di sotto. La sua attenzione ricadde su un anello d'oro che portava all'anulare della mano destra.
<< Bello >> le disse toccandole l'anello con l'indice.
Lei distolse lo sguardo dai suoi pensieri e lo fissò dritto negli occhi. Poi si sfilò l'anello e prendendogli la mano sinistra glielo mise al mignolo.
<< Muoviti, finisci di bere e vattene. Questo è il mio tavolo. >>
Samuel fu un attimo sorpreso dal gesto e dalla decisione nel tono della donna, poi fece finta di nulla e riprese a parlare guardando il nuovo oggetto che aveva al dito.
<< Stava meglio a te però, io ho le dita troppo tozze per renderle così appariscenti. Sarebbe stupido evidenziare così un difetto fisico non credi? Mi sembrerebbe di mettere a disagio le persone che mi guardano…>>
<< Ma non ti piaceva scusa? Non ti può bastare questo? >>
<< Il piacere, come se potesse mai bastarci solo questo! Non è possibile, uno deve considerare tante altre cose nella vita…>>
<< Tipo? >>
<< Tipo cosa ne pensa tua madre di come ti vesti, o dove hai parcheggiato, o se a casa tua hai un posto dove mettere le giacche e gli ombrelli, se importerà a qualcuno della tua morte, cosa farai dopo la laurea…>>
<< Cosa farai dopo aver finito di bere quel coso? >>
<< Penso che vorrò uccidermi di nuovo, per la terza volta in questa giornata. >>
Tina si alzò e prese Samuel per mano, lo guardò un'altra volta e poi andò verso la scala tirandoselo dietro. Scesero al piano inferiore, c'erano ancora molte persone che ballavano. Si fecero largo fra la gente e, dopo aver attraversato la pista, raggiunsero la parete opposta all'entrata. Lei aprì una porta perfettamente mimetizzata nel muro e lo condusse in un corridoio illuminato da una luce al neon viola. Aprì un'altra porta e si trovarono in una specie di camera da letto completamente bianca. Gli tolse il soprabito e lo fece cadere per terra, poi gli sbottonò la camicia mentre gli baciava il collo avidamente, mordendolo su un orecchio. Lui le cinse la vita con le mani e afferrò i suoi glutei sodi, li strinse a sé e sentì per la prima volta l'odore della sua pelle, mentre affondava il naso nel suo seno. Lei gemette afferrandosi ai suoi capelli e tirandogli la nuca indietro per avere la sua bocca. Si baciarono a lungo mentre continuavano a spogliarsi e furono sul letto l'uno nell'altra, avvolti come per caso, in un abbraccio che sembrava insospettabile fino a pochi minuti prima.

Qualche rumore proveniente dal corridoio svegliò Samuel. Si trovò di nuovo in quella stanza bianca, nudo, nel letto con lui una donna nera, esausta, col viso sprofondato in un cuscino.
Le lenzuola avvolte alle sue gambe gli davano una sensazione piacevole di fresco, al mignolo della mano sinistra aveva ancora l'anello di lei. Si portò le mani sulla nuca nascondendo il viso fra i gomiti. Provava piacere e basta.
Si rivestì in fretta e silenziosamente, non rivolse più uno sguardo alla donna, uscì a passi rapidi, percorse fino in fondo il corridoio che dava sulla camera e trovò una porta a spinta che lo portò fuori.
La notte era la stessa, la strada era rimasta ad aspettarlo sfrigolando sotto le gomme delle auto che passavano. Un taxi era fermo poco più avanti, lo raggiunse, salì e diede il suo indirizzo all'autista senza tanti convenevoli.
Stava percorrendo la via che aveva fatto qualche ora prima a piedi e vide l'edificio degli uffici di Erika. Bloccò il taxi, pagò e scese.
Arrivò alla sua auto ancora ferma nello stesso punto, vide che aveva un finestrino rotto e qualche ammaccatura sulla portiera destra. Prese dalla tasca il radiocomando dell'antifurto e premette il tasto d'apertura. L'auto rispose con un beep sicuro e paziente.
Samuel la guardò un attimo, poi si girò e si mise a camminare.
Aveva voglia di vedere l'alba.