Carlo Senatore

scrivo fondamentalmente per divertimento. Questo raccontino, tra parentesi, parla di un ambiente che conosco abbastanza bene: faccio da privato un lavoro che mi mette quotidianamente a contatto con diversi uffici pubblici, e questo ormai da quasi trent'anni. Sono del 1953 e accetto volentieri critiche e osservazioni, apprezzo molto ilo lavoro che ha fatto, e ancor di più quello che sta facendo in questi anni, Stampa Alternativa: indica che qualcuno che crede ancora che ci siano valori superiori alla banalità del male quotidiano esiste (per fortuna) ed è disposto a mettersi in gioco. Complimenti! Tra parentesi io sono uno dei tanti acquirenti di "Fare Macrobiotica", ma l'ho comprato solo nel 1978. Il mio indirizzo e-mail è: casenato@iol.it, e mi farà piacere ricevere vostre lettere (o anche proposte di collaborazione gratuita a questo splendido progetto vivente che è Stampa Alternativa (io, oltre che scrivere e lavorare, mi interesso di fotografie, video e immagini in genere).
Arrivederci.

- PUBBLICI UFFICI -

LA LETTERA

Marco Rossi era un tipo discretamente calmo, normalmente non aveva granché da ridire con gli impiegati della posta o con gli altri rappresentanti dello Stato o del Comune che volenti o nolenti quasi quotidianamente si frappongono, nella vita di ognuno, fra ciò che si vuole (o che si deve) e ciò che si può. Anche perché la sua vita era tutto sommato abbastanza regolare: poche multe e sempre pagate entro il termine, nessuna lite (o quasi) coi vicini, le bollette, per non sbagliare, gliele pagava direttamente la banca prima ancora che lui le vedesse e, quanto alle tasse, la sua azienda gliele sottraeva addirittura dallo stipendio. Rimaneva ogni anno solo da pagare per quel piccolo appartamento in cui viveva, ma di questa incombenza era assolutamente impossibile che si dimenticasse, tanto che faceva il versamento sempre con diverse settimane di anticipo sulla scadenza. Per di più sua moglie non era proprio tipo da dare preoccupazioni: usciva pochissimo, se non per andare al lavoro, non guidava e qualunque problema di ordine statal/burocratico le si presentasse lo risolveva subito, proprio perché in fondo viveva questo tipo di cose come un mostro che è sempre meglio non disturbare; non si sa mai come potrebbe reagire.
Così quando arrivò quella lettera il nostro eroe non poteva certo immaginare fino a che punto avrebbe potuto sconvolgergli le giornate e magari anche qualche anno della sua stessa vita...
Sembrava una inaspettata ma del tutto innocente lettera del Ministero delle Finanze che gli chiedeva di presentarsi il tal giorno nel tal ufficio per un "aggiornamento immobiliare" che lo riguardava. Naturalmente Marco fu subito insospettito da questa terminologia a lui incomprensibile, ma tutto sommato pensò non dovesse essere niente di preoccupante: aveva sempre pagato regolarmente tasse e multe, e la sua unica proprietà immobiliare era giustappunto la casetta in cui viveva, e quindi... L'unica scocciatura sarebbe stato, semmai, dover chiedere qualche ora di permesso al lavoro per andare a fare questo misterioso "aggiornamento". Però un po' di curiosità lo rodeva, e siccome in fondo alla richiesta del Ministero era citato anche un numero di telefono dell'Ufficio Pratiche Incomplete (testualmente scritto con le maiuscole) a cui doveva presentarsi, pensò di provare a fare una telefonata per capirci qualcosa di più, che tanto non costava niente.
Dopo circa dieci minuti di musichetta, inframmezzata da voce femminile preregistrata che informava essere le linee momentaneamente occupate, il telefono si decise finalmente a suonare libero. Ma fu per poco, subito dopo si inserì un nuovo messaggio, questa volta detto da una voce maschile, che spiegava essere l'ufficio chiuso e, per futuri contatti, aggiungeva gli orari di apertura. Naturalmente all'orario di chiusura citato dal telefono mancavano almeno dieci minuti, ma Marco pensò che in fondo non c'era troppo da stupirsi; si sa come vanno gli uffici statali, e poi anche gli impiegati, probabilmente sottopagati, hanno le loro ragioni.
Però, non foss'altro che per l'abito mentale di non lasciare mai le cose in sospeso, riprovò anche il pomeriggio successivo, e con un po' di anticipo, in modo da essere sicuro di non ricadere negli orari di pre-chiusura del giorno prima. Questa volta il telefono suonò libero talmente a lungo da far cadere la linea le prime due volte, e solo la terza gli rispose una voce scostante e frettolosa che, prima ancora che lui potesse formulare la benché minima domanda, gli disse:
"Gli impiegati di questo ufficio oggi sono in sciopero, e io non posso rispondere a nessuna sua domanda."
"Ma guardi che è una cosa semplicissima..." tentò di insistere Marco.
"Buongiorno."
