Julio Monteiro Martins

Julio Monteiro Martins, scrittore, è nato a Niterói (Brasile) nel 1955.

Nel suo paese d’origine ha pubblicato nove libri tra raccolte di racconti, romanzi e saggi, tra cui Torpalium, Sabe quem dançou?, A oeste de nada e O espaço imaginário. In Italia ha pubblicato "Il percorso dell’idea" (petits poèmes en prose, 1998).

È stato professore di scrittura creativa al Goddard College (Vermont) dal 1979 al 1980, all’Oficina Literária Afrânio Coutinho (Rio de Janeiro) dal 1982 al 1989, all’Istituto Camões di Lisbona nel 1994 e nella Pontifícia Universidade Católica (PUC) di Rio de Janeiro nel 1995.

Ha ricevuto il titolo di "Fellow in Writing" dall’Università di Iowa (International Writing Program) nel 1979.

È stato uno dei fondatori del partito verde brasiliano e del movimento ambientalista "Os Verdes". È stato avvocato dei diritti umani a Rio de Janeiro: responsabile dell’incolumità dei "meninos de rua" chiamati a testimoniare in Tribunale sulle stragi accadutevi.

Attualmente vive tra il Brasile e la Toscana dove, oltre a realizzare corsi di scrittura creativa nelle scuole superiori di Lucca, Pistoia, Viareggio e Firenze, è professore di Lingua e Letteratura Brasiliana all’Università Degli Studi di Pisa.

È presidente dell’Associazione Oltre le Mura e della Scuola Sagarana. Ideatore dell’evento "Scrivere Oltre le Mura"

LA PARABOLA DEL GIOVANE ECONOMISTA

Durante il lungo periodo in cui soggiornò in Inghilterra, Fulvio Minnelli ottenne due dottorati in economia presso l’Università di Oxford.

Una volta scaduta l’ultima proroga della borsa, Fulvio ritornò in Italia con la moglie e i due figli. Appena arrivato preparò con cura un curriculum vitae completo e dettagliato, lo stampò in diverse copie e lo inviò a tutte le grandi imprese, pubbliche, miste e private del paese.

Dopo qualche settimana, soltanto due ditte gli risposero, invitandolo a un colloquio con il capo del Personale. Fulvio, comunque entusiasta di quelle prime opportunità, indossò il suo miglior vestito e comparve in entrambi gli uffici con tutte le risposte perfettamente studiate. Nulla, però, gli venne domandato. Dopo una breve rilettura del curriculum in sua presenza, i direttori gli dicevano piú o meno la stessa cosa: "Due dottorati... Ad Oxford!... Guardi, lei è troppo qualificato per la nostra impresa... Troppo al di sopra di quanto potremmo offrirle..." – e in seguito, tra il serio e il faceto, – "A meno che lei non voglia occupare il mio posto..."

E cosí, un po’ deluso, ma ancora disposto a cominciare una nuova vita nel suo paese, Fulvio decise di togliere gli ingombranti dottorati dal curriculum, ne fece nuove copie, che furono inviate ad un elenco di piccole industrie non comprese nella prima corrispondenza.

Dopo qualche settimana, arrivò un numero maggiore di inviti a colloqui, ed egli indossò nuovamente il vestito da "promettente economista" e si presentò agli appuntamenti. "Il suo è un buon curriculum, ma come mai non ha concluso i suoi studi con un dottorato? È proprio un peccato... Siamo spiacenti..."

Smarrito, Fulvio Minnelli ritornò a casa a capo chino. Mentre mangiava i fusilli al sugo in silenzio, con un’espressione da cane bastonato, non riusciva a guardare gli occhi afflitti di sua moglie, che gli voleva chiedere soltanto di portare a casa i soldi per i pomodori.

Perciò, dopo alcuni giorni di dolorosa riflessione per digerire la sconfitta, Fulvio si armò di coraggio e si recò nelle fabbriche e nelle fattorie dei dintorni per cercare un lavoro da operaio, da poter eseguire dignitosamente, per portare a casa i pomodori, magari qualche soldo e persino un po’ piú di salute e vigore fisico, come se fosse un padre di famiglia d’altri tempi. Ma era ancora un no la risposta riservata alle sue domande. Appena vedevano le sue mani dalla pelle rosea e delicata, le sue dita da pianista, l’assenza di una qualsiasi callosità, non capivano cosa volesse da loro quel triste damerino, e lo spazzavano via subito.

Nel pomeriggio del quarto giorno consecutivo di secchi rifiuti, Fulvio era sull’orlo della disperazione. Non voleva, non poteva ritornare a casa con le sue delicate mani vuote. Cosa fare allora? Fino al tramonto camminò solitario per le strade deserte, sempre piú lontane dal centro; arrivato vicino alla circonvallazione della città, trovò un circo. Non era piú stato al circo da quando era bambino, si era persino dimenticato che esistesse, assente com’era dai trattati di scienza economica. Rimase lí per qualche minuto a guardare le carrozze, gli animali, i bambini che osservavano il riposo degli artisti... E all’improvviso gli venne un’idea. Cercò l’amministratore del circo e con molta umiltà, parlando lentamente, gli chiese se poteva badare agli animali: dare loro da mangiare, spazzolarne il pelo, fare le pulizie delle gabbie... Confessò che sin da piccolo amava gli animali, e che per un modico stipendio sarebbe stato molto lieto di prendersene cura. L’amministratore, un uomo grasso, con una faccia un po’ furba e un po’ bonacciona, fece una smorfia di disgusto e gli rispose che purtroppo se ne occupavano già due vecchi stallieri, ai quali gli animali erano già molto affezionati... Dunque non c’era, bisogno di un nuovo custode per ora.

