Yari

sono Yari 2037 a.c. vivo a Roma ho 29 anni,la mia gioia una foglia accesa di rosso,un acero giapponese, rosso nelle scarne braccia prima di cedere all’ inverno, e che qualcuno dica di essere quello che vuole io sono questo.

La polvere

La polvere, la polvere inorganico pulviscolo,
in continuo moto senza meta. Per anni, sono stato affascinato dal raggio di luce che filtrando nel buio dalle persiane imposto, trasportava la polvere nell'aria; sembrava essere un ipotetico ponte tra la mia stanza e un mondo micromolecolare esterno ad essa. Un mondo nel quale, il concetto di solidità immaginavo fosse scomposto e disintegrato, digerito e vomitato in milioni di pseudo-pezzetti frammentati, lievitanti.
Il mio occhio sognante mi vedeva lì dentro assolutamente avvolto dalla luce, sospeso in quella specie di atmosfera luminescente sospensione.
Il concetto di ponte era chiaro allora come adesso: un ponte cercavo e a quell'immagine così ricorrente mi appoggiavo per alimentare la mia sete di speranza, una sete sempre più stimolata dalla gola secca del mio quotidiano vivente esistere. E così vedevo chiaro il punto da cui sarei dovuto partire. Dopo del tempo che non ricordo di aver mai misurato lo avevo individuato: il ponte di luce, partiva (o arrivava) quasi sempre dalla terza listarella di pregiato parquet al lato sinistro della porta che dava sulle scale dell'appartamento sottostante. La osservavo sempre più spesso sicuro di averne individuato il varco e così era.

Il ponte, la luce, la porta, ormai tutto era almeno nelle variabili pianificato o forse, per dire in maniera più precisa, quasi tutto era stato individuato.
Il problema era ora come accedere attraverso quella porta al ponte, congiunzione del molecolamondofluttuante-polverizzato.
Di sicuro la problematica, era insita nella variabile che costituiva il maggior ostacolo al mio progetto di fuga: IO e l'intrasportabile corpo macromolecolare mio.
Un problema che però, in quanto fondamentale come in tutta la mia caratteristica esistenza, avevo ben pensato di affrontare e risolvere per ultimo. Piuttosto mi ero preoccupato (ma forse sarebbe più corretto parlare di accanimento) di analizzare gli spostamenti del raggio di sole, di definire l'indefinita ora in cui, per miracolo era reso visibile e il tempo che mediamente lo rimaneva. Ero ossessionato, conscio che quella via, l'unica accessibile, lo era oltretutto solo in certe ore e con una particolare situazione metereologica e la poca fiducia da sempre riposta sull'efficiente servizio fornito dai televisivi colonnelli, profeti del giorno dopo, mi rendeva poco sereno. Sapevo perfettamente che il tempo non esiste, cioè, volevo dire, che nei miei confronti sarebbe stato tiranno. Se avessi perso quell'occasione non avrei avuto più scampo, non mi avrebbero perdonato, soprattutto in virtù del piano che dovevo portare a termine prima di intraprendere il viaggio.

Il ponte di luce, giallo, caldo, la polvere, la realtà decomposta polverizzata, lievitante, mi affascinavano non poco perché in fondo rappresentavano ciò che la mia annosa autoanalisi riflessiva mi aveva portato a concludere, se sintetizzato avessi infatti voluto definirmi, sentivo l'esigenza di scomodare due pittori per me non a caso fondamentali e sensibili a certi temi:
Van Gogh e PiCaSsO.
Il ponte-luce sempre più spesso faceva capolino nella stanza e la voglia di placare la mia sete di libertà era di continuo messa a dura prova.
Fu in una di queste assetate giornate che la visione del ponte, aveva posto la parola fine ai miei tentativi di "definirmi".
Il ponte, Van Gogh, PiCaSsO
Era tutto chiaro nella mia mente, cazzutamente tutto chiaro.
A saperlo prima avrei impiegato meglio i miei 26 meditativi anni, magari dedicandomi con più leggerezza intellettuale, alla fottuta discotecante, alla cubo-porno amica del cuore.
E invece no.
Ma tutto è chiaro ora, nello scuro della stanza e giusto in tempo forse, anzi fortunatamente. Meglio tardi che mai, come ripeteva spesso "ansimante", una carissima amica ninfomane ogni volta che, parlandole della mia difficoltà a trovare donne adatte a sostenere la mia potenza sessuosa, me ne impossessavo sonoro. Meglio tardi che mai, quell'illuminazione mi apriva la via della fuga, quel raggio, era la mia via di fuga e mai una scoperta avrebbe potuto rendermi più felice in quel momento; gli eventi infatti non permettevano che di intraprendere, anche correndo dei rischi, quel viaggio.
La polvere.

