Antonella Stefania Martini

L’autrice ha cominciato a scrivere all’età di diciassette anni. Per qualche tempo si è dedicata al teatro. Ha partecipato ad uno spettacolo musicale nell’ambito di una Festa dell’Unità. Ha vissuto in Belgio, Francia e Inghilterra. Dal 1988 lavora per una multinazionale americana. Nel 1996 ha ripreso a dedicarsi alla narrativa. Alcuni racconti sono stati pubblicati su varie riviste telematiche. A giugno del 1998 ha cominciato a scrivere un romanzo noir. Ancora in fase di limatura. Ad aprile del 1999 ha iniziato a collaborare con la redazione di "Tam Tam di scrittori, poeti, artisti", una rivista letteraria romana, intervistando diversi scrittori noti, pubblicando racconti, recensioni ed articoli vari. A maggio del 1999 uno dei suoi racconti, "Il sogno di Andrew", scritto con F.P. Bellisà, si è classificato quarto al Concorso Nazionale di Fantascienza di San Marino. A giugno dello stesso anno si è iscritta al corso di giornalismo e scrittura creativa della rivista "Storie". A novembre è entrata nella redazione di Pickwick, www.pickwick.it, Magazine elettronico dedicato al mondo del libro. Nello stesso mese ha iniziato un corso di narrativa noir con Giancarlo De Cataldo, magistrato, scrittore e sceneggiatore.

Briciole da coglione

La banca è quasi vuota. Alcuni impiegati sono incollati ai computer. Sto in fila e guardo il pezzetto di carta che mi farà tirare avanti ancora per un po’ di tempo. C’è soltanto una persona davanti a me. L’assegno me l’hanno dato proprio ieri. Sono stato liquidato in un lampo. Avevo lavorato per quella ditta per otto mesi. Poi, tagliato fuori. Avevo saputo che il posto lo stavano tenendo in caldo per il nipote di uno dei soci. Che bastardi! M’avevano venduto che sarei stato assunto definitivamente. Avevo cominciato ad abituarmi a vivere in modo decente. Avevo trovato un appartamentino grazioso. Riuscivo a mangiare tre volte al giorno. Tutti i giorni.

Sono talmente immerso nell’incertezza del domani che non m’accorgo quasi della loro irruzione.

"Se qualcuno fa il furbo gli sputo questo addosso." E’ la voce di uno di loro ad impressionarmi. Urgente e tagliente. Mi giro di scatto.

Due imbracciano un mitra. Un altro ha una pistola di grosso calibro.

Dai modi sembrano schizzati. Forse, prima di entrare, hanno sniffato.

Fra loro si chiamano con il soprannome. Il piú grosso m’inchioda con gli occhi.

"Fra poco avremo la grana. E… via." Il piú basso ha un sorriso che sembra uno sfregio sulla faccia butterata.

"Minchia. Sai quante in quante ci aspettano. Faranno la fila per noi."

"Smettetela di dire minchiate." Quello che aveva parlato per primo, è incazzato. Mi scocca uno sguardo cattivo. "Fatti da parte coglione."

La spinta che mi arriva è potente. Cado a terra sbattendo la testa. Un dolore acuto mi corre lungo il corpo. Adesso le loro grida mi giungono a rintocchi. Diventano sempre piú assordanti. Quello detto Spugna afferra uno dei cassieri costringendolo a svuotargli la cassa in un sacco di iuta. Anche gli altri armeggiano dappertutto. Chissà quanti soldi stanno racimolando.

Sento il tonfo di una porta che si spalanca. E’ strano come il mio cervello registri tutto a rallentatore senza tralasciare nulla. Ma so che tutto si sta svolgendo ad una velocità strepitosa. Quello detto Coyote fa fare la processione a tutti gli impiegati che si erano rifugiati dentro una stanza.

Il tipo che stava davanti a me è sdraiato a terra. La sua faccia aderisce al pavimento come un adesivo. Una chiazza umida si sta spargendo vicino ai suoi fianchi. Poveraccio. Se l’è fatta sotto.

Coyote è di nuovo vicino a me e sputa sui miei piedi. "Tu coglione alzati che vieni con noi."