La comunicazione era stata interrotta piuttosto bruscamente, ed era evidente che chi gli aveva risposto non aveva proprio voglia o possibilità di aggiungere altro. Allora, pensò lui, inutile arrovellarsi, tanto la settimana prossima andrò in questo benedetto ufficio e finalmente mi diranno di cosa si tratta.
Ciononostante il mattino dopo, sentendolo quasi come una sfida personale, e valutando che gli scioperi degli statali non durano mai più di un giorno, provò a chiamare per l'ennesima volta, approfittando del telefono del suo ufficio e della pausa del capo. Dopo dieci minuti di tentativi infruttuosi (telefono libero, linea caduta; oppure telefono occupato e voce che chiedeva di restare in attesa che si liberasse una linea) dovette smettere per non dare troppo nell'occhio. Rimase così ancor più insoddisfatto e, senza che se ne rendesse pienamente conto, il suo inconscio cominciò a sviluppare da quel momento una certa avversione per la burocrazia statale e le linee telefoniche incerte.
Ma si sforzò di non pensarci più, nonostante la moglie gli chiedesse più volte notizie della misteriosa lettera, in modo da poter andare tranquillamente il giorno fissato all'Ufficio Pratiche Incomplete a chiedere spiegazioni, senza il peso di troppi pregiudizi che a volte impediscono di capire il senso di quello che ci viene detto. Soprattutto quando si tratta di cose che non fanno parte della nostra vita quotidiana.

UFFICO PRATICHE INCOMPLETE

Il 7 ottobre alle 10.30 in punto Marco Rossi si presentò all'indesiderato appuntamento con la burocrazia. Aveva un permesso di due ore, e supponeva dovessero essergli più che sufficienti a completare questo - come lo chiamavano? - ah sì, aggiornamento immobiliare. Anche perché era sempre più convinto si trattasse di un errore, dato che nulla gli pareva ci potesse essere da aggiornare.
L'ufficio si trovava in un enorme edificio dall'aria discretamente minacciosa, dove non esistevano indicazioni né persone a cui chiedere, se non radi passanti (non si capiva se impiegati o sfortunati estranei, pari a lui) che per lo più ti rispondevano con mugolii indistinti. Comunque, grazie alla sua buona volontà e al discreto anticipo con cui era arrivato, fece in tempo a presentarsi, lettera in mano, entro l'ora richiesta.
Breve attesa in corridoio (magari c'era già dentro qualcuno e lui non voleva sembrare scortese), poi bussò e, dato che nessuno rispondeva, provò ad entrare. Appena dentro venne fulminato dagli occhi dell'impiegato che sedeva alla scrivania proprio di fronte alla porta: incerto chiese allora se fosse quello l'ufficio in cui doveva presentarsi con la lettera (che tentò di sventolare affinché fosse notata) che gli era stata mandata. La missiva non venne degnata nemmeno di uno sguardo, ma in cambio gli venne detto con fastidio: "Stanza 316, in fondo al corridoio".
Stanza 316! Aveva un bel dire lo scortese impiegato or ora incontrato, ma il corridoio finiva semplicemente in un muro rifatto di fresco e della suddetta stanza non c'era nemmeno l'ombra. Ricontrollò allora tutto il passaggio per essere certo di non fare la figura dello stupido, poi, visto che non riusciva a pensare altre soluzioni, rientrò nella prima stanza per chiedere qualche ulteriore spiegazione.
Naturalmente del primo impiegato non c'era più nessuna traccia e lui dovette rivolgersi ad un altro (un tipo che sembrava molto indaffarato, ma con un'espressione decisamente più simpatica) per richiedere le spiegazioni sulla sua lettera. Fu ascoltato senza venire interrotto, poi con un sorriso cordiale gli fu chiesto: "Mi fa vedere il numero?"
"Che numero, mi scusi?"
"Il numero di presentazione, naturalmente."
"Credo di non aver capito" insistette Marco "Io ho ricevuto solamente questa lettera, ma non mi pare ci sia nessun numero. Quindi non saprei..."
E l'impiegato, con la gentilezza un po' supponente di chi tenta di spiegare l'ovvietà ad un decerebrato: "Naturalmente l'ufficio non è in grado di prevedere a che ora lei verrà e quante persone saranno giunte prima di lei, e quindi non può spedirle il numero insieme alla convocazione. L'unica soluzione a questa spiacevole disfunzione statale è andarsi a prendere da sé il numero, quando si arriva, alla stanza 316."
Con la sensazione che l'altro stesse all'improvviso cercando di farlo passare da deficiente, il nostro eroe insistette: "Sì, è vero, anche il suo collega prima mi aveva parlato di questa stanza 316, ma non ho capito esattamente..."
