Roberto Latte

sono nato a Firenze, patria dello sport della critica. Diplomato un eone fa, adesso qualificato come "Impiegato di concetto". Ho superato i quaranta da qualche anno, ho letto molto e scritto un mucchio di banalità, mai lette da anima viva. Scrivo sempre e quando non scrivo penso a quando lo farò.

Nota dell'autore.
Un pensiero che mi passa per la mente da tanto tempo. Una riflessione buffa, ma forse anche reale. La storia di due vecchi amanti che, dopo tanto tempo, alternano le convinzioni che gli uniscono ai dubbi che incrinano la storia. Due tipi definibili normali che innescano una miccia a scoppio ritardato. Due individui che sfuggono la realtà giocando tra loro a fare gli amanti. Un rapporto che regala un momento di tranquillità, un'illusione importante, che permette di continuare a vivere nei propri ruoli familiari. Una difficile coniugazione di sogno, di futuro impossibile e di realtà quotidiana trasformata in una parodia di matrimonio inesistente. Un uomo che mette a nudo la propria vigliaccheria, nel bene e nel male e una donna che abbatte le ultime remore della propria integrità, per scegliere finalmente una strada. Una delle due.

GIUSEPPE & MARIA

Capitolo primo
L'acqua battente sui vetri della macchina e il buio rendevano la visuale a dir poco incerta. Giuseppe, ansimando nel loden verde bottiglia, armeggiò nell'umidità dell'abitacolo tentando di sfilare un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni, per pulire il parabrezza. Nello sforzo di alzare il deretano per allungare la gamba destra, sfiorò il pedale del freno immobilizzando le ruote posteriori per quell'attimo fuggente che fece slittare di lato la vecchia fiat regata. Lo sbandamento improvviso lo accostò pericolosamente verso il marciapiede, dove una donna armata di ombrello gli urlò qualcosa di irripetibile.
< Porca Troia > Sbottò Giuseppe nel riportare convulsamente l'auto nella giusta direzione. Giuseppe, un uomo compassato di 48 anni, leggermente stempiato e brizzolato ai lati, riservava in genere gli epiteti da camionista ai non rari casi d'isteria premestruale della moglie, ma stimò che l'occasione meritava una parola adeguata. Abbandonò la pericolosa manovra d'estrazione del fazzoletto e decise di liberare dalla condensa il parabrezza usando la mano destra nuda, agitando convulsamente il braccio. L'impasto di umidità e polvere unta risultato dall'astuta manovra, peggiorò ulteriormente la visuale. Strizzò gli occhi per scrutare la strada e intravide Maria sul marciapiede ad aspettarlo. Sterzò con eleganza centrando al passaggio un'enorme pozza nera che, composita di lerciumi vari, schizzò una decina di auto in sosta e l'impermeabile di Maria.Giuseppe aprì lo sportello, allungandosi acrobaticamente sui sedili e Maria, inebetita dall'inconveniente, rimase immobile qualche secondo con una smorfia di accigliata sorpresa e l'impermeabile simile a un'opera d'arte astratta.
Maria si decise a salire, chiudendo maldestramente l'ombrello e arricchendo l'abitacolo di altra umidità. Chiuse lo sportello.
< Giuseppe sei una testa di cazzo, ti amo ma sei una testa di cazzo.>
< Mi spiace Amore, non si vede nulla con tutta questa umidità > Giuseppe, in lunghissimi anni di matrimonio, aveva sviluppato un ossequioso servilismo che gli faceva assumere, in certi momenti, un atteggiamento da maggiordomo inglese. Strizzando sempre gli occhi per non sbagliare strada disse < Sei molto carina stasera > Maria lo inquadrò con uno sguardo da imbalsamatore professionista. < Sarei stata sicuramente più elegante con l'impermeabile asciutto, ma lasciamo perdere, non ho molto tempo stasera. Dove diavolo stiamo andando?> Giuseppe rispose ansimando mentre tentava di sporcare ulteriormente il vetro agitando anche la mano sinistra, impugnando un lembo della manica del loden. < Mi è venuto in mente un posticino tranquillo qua vicino. Vedrai che arriviamo subito > Maria osservò i penosi tentativi di Giuseppe e, dondolando la testa con fare rassegnato, accese la ventola dell'aria calda. Subito una ventata d'aria tropicale inondò l'abitacolo.