Tutto chiaro abbiamo detto, Van Gogh e PiCaSsO sono io.
E sono io che vedo nella luce del giallo il calore, la luminosità, la carnalità di Van Gogh e sono io che vedo la realtà fluttuare tagliata, spaccata in mille pulviscoli atmosferici, che si riattaccano voluminosi poi in terra secondo strane geometrie e lì vedo PiCaSsO.
E sono io che tento la fusione-fuga, il mio corpo di carne macromolecolare, sanguigno, denso, duro, corporale che vede e sente la necessità di fuggire. Ma come posso dilaniare la mia figura e ridurla in molecola? come posso diventare "Guernica"? distruggere la realtà che vivo e ricomporla nella scomposizione senza perdere il calore, sentendo ancora l'odore dell'uomo?
Non potevo fallire, non mi avrebbero permesso il fallimento, d'altronde come biasimarli, loro, vittime invidiose della mia perfezione, della mia visione così lucida del tutto.

Il colonnello televisivo quel giorno aveva sentenziato ed io ero pronto, anche se con un po' di timore, a mettere in opera la mia fuga.
Eccolo il raggio. Ho due ore di tempo.
Il campanello. Il suo sonoro suono. La porta aperta.
Ciao amica ninfomane
ti ho chiamata perché avevo voglia di fotterti.
La spogliai e incominciai il mio sessuale rito.
Un corpo per sperimentare la possibilità di fuga.
20 minuti andati e un'ora e quaranta ancora davanti.
30 minuti andati nelle grida del piacere.
La polvere
Il raggio di sole
40 minuti, orgasmo che si moltiplica, 4 per ogni 10 minuti.
Ed io continuo e sono 5 gli orgasmi e 50 i minuti.
E mentre monto penso alla fuga e il raggio che si fa ponte e illumina
la lama sotto il letto.
L'afferro la fuga
E colpisco in suo nome la ninfomane amica.
Van Gogh, Van Gogh, il rosso, il rosso, la carne trafitta, i tuoi girasoli nel mio letto Van Gogh, triste come il corpo carnale morto, è il tuo omaggio Maestro.
Grido "salve PiCaSsO, a te e per te ho riservato un bisturi e farò di questo corpo, la miglior opera del cubismo, caro Pablo, così sarò pronto alla fuga decomposta, dilaniata, riattaccata in tanti pezzetti come la polvere e sarà un corpo reale sfaccettato come tu mi hai insegnato".
La mia fatica fu tanta e finalmente pronta, finita la mia prova, la mia opera,il mio progetto.
Il mio progetto: fondere la carnalità, smontarla e ricomporla asettica.
Sono il più grande artista
La sintesi.
Ma ho fallito, il suo corpo è morto, non si può fuggire.
Il raggio eccolo, è ancora lì, manca poco, devo tentare la fuga ugualmente, monterò sul ponte.
Giusto il tempo mi è rimasto di impugnare la pistola e far fuoco
nella mia bocca.

La polvere, la polvere
Inorganico pulviscolo in continuo moto senza meta, per anni sono stato affascinato dal raggio che filtrava nel buio dalle persiane imposto alla mia stanza.
Ed ora vi viaggio sopra ed entro esco quando voglio dalle vostre stanze e cerco, chi come me ami PiCaSsO e Van Gogh e mi segua nella mia fuga.