Bruscamente interrotto da un rapidissimo cambiar d'umore dovette subire la strafottenza in piena azione: "Certo! Voi non capite mai esattamente, e pretendete sempre che gli impiegati dello Stato perdano le loro giornate a starvi dietro. Tanto più che di solito non sapete nemmeno cosa siete venuti a fare qui! E poi si dice che lo Stato è in deficit... per forza, non abbiamo mai il tempo per lavorare!" Poi rilassando leggermente la fronte aggrottata: "Scusi sa, ma sapesse quante volte al giorno devo ridare le stesse spiegazioni a persone che di solito si preoccupano solo di lamentarsi con me, come se io impersonassi la Burocrazia, che a sentir loro non fa altro che perseguitarli. E ci fosse uno che alla fine ti dica almeno grazie... Macché, di solito, appunto, non hanno capito. E poi per forza che a uno gli scappa la pazienza." Poi passando una mano fra i radi capelli sospirò, e, come se fosse all'improvviso tornato in sé, concluse: "Stanza 316, in fondo al corridoio del primo piano."
Senza più parole Marco tentò di gratificare questo apparente sfogo di schizofrenia con un sorrisino, ma rendendosi conto che più di una smorfia non riusciva proprio a coniare, preferì girare sui tacchi e tornare nell'infame corridoio.
Naturalmente, rifletteva, se il primo scortese impiegato avesse specificato che il piano della benedetta stanza non era questo ma il prossimo, avrebbe risparmiato al secondo il rischio di un infarto e a lui il sentore amaro dello stomaco che sopporta più del dovuto. Per di più nessuno dei due gli aveva permesso di capire quale fosse il vero senso di questo fantomatico numero di presentazione della stanza 316: si poteva supporre un artificio per evitare le code, tipo quelli che spesso danno i grandi negozi o gli uffici comunali, ma perché allora non lo distribuivano all'ingresso? Tanto più che non sembrava proprio ci fosse molto pubblico a cui i suddetti impiegati dovessero dar retta; anzi, in tutta sincerità sembravano solo presi dai fatti loro. Bah... Si ricordò che si era ripromesso di non farsi prendere dall'ansia o dai pregiudizi e si affrettò alla scala per raggiungere finalmente il piano e la stanza giusti; gli venne in mente però che nessuno aveva pensato finora di dargli almeno un barlume di spiegazione sulla lettera da cui tutto era partito, e che forse (ma pian piano cominciava ormai a dubitarne) era solo un errore formale... Stava deglutendo senza motivo, come se ci fosse qualcosa di cui preoccuparsi, come mai? Scosse la testa e salì deciso la scala.

STANZA 316

Il primo piano era molto più luminoso e ben tenuto del terreno, dava una sensazione decisamente più tranquilla e professionale, e questo lo rimise subito di buon umore. Anche perché il tempo passava rapido, le sue ore di permesso stavano giungendo al termine e lui aveva la netta impressione di non aver ancora nemmeno iniziato a risolvere quello che il suo inconscio si ostinava a fargli sentire come un PROBLEMA (proprio tutto maiuscolo). Ma che la sua potente razionalità continuava a chiamare un semplice misunderstanding.
La stanza 316 era fornita di un normalissimo sportello al quale sedeva un normalissimo impiegato intento a fare le parole crociate. Ma appena il nostro si avvicinò il giornaletto sparì rapidamente in un cassetto e l'attenzione dell'addetto fu tutta per il nuovo giunto.
"Posso aiutarla?" (Che piacere era sentire, per quanto chiaramente convenzionale, una domanda tanto cortesemente formulata. Gli era già successo altre volte, ma sempre in posti che sentiva in qualche modo "magici". Tipo Lisbona o Dublino, il che era tutto dire...)
"Sì, mi scusi, mi hanno mandato qui dall'ufficio pratiche incomplete per ritirare il numero di presentazione."
"Ah sì, un attimo solo."
Marco, incoraggiato dall'ambiente meno oscuro e dalla persona più civile, si lanciò deciso a fare la domanda che più gli stava a cuore, prima che la comparsa del fatidico numero lo allontanasse: "Senta, lei che mi sembra così cortese potrebbe forse darmi qualche ragguaglio su questa lettera che mi avete mandato a casa e per la quale sono qui." e detto fatto la estrasse dalla tasca del cappotto affinché l'altro potesse leggerla. Fu una breve attesa, da un casellario l'impiegato aveva preso un biglietto ed era già pronto a dare i chiarimenti richiesti. Scrutò attentamente la lettera, con una lente osservò la firma in calce scuotendo un po' la testa, poi la mise in controluce come se dovesse controllarne la filigrana. Infine da un cassetto prese una piccola bilancia (tipo quelle da cucina o della Posta) e pesò tutto il plico. Finalmente rialzò lo sguardo su Marco, che intanto aveva cominciato a sgranare gli occhi, e disse sicuro: "Sì, è autentica."
Sguardo interrogativo e corrucciato del nostro, poi l'impiegato continuò: "Beh, ma ci pensa se era falsa, era venuto fin qua per niente."
"Sì, ma io volevo sapere che cosa..." Espressione apparentemente molto attenta dell'altro, ma al nostro protagonista mancarono le parole. Così concluse: "Non fa niente, mi dia il numero che torno giù."
Sorrisino di comprensione al di là dello sportello e un consiglio: "Ma guardi che si sbaglia, il bar è al terzo piano, non al terreno."