<Devo smettere di pulire questo vetro > sbottò Giuseppe < sto sudando come un maiale e non riesco a vedere un cavolo di nulla >
< Dai Giuseppe, stasera ho poco tempo, fermiamoci dove capita. Erminio rientra alle sette e voglio essere li prima di lui >
Giuseppe non rispose, intento com'era a scambiare la carreggiata con il carro funebre che proveniva in senso contrario. Maria poggiò la mano bagnata sui pantaloni di Giuseppe e strinse leggermente le dita palpando una coscia flaccida. <Lo so che ne hai voglia Giuseppe, ma sbrighiamoci sono quasi le cinque e mezza >
<Siamo arrivati, dietro la curva c'è il parcheggio >
All'imbocco della suddetta curva incrociarono un altro carro funebre e Giuseppe si accostò all'alto muro di cinta sulla destra, per lasciare spazio al veicolo nero. Entrarono in un parcheggio buio dove un unico lampione illuminava malamente la zona centrale dello spiazzo, battuto dalla pioggia.
Giuseppe si addentrò nel parcheggio con cautela, dondolando la testa a cuccù per migliorare di volta in volta la visuale offuscata dalla pioggia e dall'impiastro opaco prodotto dalla solerte pulizia d Giuseppe.
<Che tempo di merda!> Esordì Maria mentre, nel tentativo ansimante di togliersi l'impermeabile impastato di mota, urtò la nuca di Giuseppe con l'osso del gomito sinistro. Lasciò quindi l'impermeabile al suo posto, accontentandosi di sbottonarlo. Giuseppe fermò l'auto a ridosso di una rete metallica di recinzione che divideva il tetro e vuoto parcheggio dal buio più totale. Spense il motore accompagnando la manovra con un sospiro di sollievo. <Ecco fatto > Disse rivolgendo alla donna uno sguardo che immaginava languido. Maria, nel buio dell'auto, lo interpretò diversamente e chiese < Non fare lo stronzo, non l'ho mica fatto apposta, ti ho solo sfiorato >
< Di cosa stai parlando? > Domandò Giuseppe che, come faceva d'abitudine, spegnendo spesso l'audio per ignorare i commenti della moglie si perdeva il senso logico di molte conversazioni .
<Niente, non importa.> Rispose Maria addolcendo la voce < Dai abbracciami che ho poco tempo.> Si allungò nel tentativo di cingere Giuseppe ma la scomoda posizione e l'ingombrante cappotto dell'uomo trasformarono l'abbraccio in una parodia dell'albero della cuccagna. < Aspetta che mi sgancio i bottoni del cappotto > Ansimò Giuseppe con un fil di voce, liberandosi con dolcezza dal goffo abbraccio di Maria. Iniziò a sbottonare il cappotto puntando entrambi i piedi per allungare il corpo, nel tentativo di liberare i restanti bottoni dalle numerose pieghe dell'indumento. < L'hai firmata la lettera, amore?>
<Si, Tesoro.> Rispose Giuseppe intento a liberare le subdole frange della sciarpa inserite nell'occhiello del quarto bottone. < Quando pensi che mi arriverà il livello superiore? Ci vorrà molto?> Lo sguardo di Maria, perplesso per le manovre acrobatiche di Giuseppe, contrastava con il tono lascivo della voce. Giuseppe, ormai sudato marcio all'interno del cappotto quasi completamente sbottonato, rispose passandosi la mano umida sui radi capelli, lisciandoseli all'indietro. Dopo la passata i capelli tornarono in avanti automaticamente, rimanendo leggermente ritti, dandogli l'aspetto di un pappagallo confuso.
Maria si accostò di nuovo.
