Roberto Cicero

sono nato nel 1962 e dunque ho 40 anni suonati (sigh!), ho una moglie, 3 figli piccoli e lavoro come un contadino dalla mattina alla sera per nutrirli tutti...
"Amico, la vuoi una bella lametta affilata?" - avrà già pensato qualcuno dei più spiritosi, ma io dico a tutti (scherzi a parte) che sono contento e soddisfatto di me, non cambierei nulla di quanto ho fatto finora. E soprattutto di quanto sto facendo, perché riesco persino a scrivere e nonostante io abbia cominciato relativamente tardi sono già riuscito a pubblicare due libri, oltre che molto altro "materiale" sparso per... l'etere. Ho anche un sito tutto mio - www.robertocicero.it - dove potrete conoscermi meglio ed un indirizzo e-mail preferito - robertocicero@libero.it - dove potrete inviarmi ogni sorta di messaggio personale (parolacce ed insulti esclusi!).

LA STATUA
(O RACCONTO IMPOSSIBILE N° 3)

<<Egregi Signori, gentili Signore,
sono estremamente lieto e sempre più onorato dei Vostri periodici inviti a partecipare ai festeggiamenti da Voi organizzati in occasione della ricorrenza dei miei natali ma, ahimé, circostanze oggettive m'impediscono, ancora una volta, di prendervi parte e di soddisfare così il mio più grande desiderio, quello di ringraziarVi personalmente per quanto avete fatto con l'istituzione della nostra amata Fondazione. Ma stavolta non mi limiterò a declinare l'invito: approfittando di una breve deroga al mio impedimento, ottenuta in via straordinaria, apporterò ugualmente il mio contributo con questa testimonianza scritta. Sappiate subito, cari Amici, che i nostri tempi sono tramontati, definitivamente sfumati. So che a Voi è concessa la facoltà di muovervi ma in un luogo troppo lontano dal mio, e per questo non conoscete taluni particolari nuovi, suppongo. Io, al contrario, sono sempre stato qui, dove la Vostra benevolenza si è materializzata con gli averi donatiVi da me. Mi è stato almeno concesso il privilegio di vedere, e per molto tempo ho visto il nostro Ospedale risplendere della Vostra carità, alleviando le sofferenze di tanti uomini onesti. Ora, però, come Vi ho accennato prima, tutto è cambiato, perduto, irrimediabilmente trasformato. L'edificio di cura è in rovina, abbandonato da tempo, e la Fondazione non esiste più, i fondi così bene da Voi amministrati sono stati dilapidati in breve da uomini corrotti e incoscienti. Dal mio punto di osservazione, ho visto lo scempio consumarsi di giorno in giorno fino alla catastrofe, quando i pochi malati sono stati definitivamente trasferiti altrove. E con l'abbandono, in me è sopraggiunta la tristezza e l'amarezza, una sensazione orribile d'inutilità mista alla certezza di non potere più rimediare. Ditemi, cosa c'è da festeggiare? Cos'ho io da festeggiare? Il mio fallimento, forse? La mia è una condanna ingiusta, Vi dico, una pena comminata per errore. Avrei tanto voluto essere lì con Voi, sempre, e sempre godere della Vostra stessa libertà, questa sarebbe stata la giusta ricompensa alla mia attività. Ma un giorno Voi, miei Cari, sia pure per eccesso di bontà, avete commesso un tragico errore: quella decisione di dedicare una statua di marmo in mio onore, da porre in un piccolo cortile interno dell'Ospedale, mi ha condannato per l'eternità su un piedistallo ormai pericolante in mezzo ad erbacce putride che m'avvolgono completamente impedendomi di scorgere persino la luce. Duecento anni di prigione dentro una statua non sono poca cosa da sopportare!
Festeggerete Voi, dunque, non io. E per sempre. Non c'è ragione per celebrare una memoria chiusa in gabbia come la mia, è la Vostra Libertà il vero Bene da proteggere in eterno.