"Ma cosa mai dovrei farci io al bar, devo tornare al più presto all'ufficio pratiche sospese che tra un po' scade anche il permesso che mi hanno dato al lavoro!"
"Pratiche incomplete, l'ufficio pratiche sospese non è da queste parti, anche se magari a voi piacerebbe che ci fosse... Però guardi il bigliettino, prima di arrabbiarsi; vedrà che il consiglio del bar era proprio dato in buona fede..."
Il biglietto, che soprappensiero era finito nella tasca del cappotto, fece capolino e sussurrò con sguaiata dolcezza: 18 ottobre, ore 11.45. Aggrottando la fronte Marco rilesse: 18 ottobre! "Ma come, il mio turno sarebbe addirittura fra più di dieci giorni?! Ma state scherzando? Io... non posso crederci."
"Su, non se la prenda, si sa che gli uffici pubblici sono così. Pensi se avesse dovuto andare a prenotare un'ecografia all'ospedale, altro che dieci giorni, lì si parla almeno di sei mesi."
"Ma io avevo chiesto il permesso apposta al lavoro; e poi sono convinto che voi vi siate sbagliati, che io stia perdendo il mio tempo solo per scoprire che questa lettera mi è stata spedita per errore."
"Mi scusi? Mi faccia vedere..."
Turbato e senza pensarci il nostro passò di nuovo la lettera all'impiegato, col solo risultato di vedere ripetere pezzo per pezzo la stessa messinscena di prima: lente per la firma, osservazione in controluce e peso finale (la bilancia non era ancora stata riposta), poi la demenziale battuta:
"No, no, non si preoccupi, è senza dubbio autentica. Però se ha davvero fretta di andare incontro al suo destino, possiamo vedere di fare qualcosa..."
"Come, andare incontro al mio destino? Senta io non so più cosa pensare" Poi, cambiando espressione: "Ma davvero si potrebbe fare qualcosa per accelerare i tempi? Magari per essere ricevuto oggi stesso: sa, fra mezz'ora devo rientrare al lavoro."
"Eh, che fretta! Essere ricevuti subito" disse, dando una fugace occhiata al casellario "può essere molto costoso..."
"In che senso molto costoso? Non capisco, non è un servizio pubblico?"
"Certo," ribatté l'impiegato, facendosi un po' scuro in viso "ma cerchi di capirmi: c'è gente che viene qui per giorni e giorni prima che sia il suo turno. Non penserà di poter passare davanti a tutti così, come se fosse niente. Anche noi, sa, abbiamo i nostri problemi, e fare un tale strappo alla regola può anche essere molto rischioso." Marco aveva la faccia sempre più corrucciata e dubbiosa, e così lo statale concluse: "Ad ogni modo c'è anche un'altra strada che non le costerà assolutamente nulla. Vada al settimo piano, all'Ufficio Urgenze, parli col capo e lui le dirà cosa si può fare." Poi, con tono un po' scostante: "Arrivederci."
Così congedato il nostro si trovò di nuovo nel corridoio a consultare l'orologio, che ormai gli concedeva ben poco tempo. Riflettendo fugacemente sul fatto che funzionari di una tal burocrazia in fondo è lecito attendersi di tutto, si affrettò sull'ascensore e premette il settimo piano.
Solo mentre saliva gli venne in mente: "Ma se esiste davvero un ufficio urgenze, come mai non ci vanno tutti?"

UFFICIO URGENZE

Appena fuori dall'ascensore vide la prima chiara indicazione finora trovata nel palazzo: era una freccia che dava appunto la direzione per l'Ufficio Urgenze. Pochi metri dopo una evidentissima insegna indicava il suddetto ufficio, e sulla porta c'era cordialmente scritto: AVANTI.
Detto fatto Marco entrò, attese due persone in coda prima di lui e si presentò all'unica scrivania della stanza. Qui un anonimo impiegato, senza neanche distogliere lo sguardo dallo schermo del computer che aveva davanti, gli chiese: "Codice fiscale o partita IVA?"
Attimo di imbarazzo, poi il nostro rispose: "Ma, non saprei, io devo solo presentarmi all'ufficio pratiche incomplete per questa lettera che mi avete mandato, ma mi hanno detto che dovrei tornare fra dieci giorni perché c'è molta gente che aspetta. Siccome però non ho molto tempo ho provato a venire qui per vedere se si può fare più presto. Tra l'altro questa lettera..."
Fu interrotto bruscamente dalla stessa domanda di prima: "Codice fiscale o partita IVA?" L'impiegato ora lo guardava con aria inquisitiva.
Non gli restò che dire: "Le serve il mio codice fiscale?"
Ironica risposta: "Credevo di essere stato chiaro."
"Beh, non so se me lo ricordo a memoria. Ma a cosa serve, scusi?"
"Col codice fiscale si paga 50.000, con la partita IVA 30.000." L'aria interrogativa di Marco fece concludere l'addetto: "Le società, o comunque i soggetti iscritti all'IVA, pagano meno in quanto già tassati, per gli altri le urgenze costano 50.000 lire."