<Pensi che occorrerà una tua telefonata per velocizzare…….la pratica?> Maria aveva insinuato le freddissime mani dentro la camicia di Giuseppe con fare sensuale. Giuseppe ebbe un brivido, che Maria interpretò erroneamente di piacere. < Senti Maria lo sai che io sono solo il direttore della filiale, i miei poteri sono limitati. Ho fatto la proposta e adesso dobbiamo solo aspettare, come tutte le altre volte.> Giuseppe mescolava ritmicamente le violente vampate di calore con i brividi, provocati dalle glaciali mani di Maria che esploravano, scendendo pericolosamente verso altri luoghi, intorno alla parete dell'intestino tenue. Maria si era spostata sul sedile fino ad appoggiare il suo cappotto al corpo di Giuseppe, ignara del fatto che il pastone di mota, provocato dalla pozzanghera, si stesse clonando anche sugli indumenti del direttore.
< Che pancia calda…> esordì Maria, continuando a scendere sul basso ventre con la mano di marmo.
Giuseppe non rispose subito: deglutì prima a secco, ricacciando indietro uno spasmo di tremore scomposto. <Maria hai le mani fresche, mi fanno venire i brividi> Lo disse cercando di sorridere, ma nel buio più completo del parcheggio Maria non colse l'ironia velata e affondò la mano, ormai tiepida, fino dentro le mutande, impugnando il membro di Giuseppe. <Wow, è già duro! Liberiamolo del tutto, lo voglio assaggiare > sussurrò Maria con voce dolce, quasi nell'orecchio sinistro del direttore. Detto questo iniziò ad armeggiare con la zip dei pantaloni. Con uno strappo netto aprì la lampo provocando l'asportazione di numerosi peli di pube maschile, ed un'escoriazione superficiale allo scroto. < Ahia!> Urlò Giuseppe < Fai piano, così me lo stacchi di netto!>
<Non preoccuparti amore, adesso gli do un bacino e vedrai che passa tutto.> Maria si fece un po' indietro e si abbassò rannicchiandosi sulle gambe di Giuseppe, prendendo ad "assaggiare" languidamente il membro sporgente.
Giuseppe perse il contatto con la realtà in circa 3 secondi e chiuse gli occhi abbandonandosi al piacere della situazione. La pioggia, con il suo rumore di fondo, faceva da colonna sonora a quel piacevolissimo momento di intimità. Era così assorto dalla situazione che non sentì bussare al vetro della macchina. Un fascio di luce tagliente, proveniente da una torcia puntata verso l'interno, lo riportò violentemente alla realtà. Giuseppe bloccò la testa di Maria nella posizione e cercò di pararsi gli occhi con l'altra mano. < Ma che cazz…> Urlò impotente verso il finestrino. Maria rimase immobile e guardinga, con gli occhi sgranati e la bocca impegnata.
<Signore, mi scusi, ma il cimitero chiude. Chiudiamo il cancello, ha delle persone ancora all'interno?> La voce proveniva dall'uomo che impugnava la torcia con la mano destra e un ombrello con la sinistra. Era senza dubbio una guardia giurata. <Mi spiace ma devo chiudere, se volete potete rimanere ancora nel parcheggio, vedo che la signora è ancora molto provata, ma il cimitero chiude.>
<Grazie > Rispose Giuseppe abbassando leggermente il vetro < Si abbiamo portato un nostro caro stasera e adesso ci tratteniamo ancora un po'. Grazie per averci avvertito >
<Dovere Signore, buona notte e condoglianze > La guardia scomparve nella pioggia e Giuseppe richiuse velocemente il vetro, dal quale provenivano numerosi schizzi di pioggia. Maria aprì la presa e riguadagnò una posizione eretta. < Grandissima testa di cazzo, ma siamo nel parcheggio di un cimitero?> domandò leggermente alterata dopo un momento di raccoglimento. Nel dirlo contrasse i muscoli della mano che trattenevano ancora l'organo sessuale di Giuseppe, provocando un guaito di dolore. <Ma dico sei completamente impazzito? Non ti è venuto in mente niente di meglio di un cimitero?> Maria si scostò dal corpo di Giuseppe, ma l'impermeabile rimase incollato al cappotto dell'uomo ormai amalgamato nella mota secca. <Era vicino e tu dicevi di avere poco tempo….non essere irruente come sempre.>