Poco dopo, l’omaccione cambiò espressione. Si fermò a pensare per qualche secondo e infine disse: "Penso di avere qualcosa per te". Il cuore dell’economista sobbalzò. "Sai, noi avevamo un panda, Ding-Ding, che era l’allegria dei bambini... Facevano la coda per vederlo... Però, con questo tempo, un po’ fa freddo, un po fa caldo, il panda si è ammalato, e dopo una settimana, poveraccio, è morto. Allora, sai cosa ho fatto? Gli ho levato la pelle, l’ho fatta conciare, e gli ho messo una chiusura lampo sul petto, che non si vede, per non deludere i ragazzini che comprano i biglietti soltanto per vederlo". Fulvio cominciava a capire l’essenza di quel discorso poco ortodosso, ma non faceva altro che guardare imbarazzato le sue mani incrociate. L’amministratore proseguí: "Quindi, la mia proposta è questa qui. Da domani puoi venire tutti i pomeriggi, all’orario del primo spettacolo, e vestire la pelle di Ding-Ding, per divertire i gruppi di bambini". L’economista cercò di spiegargli che era assolutamente incapace di giocare e ballare come un orso, eccetera, eccetera. Tuttavia i suoi motivi non furono ascoltati. " Senti, figliolo, non c’è bisogno di saper niente... Basta infilarsi la pelle e il resto viene da sé. Guarda, ti do un anticipo di una settimana, e rimaniamo cosí: domani, alle due, ti aspetto, va bene?"

Fulvio uscí da lí con quei soldi spessi come velluto nella tasca della giacca. Comprò pomodori, pollo, riso, cipolle, patate e perfino delle caramelle per dolcificare le labbra bisognose dei suoi poveri bambini.

Il giorno seguente, un quarto alle due, si presentò al circo per lavorare, sentendosi un po’ piú rassegnato e forse persino felice di quella nuova stimolante attività. L’amministratore non c’era, ed al posto suo c’era un uomo alto, con lunghi baffi appuntiti, che metteva in ordine gli attrezzi per lo spettacolo: il presentatore, che lo guardò e lo riconobbe subito. Senza perdere tempo, l’uomo gli ordinò di vestire la pelle di Ding-Ding, di salire su una lunga scaletta attaccata al pilone centrale del circo e di aspettare lassú nuovi ordini. Detto questo si allontanò in fretta per dare un’ultima occhiata alle gabbie.

Per un po’ Fulvio aspettò sulla pista che qualcuno gli spiegasse meglio quella storia, ma poiché nessuno gli prestava attenzione, decise di eseguire l’ordine del baffone. Salí la lunga scaletta, si sedette su un piccolo balcone e aspettò a lungo in silenzio. Stava già sonnecchiando quando un fascio di luce fortissima lo risvegliò. Dagli altoparlanti arrivava la voce stentorea del presentatore: "Signore e signori, rispettabile pubblico, adesso è il momento della nostra grande attrazione: lassú, a venti metri d’altezza, potete scorgere la sagoma tonda di Ding-Ding, il nostro fragile e meraviglioso panda, la gioia dei grandi e dei piccini, che tenterà di camminare da un lato all’altro della pista sopra una corda tesa. Sono istanti di altissima tensione, signori. Il nostro grazioso orsacchiotto funambolo dovrà dare il meglio di sé per arrivare dall’altra parte del filo, anche perché, gentile pubblico... (paso doble drammatico) sotto la corda ci saranno le belve feroci e terribili, che lo mangeranno di fronte a tutti i signori, nel caso di una sfortunata caduta..."

Prontamente le belve furono liberate dalle loro gabbie: leoni, tigri e due iene fameliche e "ridenti" guardavano incuriosite verso l’alto. Fulvio, dinanzi a quelle prospettive per niente promettenti, cercò di scendere dal balcone. Aveva appena messo il primo piede sull’ultimo gradino quando un trapezzista che si allenava lí accanto gli gridò: "Ma cosa fai? Dove vai? Devi camminare sulla corda, hai capito, imbecille? Non hai avuto anche un’anticipo dal capo? E allora...". Fulvio, senza trovare nessun argomento soddisfacente, salí di nuovo sulla scaletta e, con il cuore in mano e le gambe tremanti, cominciò la sua instabile passeggiata.

Ding-Ding non fece nemmeno il terzo passo. Perdendo l’equilibrio, cascò dal filo teso sul pavimento dell’arena, e fu immediatamente circondato dalle belve con la bava alla bocca. Il leone, il primo ad avvicinarsi a lui, emise un ruggito agghiacciante a pochi centimetri dalla sua faccia livida. Nel vedere quelle lunghe zanne spuntare da quella boccaccia aperta in procinto di mangiarlo, Fulvio Minnelli gridò atterrito: "Aaarrrrgh!!!"

Dall’interno del leone, da un’altra bocca, una voce stanca e scocciata bisbigliò: "Stai zitto, cretino. Qui tutti abbiamo il dottorato..."