"No, senta, mi avevano detto di venire qui e parlare col capo che mi avrebbe detto cosa si poteva fare..."
"Infatti: lei mi dà il suo codice fiscale, io lo inserisco a video e controllo che sia tutto in regola, le do la ricevuta del pagamento che intanto lei avrà fatto, poi, quando sarà il suo turno, parlerà col dirigente e gli esporrà i suoi problemi di urgenza. Tutto qui."
"E per chiedere solamente SE si può fare più presto dovrei pagare 50.000 lire?"
"Infatti. Ma è solo un anticipo di quello che dovrà poi versare alla conclusione della sua pratica; quello le verrà poi conteggiato - dove ha detto che deve andare? - ah sì, alle Pratiche Sospese."
"Ma scusi..." con la coda dell'occhio aveva notato la fila allungarsi, ma non poté fare a meno di protestare "E se alla fine si scopre che c'è un errore, e io non devo pagare proprio nulla? Perché vede" e tirò fuori la famosa lettera "qui si dice che devono farmi un aggiornamento immobiliare, ma io non ho nessun immobile da aggiornare: possiedo solo la casa in cui abito con mia moglie, e per quella ho sempre regolarmente pagato tasse e balzelli di ogni genere, e quindi..."
"Ma com'è spiritoso il nostro contribuente! Guardi che dicono tutti così, soprattutto quando c'è qualcosa che non va; è peggio che al tribunale o in galera: qui sono tutti innocenti! Ad ogni modo se adesso mi vuole dare il suo codice fiscale e permettermi di finire la pratica... La gente sarà anche stufa di aspettare i suoi comodi."
Sempre più imbarazzato Marco venne infine colto dal classico raptus da "contribuente bistrattato" e dichiarò, con impaziente fermezza: "Mi scusi, ma penso che rinuncerò all'urgenza ed andrò a lavorare, che tra parentesi il mio permesso sta per scadere. Ci rivedremo il 17 ottobre, come mi avete chiesto, naturalmente se avrò tempo..." fugace sorrisino acido e conclusione: "Tanto voi di fretta sembrate non averne proprio e non vedo perché dovrei essere io ad accelerare i tempi di questa stupidaggine."
Inaspettatamente l'impiegato ribatté, sulle spalle del nostro che se ne andava: "Benissimo, faccia come crede. Ma stia attento che queste cose, quando prendono l'avvio, non sono tanto facili da fermare; lo Stato, per così dire, è come un diesel: parte piano, ma poi non si arresta più davanti a niente. Non vorrei che lei dovesse pentirsi di questo menefreghismo..."
Marco fu quasi fulminato da queste ultime parole ed involontariamente rallentò il passo, ma poi la furia dell'utente preso in giro ebbe la meglio, almeno fino all'ascensore. Solo mentre scendeva non poté fare a meno di farsi sommergere dall'irrazionale paura che davvero ci fosse qualcosa che non andava (leggi e regolamenti nuovi ne fanno ogni giorno, ed è impossibile stare dietro a tutti) e che se non stava attento chissà come poteva andare a finire.
Ciononostante tornò al lavoro, ma la sera a casa era visibilmente depresso.

IL TELEFONO

I primi giorni dopo quella indimenticabile mattinata furono davvero terribili. Sua moglie sulle prime capì dal suo umore che era meglio non domandare niente, ma col passare del tempo non c'erano mutamenti, se non in peggio: si era arrivati al punto che lei non gli poteva chiedere nemmeno cosa volesse mangiare quella sera, senza che lui rispondesse urlando di non disturbarlo, o, peggio, con un mugolio indistinto di fastidio. Lei si era ben resa conto che la notte Marco dormiva poco e male, ma non osava fargli presente che forse era meglio trovare un urgente rimedio: si immaginava perfettamente quanto poco le sue parole avrebbero potuto ottenere lo scopo di riportare una qualche serenità nella loro casa.
Così un pomeriggio, essendo tornata a casa prima di lui, cercò la famosa lettera (una moglie sa sempre dove il marito nasconde le sue cose più losche, ma di solito fa finta di niente...), la lesse attentamente, non la capì, esattamente come era successo al marito, ma si appuntò il numero di telefono per chiedere informazioni. E il pomeriggio dopo lo fece.
"Risponde la segreteria dell'Ufficio Pratiche Incomplete; al momento il personale è tutto occupato, rimanete in linea per non perdere la prenotazione acquisita con la vostra chiamata..." Seguiva una brutta musica fintamente classica che faceva decisamente perdere la voglia di rimanere in linea; così la nostra mogliettina decise di riattaccare ogni volta che ricominciava quella solfa e di riprovare ogni due minuti. E si sa, la perseveranza e la pazienza delle donne spesso raggiunge lo scopo; così, dopo quasi un'ora di reiterati tentativi, ottenne finalmente l'insperata linea.