<In tutti questi anni non eravamo mai scesi così in basso > Continuò Maria con fare acido. Giuseppe cercò di collegare le parole alla posizione bassa che Maria aveva tenuto fino ad un attimo prima. Ma non colse nessun collegamento palese <L'abbiamo fatto altre volte, non capisco cosa centri la posizione…> Maria, pur essendo abituata alla scarsa perspicacia dell'uomo, perse le staffe. <Che cazzo centra la posizione brutto beduino, sto dicendo che adesso parcheggiamo nei cimiteri!! La prima volta che ci siamo appartati eravamo in un lussuoso chalet.>
<Bhe…è successo quattordici anni fa.> Riprese Giuseppe con voce colpevole. Maria guardò Giuseppe nel buio più completo. Si domandò per l'ennesima volta cosa ci trovasse in quell'individuo ossequioso e ritardato. Nel silenzio le scorsero davanti i numerosi incontri furtivi, passionali e piacevoli inizialmente, ma resi abitudinari dalla parte più volgare dell'esistenza. <Riportami alla macchina Giuseppe, facciamola finita. Voglio tornare a casa.> Giuseppe rimase silenzioso senza sapere cosa dire. Poi decise di sistemarsi i vestiti e iniziò a ricomporre goffamente i vari strati. Quattordici anni, pensò Maria, siamo amanti da tutto questo tempo. E invecchiando ci trattiamo come due coglioni sposati
<Perché continuiamo?> chiese all'improvviso mentre Giuseppe tentava di chiudere la zip completamente sbranata, ansimando silenziosamente.
L'uomo fermò le manovre di riassestamento e ragionò un attimo su quale risposta sarebbe stata più adatta alla situazione. Non gli venne in mente niente di appropriato e si limitò a dichiarare la verità. < Io non posso pensare alla mia vita senza di te >

Capitolo secondo
L'aria si era fatta pesante, e non era solo per l'umidità. E non era la prima volta. L'abitacolo era pervaso da un silenzio profondo, sofferto che Giuseppe non sopportava. Le parole gli erano uscite così, senza quasi volerlo, in maniera schietta ma anche infantile, non ragionata. Adesso temeva la reazione di Maria. Cosa avrebbe pensato? Abitudine? Perché non riesco mai a dare risposte ragionate, pensò con un moto di stizza che gli fece brontolare lo stomaco. <Hai fame?> chiese Maria sentendo il rumore organico superare quello della pioggia battente. <Oggi ho preso solo un panino a mensa, dovevo finire di esaminare dei consuntivi, quindi…>
<Taglia corto Giuseppe, ho capito.>
Di nuovo il silenzio invase l'abitacolo. Giuseppe rincominciò l'assestamento faticoso dei vestiti. Quei discorsi sulle motivazioni del loro decennale rapporto erano ricorrenti. Entrambi sapevano ormai come affrontarlo e come sarebbe andata a finire, ma stavolta, pensò Giuseppe, c'era una tensione diversa, più pressante. Non ce la fece a rimanere in attesa della risposta di Maria. < A cosa stai pensando?> chiese cercando di assumere un tono bonario sbuffando nella lotta con le frange della sciarpa. Maria non rispose subito.
<A niente. Sono perplessa per le tue risposte, come sempre.>
<Ho detto la verità, ma non mi fraintendere, non volevo dire che insomma non si tratta di…..non è abitudine…è che….>
<Giuseppe ho afferrato il concetto, smetti di farfugliare.> Maria incrociò le braccia e voltò la testa verso il finestrino buio. Un altro momento si silenzio pesante prese forma, nel quale entrambi ascoltavano la pioggia ticchettare sulla carrozzeria della macchina. Giuseppe smise di lottare con gli indumenti e afflosciò il corpo sul sedile.
<Ultimamente sei così nervosa. Mi stai nascondendo qualcosa, non so cosa ma qualcosa ti mette in ansia.>
Maria rimase con lo sguardo fisso nel buio del parcheggio. Le parve di notare un'ombra in movimento, forse un gatto pensò.
