Andrea Bindi

è nato ad Arezzo nel 1983.
Finge impunemente di studiare e assomiglia sputato a Dylan Dog, nonchè a Rupert Everett. Dice che da grande farà lo scrittore ma in realtà sanno tutti che finirà tra i sosia de "La sai ultima". Solo lui sembra ignorarlo e ci prova. E ancora peggio... qualche volta ci crede pure.
Vanta un coma etilico.

ANCHE IL SOLE

Al mattino non c'è mai luce a sufficienza, ma quella poca s'insinua svelta, sibila tra le persiane e mi acceca gli occhi ancora pieni di sonno. Ancora vergini dal giorno.
Sgusciai fuori dal letto, convinto di poter dormire anche in piedi camminai ad occhi chiusi. Il pavimento ghiacciato mi riportò svelto alla realtà. Mi trascinai sui talloni fino al bagno.
Mi sciacquai la faccia senza alcuna cura, mi nascosi sotto l'accappatoio solo per asciugarmi e rimasi un po' lì. Sorrisi al buio e poi mi scoprii nello specchio. Il viso di un estraneo, i lineamenti di un morto. Feci quello che c'era da fare e poi tornai via. Cercai le sigarette, sbirciai dalla finestra.
Non c'era niente di speciale in quella mattina, e probabilmente non ci sarebbe stato niente di speciale neanche nel resto della giornata. Non c'era proprio niente di speciale nella vita, ecco come stavano le cose, mi avevano abituato a pensare che la vita si debba amare solo perché tale, bé, ci ho provato, non funziona… Non c'era niente di speciale nemmeno nel mondo. Mi sforzai, non per la prima volta, di capire i versi di quel poeta… Non trovai immensi di cui illuminarmi e perciò lasciai perdere, del resto non ne avevo mai trovati, e comunque non avrei saputo riconoscerli. Mi accesi una sigaretta. Rinunciai al caffè perché non ce n'era.
Con del nastro isolante nero sigillai le persiane. Niente più luce, avevo già rimandato troppe volte. Brace cadde dalla sigaretta e mi bruciò una mano, bestemmiai qualche dio, non il mio. Lanciai via lo scotch e mi ributtai sul letto. Alzai il volume del televisore, era rimasto acceso per tutta la notte, dettava non so quali accorgimenti da prendere in fretta, spensi subito, sapevo tutto ciò che c'era da sapere per sopravvivere, tutto ciò che mi serviva, niente lezioni per quella mattina. Chiusi gli occhi.
Quando mi svegliai saranno state le undici. Fu il sole a svegliarmi di nuovo, sgocciolava da ogni parte, il nastro aveva fatto ben poco. Alzai la cornetta, poi lasciai perdere. Agguantai la bottiglia e buttai giù un sorso, il primo di tanti a venire. L'alcool mi bruciò la gola. Odore di fumo e di sonno saturava la stanza.
Ripresi su il telefono. Composi il numero. Occupato. Riagganciai. Buttai giù un altro sorso, solo un altro. Provai a richiamare. Occupato. Meglio così, non avrei saputo cosa dirle… Cosa dovevo dirle? Era proprio questo che non sapevo… Dovevo dirle che mi dispiaceva? Che non l'avrei fatto più? Che ero cambiato… Cresciuto, magari? Che sapevo di averla tradita, di aver giocato con la sua fiducia? Che non volevo finisse così e che in fondo, a mio modo, l'amavo anch'io? Che mi sentivo in debito? Che ero in debito?… Tutte cose che sapeva benissimo da sé, che le avevo ripetuto mille volte, e c'ero sempre ricascato… Le sinuose forme di madama vodka mi avevano fregato ancora, non potevo farci niente. Niente, davvero.
C'era rimasto poco da sbagliare per me, sul serio, se alla nascita mi avessero dato solo un tot di errori da fare io di certo sarei stato in debito alla grande… Non avevo azzeccato quasi niente nella vita, ed anche quel giorno, sicuro, non avrei fatto di meglio. Presto sarei uscito, qualche spicciolo in tasca per un altro goccio e via, come sempre, testabassa in un'altra giornata, nient'altro che una nuova x sul calendario… Avrei pensato ancora un po' a lei, e mi sarei sentito anche peggio, a lei che in me almeno per un po' ci aveva creduto, anche solo per piacere o per forza, per amore, magari… Avrei contato tutte le mie colpe, ne avrei inventate di sue per crearmi qualche alibi… Avrei pensato alle anatre del parco, chiuse per sempre in uno stagno, ed ai salmoni che risalgono i fiumi, senza trovare differenza… Avrei pensato anche al sole, che qualche colpa pure lui doveva averla, qualche cosa da nascondere, qualcosa che lo tenesse sveglio anche quando per noi è solo buio… A questo avrei pensato, ed avrei fatto di tutto pur di non pensare davvero.
Aprii le persiane, per guardarlo dritto in faccia, ed era sempre là, più sconfitto di me, costretto ad illuminare tutta quella gente. Tirai su la cornetta, aspettai la sua voce. La sentii rimbombare nella testa, spezzarmi le ossa una ad una, e poi anche tutte le mie scuse. "Mamma…" Dissi. Il resto venne da sé.