Una voce diversa da quella della segreteria tentò di ricalcare il solito copione: "Risponde... la segreteria telefonica del..." Ma la nostra intervenne decisamente: "Pronto? Pronto, mi scusi, segreteria o non segreteria avrei bisogno di chiedervi un'informazione della massima importanza..." e sentendo il silenzio che stava seguendo alle sue parole insistette "Sono sicura che se lei fosse una donna mi capirebbe... ho una specie di spada di Damocle sulla testa e vorrei almeno capire di che cosa si tratti."
"Sì signora, mi dica?"
"Ah, ma allora si riesce qualche volta a parlare con voi! Senta, mio marito ha ricevuto un paio di settimane fa una lettera in cui gli si chiedeva di presentarsi al vostro ufficio per un aggiornamento immobiliare; ma dal giorno in cui è venuto non riesco più a rivolgergli la parola: sembra un condannato a morte che aspetta la sua ora. Così mi sono chiesta se voi potevate darmi qualche delucidazione su questa lettera, perché così non si può proprio andare avanti!"
"Beh, non so che dirle. Normalmente in questi casi si tratta di una qualche proprietà immobiliare che a noi risulta non sia mai stata denunciata. Non posso però sapere cosa sia successo esattamente a suo marito; posso solo dirle che normalmente qui i tempi di attesa sono piuttosto lunghi... Può darsi che lui abbia avuto qualche contrattempo."
"La ringrazio di averci attribuito una nuova casa, ma le assicuro che facciamo già piuttosto fatica a mantenere questa; sa, fra le rate del mutuo, le spese di condominio e le tasse del 740 non c'è proprio da scherzare. E allora vorrei capire a che cosa potreste mai riferirvi..."
"Mi dispiace signora, ma questa è un'informazione che temo di non essere in grado di darle. Se vuole le posso passare un mio collega che forse potrebbe aiutarla..."
Brusca interruzione e rispostaccia della signora, che quando le facevano perdere la pazienza non le mandava certo a dire: "No, guardi, non cerchi di sbolognarmi via con un'altra attesa eterna condita dalle vostre musichette... Sono convinta che se lei ci mette un po' di buona volontà qualcosa me lo può senz'altro dire."
Qualche secondo di pesante silenzio, poi: "Mi può dire il numero della pratica?"
"Quale numero della pratica? Forse questo in alto a sinistra?" mugolio d'assenso dall'altra parte del filo e conclusione: "11.729."
"Il nome di suo marito?"
"Marco Rossi"
"Attenda un attimo in linea."
Non fece in tempo a rispondere perché subito si accese la conosciuta e fastidiosa musica e non ci fu più verso di avere notizia alcuna della benedetta pratica. Ebbe fiducia per cinque minuti, poi attese ancora per altri dieci, infine appoggiò la cornetta sulla sedia e lì era ancora, musicalmente udibile, quando rientrò Marco. Al suo stupore lei non poté fare a meno di raccontargli tutto, con l'ansia che intanto gli eventi telefonici le avevano regalato, comprese le vaghe spiegazioni dell'impiegato, e lui non poté fare a meno di farsi finalmente una risata. Perché le disgrazie non ci sembrano mai tanto sciocche e irrilevanti come quando capitano agli altri.
Ma per lo meno la tensione di quei giorni era stata rotta, grazie alle disavventure di quell'angelo di sua moglie, e lui tornò finalmente a pensare in positivo cosa gli convenisse fare per superare quello stupido ma tanto invadente ostacolo.
Ed alla fine prese tutte le decisioni che gli pareva potessero cautelarlo adeguatamente in quella selva burocratica...

FINALE

Aveva preso due giorni di ferie e ritirato quelle poche lirette che avevano in banca; ma siccome non gli sembravano precauzioni sufficienti era anche riuscito a convincere un amico, che si era quasi laureato in legge, ad accompagnarlo. Così sperava di avere, almeno per le prime ore, conforto ed eventuale supporto tecnico nell'affrontare questo nuovo capitolo della tragicomica avventura.
Ma il disgraziato ancora non sapeva quanto poco servisse la conoscenza delle leggi nei pubblici uffici.
Arrivò talmente presto che l'enorme complesso era ancora chiuso: attese, bevendo un caffè con l'amico, che fosse l'orario di apertura, e ricominciò rapidamente la stessa trafila della settimana precedente.
Prima di tutto andò nella stanza 316 per controllare che il bigliettino con data e ora fosse ancora valido e non scaduto o chissà cos'altro. L'impiegato tentò di dargliene un altro, secondo lui "più valido", per la settimana successiva. Allora Marco, senza proferir verbo, gli diede la famosa lettera perché lui ne controllasse l'autenticità, poi disse la formula: "Posso offrirle un caffè in cambio di un biglietto valido per essere ricevuto oggi stesso? Sa, ho un po' fretta..." E a questo punto tentò di allungare un centomila.
Il funzionario sbarrò gli occhi e con aria di biasimo disse: "Ma cosa sta facendo, dove crede di essere?!" Poi rilassandosi continuò: "Inoltre lei ha già un biglietto per oggi..."
Con l'amico stupito che lo pressava per uscire, il nostro rispose incerto: "Allora posso andare senza altre formalità? Così... semplicemente? O forse lei mi vuole far capire che è meglio che passi all'ufficio urgenze?"