<E' vero. Sono più nervosa perché ho iniziato a riflettere, e ho capito che non abbiamo fatto altro che giocare. Non so neppure se tu mi ami veramente, o se tutta questa storia non è altro che un diversivo, per andare avanti.>
Giuseppe rifletté prima di parlare. <La tua è un'affermazione interrogativa?>
<Cosa stai dicendo ?>
<Voglio dire > continuò Giuseppe <è una domanda retorica? Lo sai che ti voglio bene, altrimenti non sarei qua con te >
Maria frenò l'impulso di agguantare il bavero del loden per scuoterne il contenuto.
<Sono quattordici anni che siamo in questa situazione Giuseppe. Sappiamo entrambi che non c'è nessuna intenzione di modificare alcunché. Il nostro è un rapporto sterile e senza futuro. Dobbiamo troncare prima di diventare patetici >
La solita catena di discorsi, pensò Giuseppe, dettata dalla consapevolezza ritmica che il loro rapporto clandestino non si fosse sviluppato in qualcosa di più consistente. Lui non amava sua moglie da ben oltre quattordici anni e solo la compostezza morale dettata dalla propria paternità (Giuseppe aveva due figli) lo aveva trattenuto in famiglia. Non c'erano in verità opportunità logiche per ribattere, ma Giuseppe si affidò di nuovo all'istinto e lasciò che le parole gli fiorissero dalla bocca.
<Io ti amo Maria>
Di nuovo un lunghissimo momento di silenzio, nel quale Giuseppe ebbe la certezza che quelle sue tardive parole fossero accolte e filtrate dal risentimento di Maria.
La donna non ribatteva e continuava a stare voltata verso il finestrino. Nessun rumore oltre la pioggia torrenziale disturbava quel momento di tensione. Poi Maria si voltò verso Giuseppe, lentamente. Giuseppe era ammutolito, non sapeva cosa dire, non sapeva neppure che reazione aspettarsi. Maria aprì la borsa e prese un fazzoletto di carta e lo aprì, affondando la faccia dentro il velo bianco. Giuseppe notò la sagoma nera di Maria sussultare più volte silenziosamente.
<Salute.> disse poi con un filo di voce.
<Imbecille> disse la voce ovattata dallo spessore del fazzoletto
<Non sto starnutendo, sto piangendo >
Giuseppe pensò che fosse meglio osservare un intelligente silenzio.
Di nuovo qualcuno bussò al vetro. <Mi sa che adesso dobbiamo proprio andare via> disse Giuseppe mentre abbassava il finestrino. Si rese conto di un fischio lontano e di un dolore sordo alla parte sinistra del viso. Se ne rese conto come emergendo da un sogno senza tempo, mentre riacquistava progressivamente il senso della realtà. La portiera era aperta e qualcuno stava parlando. Non riusciva ancora a interpretare le parole. Poi in un colpo, come un click dell'interruttore generale, piombò di nuovo sul sedile della sua Regata. Una fredda lama di coltello premeva sulla sua gola. <Avanti testa di cazzo, mi senti? Di alla tua troia di stare zitta o ti faccio un'altra bocca sotto la gola> Era la voce roca di un uomo che con la mano libera stava frugando nelle tasche del loden di Giuseppe. Con la coda dell'occhio Giuseppe cercò di guardare Maria illuminata dalla luce di cortesia dell'abitacolo, ma riuscì solo a sentirne il respiro affannato. Sentiva un certo calore inondare il lato sinistro del suo viso e osservò mentalmente come fosse strano sentire caldo dal lato dello sportello aperto. Giuseppe sentì la mano dell'uomo prelevare con rabbia brutale tutto il contenuto delle sue varie tasche. <Stronzo non hai proprio un cazzo di nulla, vediamo la tua troia ora.> L'uomo si spostò indietro mantenendo la lama pressata alla gola di Giuseppe, poi tolse di scatto il coltello e fece un ulteriore passo indietro con l'intenzione di girare intorno all'auto per arrivare allo sportello della donna. Prima di iniziare a camminare sferrò un calcio alla portiera che si richiuse con un tonfo orribile. La luce di cortesia si spense all'improvviso lasciando Giuseppe e Maria nel buio più tetro per qualche secondo. <Oddio Giuseppe viene qua, aiutami.> Strillò Maria in preda al panico cercando di ritrarsi verso l'altro sedile. Giuseppe girò la chiave di accensione mettendo in moto l'auto mentre già rilasciava la frizione accelerando. Per un terribile momento le ruote pattinarono sull'asfalto bagnato poi la macchina balzò in avanti con il motore fuori giri, urtando qualcosa con un rumore sordo e indefinibile. Maria urlò con tutto il fiato che aveva vedendo il corpo dell'uomo rimbalzare sul cofano e poi sparire di nuovo nel buio alla sua destra. <L'hai investito! L'hai investito! Giuseppe ferma la macchina!> Giuseppe schiacciò il pedale del freno istintivamente, con la marcia innestata e senza premere sulla frizione. L'auto si fermò, sbandando sulla pioggia, vicina al lampione con il motore spento. Rimasero in silenzio, sbigottiti e increduli dell'accaduto, per un attimo, osservando il leggero vapore silenzioso salire dal cofano illuminato dal lampione e battuto dalla pioggia. Giuseppe teneva le mani serrate sullo sterzo e lo sguardo fisso. Maria, seduta sulla punta del sedile, sbalzata in avanti dall'improvvisa frenata, poggiava le braccia ancora rigide sul cruscotto. Sembrava che il tempo si fosse fermato. Poi Maria si riprese e si appoggiò alla spalliera del sedile mettendosi le mani fra i capelli. <Che facciamo Giuseppe? Io non ho il coraggio di scendere, ma quello stronzo potrebbe essere morto > Le tremava la voce.
Giuseppe non riusciva a pensare. Iniziava a sentire il dolore acuto del cazzotto sulla faccia. Si strofinò la parte dolente con la mano e guardandola si accorse che era piena di sangue.< Giuseppe, che facciamo?>
Giuseppe aprì lo sportello e scese lentamente sentendosi addosso all'improvviso una grande stanchezza. Si appoggiò all'auto in preda alla nausea e la pioggia sulla testa lo scosse. <Vado a vedere Maria, tu chiuditi dentro con la sicura. Prima passami la torcia che è dentro il cruscotto.>
Prese la torcia dalle mani tremanti della donna e l'accese incamminandosi sotto la pioggia verso il lato buio del parcheggio deserto. Scorse subito la sagoma dell'uomo supino sull'asfalto, era immobile. Giuseppe si avvicinò guardingo, leggermente ricurvo, cercando di notare il più piccolo movimento dell'uomo sdraiato. Aveva un braccio sotto il corpo e l'altro posto innaturalmente dietro la schiena. La pioggia batteva incessantemente. Era senza una scarpa. Giuseppe rimase con la luce puntata sulla nuca dell'uomo cercando di valutare la situazione, avanzando sempre più lentamente. Quando lo raggiunse gli girò intorno per guardare meglio il volto nascosto nell'ombra. Si chinò e puntò la torcia sulla faccia bagnata. Aveva gli occhi chiusi e non c'erano tracce di sangue. La scarpa era riversa in una grande pozza a pochi metri dalle gambe scomposte.
All'improvviso una mano gli si aggrappò alla manica inzuppata del loden e Lui si girò di scatto emettendo un suono molto simile allo stridio di un topo. La torcia gli sfuggì di mano e cadendo si spense, facendo di nuovo piombare tutto nel buio più completo.<Giuseppe calmati sono io, cazzo!>
<Maria?> parlava con la voce in falsetto <Maria per l'amor di Dio mi vuoi far venire un infarto?>
<Pensavo che mi avessi sentita arrivare. E' morto?>
<Non credo, mi sembra che respiri, ma ci è mancato poco che morissi io!> Giuseppe si inchinò e a tastoni fra le pozze d'acqua cercò di individuare la torcia. Riuscì a trovarla e la riaccese, puntando subito il fascio di luce sul corpo. Maria si avvicinò e si inginocchiò all'altezza della testa dell'uomo. Le insinuò la mano bagnata sul collo.
<Si respira. Questo stronzo respira ancora.>
Rimasero in silenzio sotto la pioggia. Entrambi pensavano velocemente a cosa era meglio fare. <Che facciamo Giuseppe? E' già tardi io devo rientrare e sono completamente bagnata.>
<Non hai preso l'ombrello dalla macchina?>
<Non ti rispondo nemmeno.> Gracchiò Maria.