"Se mi lasciava finire di parlare volevo spiegarle che, data la situazione molto complessa, forse le conviene prendere un biglietto anche per domani... E lasci perdere l'ufficio urgenze. Ho giusto qui un rarissimo biglietto libero per domani alla stessa ora, ma costa un po' più di un caffè... Diciamo due caffè."
Marco fece uno sforzo mentale per rimanere calmo (si ricordò di tutti i buoni progetti che aveva fatto la sera della telefonata di sua moglie) ed estrasse un altro centomila. L'impiegato, molto formale, pescò dal suo misterioso casellario un altro biglietto e lo diede con aria complice all'interessato. La scenetta finì solo quando, nel corridoio, l'amico gli fece notare che forse si era fatto prendere un po' troppo la mano e che avrebbe dovuto andarci più piano. "Tipi bizzarri se ne incontrano sempre negli uffici statali..."
"Tu non sai proprio di cosa stai parlando caro mio, adesso ti faccio vedere il seguito."
La seconda puntata fu nell'Ufficio Urgenze dove, al suo turno, dichiarò prontamente il suo codice fiscale (l'aveva studiato a memoria la sera precedente, ma si era portato, per eccesso di zelo, anche la tesserina): pagò le 50.000 lire, ritirò la ricevuta, aspettò fiducioso di essere ammesso a parlare col dirigente.
Nell'attesa però l'amico, Fabio, insorse: "Ma guarda che secondò me tu ti sei fatto contagiare: qui saranno anche tutti pazzi, come dici, ma anche tu non scherzi per niente. Cosa stai aspettando a fare di ottenere un'urgenza, quando ormai manca poco più di mezz'ora all'appuntamento che ti avevano fissato la volta scorsa?"
"No, tu davvero non capisci: quello che mi ha dato l'appuntamento per chiedere l'urgenza è lo stesso che la volta scorsa mi ha fatto oscure minacce sulle mie presunte infrazioni. E secondo me mi ha anche riconosciuto... Guarda che, tra le righe, l'altra volta ha parlato di tribunale e prigione; non so che dire, ma non vorrei che..."
"Ascolta, ma se tu sai di essere in regola non devi preoccuparti; e poi semmai si può trattare di pene pecuniarie, non certo penali!"
"Va beh, ma senti, ormai tocca a noi. Tanto vale entrare..."
Così fecero un inutile colloquio col dr. Santelli (capoufficio urgenze e pendenze) che, visti gli orari dei bigliettini, li invitò a non fargli perdere tempo, che lui aveva parecchio da fare e molte altre persone ancora da vedere quella stessa mattina... Non ebbero altra soddisfazione, né gli venne offerta la restituzione delle 50.000 lire ("Che tanto" disse Santelli "sono solo un anticipo del versamento che dovrà poi fare alla fine della sua pratica.").
Poi fu la volta finalmente dell'Ufficio Pratiche Incomplete.
Marco entrò deciso con dieci minuti d'anticipo, trascinandosi dietro Fabio e sventolando il biglietto della stanza 316 con giorno ed orario prestabiliti. Si avvicinò alla prima scrivania, ed il relativo impiegato, che non degnò nemmeno di uno sguardo lo scontrino sventolato, lo apostrofò subito con: "Attenda il suo turno! Si accomodi fuori, poi la chiamiamo noi."
"Ma guardi che qui c'è scritto che alle 11.45 tocca a me. Vede, me lo hanno dato alla stanza 316 la settimana scorsa..."
"Le ho detto di attendere fuori che la chiameremo noi."
Fine del discorso: si vide costretto ad uscire e ad aspettare; e questo gli procurava un leggero mal di stomaco, come se il suo inconscio non ci credesse poi molto alla chiamata. Inoltre l'amico, stufo di quegli uffici e delle sue reazioni eccessive, nonché in ritardo per l'appuntamento lavorativo che lo aspettava, decise di lasciarlo solo al suo destino, pronosticandogli però un finale certamente meno tragico di quello che Marco temeva. E Marco in fondo temeva parecchio, ed ebbe modo di rifletterci approfonditamente nella fin troppo lunga attesa.
Così le mani gli sudavano un pochino quando alla fine lo chiamarono, con sola mezz'ora di ritardo. Presentò il biglietto, diede la lettera e si apprestò ad attendere con ansia la sentenza di un addetto che sembrava invece discretamente annoiato.
"Allora, signor Rossi, pare che lei abbia ereditato un immobile di cui non ha mai fatto menzione nelle sue dichiarazioni dei redditi degli ultimi cinque anni: come certamente si immaginerà si configura qui un'infrazione rilevante (sempre che lei possa dimostrare la sua buona fede, perché altrimenti la cosa avrebbe anche dei risvolti giudiziali). Secondo i conti dell'economato tra mancati versamenti e penali lei dovrebbe versarci 14.526.650 lire, più 550.000 di bolli virtuali. Se vuole le possiamo anche fare una rateazione della somma che diverrebbe saldabile in tre anni... con una rata semestrale di... (rapidi conti alla calcolatrice) 3.205.000 lire. Allora, cosa facciamo? Signor Rossi, sto parlando a lei! Signor Rossi..."