Giuseppe abbandonò un attimo il ragionamento sul da farsi per esplorare le varie ipotesi della mancata risposta, poi, non giungendo a niente di concreto, lasciò perdere e riprese a pensare al da farsi. <Credo che sia meglio chiamare un ambulanza> disse guardando di nuovo l'uomo.
<Sei pazzo?>
<L'ho investito, potrebbe essere grave.>
<Ci chiederanno i documenti e verrà la polizia >
<Non vedo altra soluzione, non voglio un morto sulla coscienza >
Maria balbettò, cercando di dare corpo alla voce che non voleva uscire.
< E cosa racconto alla polizia? Che stavo qua con il mio amante e che a metà di un pompino nel parcheggio di un cimitero siamo stati assaliti da un ladro? Non dire cazzate, dobbiamo filare via subito >
Maria aveva la voce isterica e Giuseppe capì che stava quasi piangendo. Puntò di nuovo il fascio di luce sul corpo dell'uomo. Si vedeva chiaramente che il torace si alzava e abbassava ritmicamente. Si chinò e prese a tastarlo.
<Che cazzo fai? lascialo perdere, potrebbe riprendersi. Andiamocene ti dico>
<Devo riprendere la mia roba > Rispose affannato dalla posizione. Mise le mani nella tasca dei pantaloni e recuperò il portafogli. Poi, poggiandogli la mano sul fianco, lo rigirò per saggiare l'altra tasca. Trovò il suo porta-documenti e il cellulare.
<Ecco fatto, ho ripreso le mie cose > Si rialzò tenendo puntata la torcia sull'uomo. Fece un passo indietro e si accostò a Maria. Giuseppe udì i denti della donna tremare rumorosamente. <Ascolta Maria> disse a bassa voce <Potrebbe essere un segno >
<Che segno? Di cosa stai parlando? Dobbiamo andarcene via subito, ti prego Giuseppe portami via, ho paura.>
Giuseppe rimase un momento silenzioso. Sentiva che dentro di se prendeva forma un coraggio che in tanti anni non aveva mai avuto.
<Forse è venuto il momento di uscire allo scoperto> continuò <questa è l'occasione che ci da la spinta per definire il nostro rapporto.> Giuseppe prese con dolcezza determinata le spalle Maria
<Chiamiamo l'ambulanza e affrontiamo le conseguenze. Io voglio passare con te il resto della mia vita>
Maria rimase ammutolita. In quattordici anni si erano solo incontrati, avevano giocato a fare gli amanti, ma nessuno dei due aveva mai azzardato a parlare di un eventuale futuro. Lei aveva sperato, anni addietro, che Giuseppe le facesse qualche proposta per definire il loro rapporto. Poi si era rassegnata ad andare avanti in quel modo, assumendo nel tempo un atteggiamento sempre più stizzoso e indisponente. E adesso, in poco più di mezzora, aveva ascoltato la voce di Giuseppe che diceva di amarla e che voleva passare il resto della vita con lei. E un uomo era disteso in terra, investito dall'auto e aveva bisogno di un ospedale. Si strinse nelle braccia per ripararsi dal terribile freddo umido. Il tempo scorreva veloce. Giuseppe osservò la sagoma della donna, delineata dal chiarore dei fari dell'auto, puntati dalla parte opposta. Vedeva una donna ingobbita dal freddo, con la testa china e, per la prima volta, senza una risposta pronta. Giuseppe non osava parlare. Aveva fatto la sua mossa e adesso aspettava la risposta. Sapeva che una risposta ci sarebbe stata. La pioggia stava diminuendo di intensità, lasciando il posto ad una densa nebbia che Giuseppe vedeva calare intorno al lampione del parcheggio. Sentiva i denti di Maria sbattere dal freddo e dalla tensione. Lui si sentiva sempre più calmo, nonostante la situazione tutt'altro che tranquilla. Aveva preso una decisione, seppur estorta da un avvenimento imprevedibile. Maria iniziò a piangere, prima sommessamente, poi sempre più forte. Giuseppe aspettava in silenzio la risposta, sotto la pioggia impietosa. Maria singhiozzava in preda alla disperazione. Il suo mondo stava vacillando, come in un sogno assurdo, dentro un parcheggio invaso dalla pioggia. Rivide i volti conosciuti di suo marito, di suo figlio. Volti sereni e ignari di tutto. Sentì la disperazione della scelta, tutta insieme assalirle lo stomaco, non riusciva più a pensare, poteva solo dar sfogo alla disperazione. Giuseppe continuava ad aspettare in silenzio, guardando la donna con la sua solita, innaturale pazienza. Improvvisamente Maria cacciò un urlo, scostò Giuseppe e si avventò contro l'uomo disteso, sferrando un calcio che lo colpì sul fianco. <Maledetto !> gridò <Maledetto stronzo! Proprio oggi dovevi venire a rovinarmi la vita! Maledetto!> Fece per tirare un altro calcio ma Giuseppe l'abbracciò da dietro, stringendola a se. Maria si accasciò fra le maniche inzuppate del loden, singhiozzando negli spasmi del pianto. Giuseppe la voltò lentamente e la strinse a se. Aspettò che si calmasse la disperazione. Passarono i minuti poi disse <Andiamo >.
Rientrarono in auto. Giuseppe mise in moto la macchina e prese il cellulare. Formò il centotredici.
<Polizia? C'è un uomo ferito all'interno del parcheggio del cimitero di S.Giusto. Sembra grave, mandate un'ambulanza. Si, S. Giusto, quello con chiesa sconsacrata.> Chiuse la linea e mise in marcia l'auto, in mezzo alla nebbia ormai calata su tutto. Uscì dal parcheggio e prese la strada di ritorno a bassissima velocità. Maria stava ancora tremando, e si teneva la testa fra le mani, con i gomiti poggiati sulle gambe. Nessuno dei due parlò fino alla fermata del 37, dove Maria sarebbe scesa. Giuseppe posteggiò l'auto una decina di metri dopo la fermata e spense il motore. Si voltò verso la donna intenta a sistemarsi i vestiti.
<Devi andare Maria. Te la senti di uscire?>
Maria si tirò su e tastò i capelli. <Si > rispose con un filo di voce <Devo andare, qualcosa inventerò per questo ritardo e per questi vestiti inzuppati.> Aprì lo sportello e scese. Era di nuovo iniziato a piovere e aprì l'ombrello. Anche Giuseppe scese e si avvicinò alla donna.
<Giuseppe, siamo in città, qui potrebbe vederci qualcuno >
<Non importa> rispose lui sommessamente. <Non importa più ormai. Non importa Maria. >
Maria sentì di nuovo uno spasmo al ventre. Lei non aveva risposto, e la mancata risposta aveva chiarito il limite del rapporto. Sapeva che quello sarebbe stato un addio. Strinse di nuovo le braccia intorno al corpo.
<Abbracciami Giuseppe. Abbracciami un'ultima volta >
Giuseppe si avvicinò e l'abbracciò; la strinse forte, come non aveva mai fatto. Una sirena lontana, poi solo il rumore del traffico. Giuseppe si scostò leggermente. Si avvicinò al collo della donna e la baciò.
Maria sorrise.
<Non ti smentisci mai> disse mentre le lacrime scendevano sulle guance arrossate.
Giuseppe la guardò tristemente. <Perché?> chiese.
Maria continuava a sorridere, malgrado il pianto incontrollabile.
<Hai baciato il manico dell'ombrello >
Entrambi si guardarono intensamente sorridendo. Era tutto come prima ed era tutto finito. Strana ambivalenza di uno sguardo d'intesa , sorretto da una consapevolezza diversa.
Poi Giuseppe risalì in auto. Mise in moto guardando Maria. Ricordò il primo incontro, il primo bacio. Ricordò il sentimento che non riusciva a prendere forma. Nel suo vecchio corpo prese a fiorire lentamente la tristezza, sbocciò come un fiore pesante, che innesta le sue radici all'interno del cuore. Trattenne il pianto e partì, osservando la sagoma di Maria rimpicciolire gradatamente nello specchietto retrovisore.