Il signor Rossi, Marco per gli amici, si era irrigidito in una smorfia con la bocca spalancata e non riusciva a dire parola. Il suo stupore aveva superato il limite delle reazioni e rischiava di perdersi nei meandri dell'irrazionalità; sentiva come un grigiore da incubo che circondasse il suo cervello e non riusciva ad immaginare in quale tono rispondere e con quali parole. Perché naturalmente si stavano inventando tutto, ma lui non sapeva proprio come dirglielo...
Però l'istinto di conservazione di solito ci dà una mano mandando la banale adrenalina in circolo, e così il nostro si scosse all'improvviso e rispose incerto: "No, guardi, credo che ci sia un errore. I miei pochi parenti sono tutti vivi, e comunque non credo che nessuno di loro, morendo, mi lascerebbe una casa."
"Non si tratta di una casa, ma di una villa. Ma è sicuro che non ci sia in ballo un'eredità di cui lei non è al corrente?"
"Scusi, però se non ne fossi al corrente non vedo perché mai dovrei pagare. E poi allora mi dica dove dovrebbe essere questa villa e chi mai me l'avrebbe lasciata. Eventualmente potrei sempre venderla, pagarvi e godermi il resto, che una villa, dovunque e comunque sia, vale certo ben più dei quattordici milioni e rotti di cui mi ha parlato prima!"
"No, guardi, sono dati riservati che non possiamo dare al pubblico; io mi sono già sbilanciato fin troppo. Ad ogni modo se le interessa ci sono delle agenzie investigative, esterne all'ufficio, che possono svolgere le indagini per lei: anche questo non potrei farlo, ma se vuole le do il nome di una che ha la sede qui vicino..."
L'inferno era ormai entrato prepotente nella sua testa, Marco faticava moltissimo a mantenere la sua razionalità funzionante almeno il minimo indispensabile. Ville, indagini, milioni: ma cosa voleva questa gente da lui? La verità non si chiamava burocrazia, ma certamente loro non erano in grado di capirlo, e allora lui non sapeva più come smontare quest'assurdità; da qualunque lato tentasse di prenderla risultava troppo scivolosa per essere afferrata. L'amico nel corso della mattinata gli aveva ad un certo punto, per rassicurarlo, citato la "Certezza del Diritto" ma si era dimenticato di aggiungerci l'incertezza delle interpretazioni e la cieca meschinità degli interpreti. Così ora come poteva mai far capire a questo signore che stavano prendendo un clamoroso granchio? Che chissà da dove era cominciato e che nei vari passaggi si era senza dubbio ingigantito, ma che ora si configurava come la follia fatta diventare legge dello Stato. E lui non era che un anonimo numero in una certa pratica di cui lo Stato, peraltro, non poteva certo interessarsi. Ma non c'erano meccanismi per sottrarsi a questo sordo ingranaggio, era quasi come se il suo destino fosse segnato: dichiarazioni di morosità, pignoramenti, vendita all'asta della loro unica casa, messa in mora anche da parte della banca, sequestro dello stipendio e poi...
E poi che? L'istinto di conservazione era entrato di nuovo in azione con una potente scarica di adrenalina, e Marco aveva ricevuto un'improvvisa illuminazione: "Ma non siamo in Italia? Che imbecille a non averci pensato prima! In un paese così la burocrazia che ti frega è la stessa ti salva! Come si chiama quell'artificio che tutti usano sempre?"
Infine ad alta voce rispose all'impiegato, che aspettava solo di aggiungere nuova noia a quella vecchia, e quindi non aveva fretta: "Mi scusi, ma se io non sono d'accordo con questi vostri rilievi, non posso fare un semplice ricorso?"
"Guardi che così però i tempi si allungano e gli interessi aumentano. E poi corre il rischio di finire in tribunale..."
"Sì, sì, lo so, ma penso di non avere altre possibilità. La ringrazio molto per il suo interessamento, ma le sarei ancora più grato se mi volesse indicare dove e come presentare il ricorso."
"Va beh', se è davvero convinto allora deve riempire questo modulo" e gli passò uno stampato malamente fotocopiato "andare fuori a comprare una marca da bollo, e poi consegnarlo all'Ufficio Ricorsi, al terzo piano dell'edificio che troverà uscendo a destra."
Evidentemente Marco aveva detto la parola-chiave perché, al comparire del RICORSO, nessuno aveva fatto più difficoltà: il modulo era quello giusto, l'ufficio era esattamente dove gli era stato indicato, la compilazione era stata semplice e lineare e la presentazione della domanda gli era costata non più di cinque minuti. La risposta chissà se e quando sarebbe arrivata, ed in fondo c'era sempre la possibilità di fare un ulteriore ricorso...
All'improvviso la burocrazia si era raddrizzata, era stato un po' come spiegare lo Zen con lo Zen.