Poi artigliandomi un braccio mi tira su. Cerco di collaborare. Mi sembra di essere stato risucchiato da un ciclone. Hanno terminato. Usciamo di fuori. L’aria gelida mi salta addosso. Mi costringono a salire in macchina con loro. Alla guida c’è una donna. Mi degna di uno sguardo veloce. Non riesco a fiatare. Ho paura che se dico qualche cosa mi fanno secco senza pensarci troppo. Mi sento strizzato tra i due che stanno dietro con me. Uno di loro tiene il sacco con i soldi.

La donna ha lanciato la macchina come un proiettile. Nessuno parla. Percorriamo diversi chilometri. E’ il grido di una sirena a spezzare il silenzio.

"Minchia! Com’è possibile che li abbiamo già addosso questi poliziotti di merda?"

Adesso hanno ripreso ad urlare come ossessi. Stanno uscendo di testa. Non s’aspettavano che la polizia avesse tanta prontezza. Adesso mi sento imbalsamato. Non riesco neanche a guardarmi intorno. Gli occhi li tengo fissi sulla strada. La testa mi duole ancora. Merda! La sirena non suonava per loro. Era un’ambulanza. O forse sono riusciti a seminare la polizia. Coyote seduto davanti, di fianco alla donna, si volta e mi guarda. Non mi piace quello sguardo.

"Ricordati coglione che se combini qualcosa ti faccio secco in un attimo. Chiaro?"

Deglutisco una noce di saliva. La paura mi ha paralizzato la lingua. Un abbozzo di consenso scuote la mia testa. La macchina sfreccia tra le strade, ma sta lasciando la città. Loro corrono verso la libertà. Io verso l’inferno. L’andatura è sempre la stessa.

Spugna bestemmia tra i denti. Dice alla donna di rallentare un poco.

"Cazzo dici Spugna. Finché non arriveremo alla grotta non possiamo farlo."

L’accento della donna mi sembra romagnolo. Mi sono sempre piaciute le romagnole. "Che ne facciamo del coglione?"

Ancora Coyote che ce l’ha con me. Mi odia. Lo sento. Non capisco perché. Non ho mai aperto bocca.

"Alla grotta lo stendiamo."

Stavolta è lei a rispondere, ma senza durezza. "No! Lo leghiamo e lo lasciamo lí dentro. Sarà il destino ad occuparsi di lui."

Dallo specchietto retrovisore intravedo il suo viso.

"Io dico che è meglio liberarcene." Questa volta è stato Spugna ad infierire.

Giungiamo davanti alla grotta. Scendono tutti. Mi tirano fuori a forza dalla macchina. Quasi non riesco a camminare per il tremore che mi avvolge. Entriamo. L’aria è umida. Coyote mi fa cenno di sedere a terra. Dai discorsi che si scambiano mi sembra di capire che hanno un’altra macchina nascosta lí vicino. Adesso sono pronti. Tutti e quattro mi stanno guardando. Poi i loro sguardi s’incrociano.

"A questo lo facciamo fuori. E basta." Spugna è il capo. Non ho scampo. Mai avrei immaginato di finire cosí. Come un coglione.

Coyote si scosta dal gruppo. Alza il mitra e lo punta sugli altri.

"Adesso basta cosí. Siete tutti in arresto."

Le facce degli altri sono stravolte. Sento un’esplosione nella mia testa. Anche la mia faccia deve essere stravolta. Quel pezzo di merda del Coyote è un poliziotto in incognita. Il mio corpo è percosso da una serie di scosse elettriche. Non so neanche io che cosa mi sta prendendo. Mi alzo. Muovo dei passi. Sto tornando padrone di me stesso.

"Non ti muovere." Mi sputa addosso tutta l’ansia che ha in gola. "State tutti fermi. Fra poco arrivano i rinforzi." Coyote ha cambiato completamente l’espressione del viso. Adesso è ancora piú spietata.

Ma io non voglio che arrivino. Io voglio quei soldi. E basta. Mi dispiace per il poliziotto. Lo capisco che si è esposto per salvare me. Ma non me ne frega un accidenti. In pochi attimi ho ridisegnato il mio futuro. Non voglio piú elemosinare le briciole degli altri. Il mio sguardo s’abbraccia con quello della donna. Ci capiamo in pochi secondi. Non chiedetemi come. E’ successo.

Sono morti tutti gli altri. I coglioni. Tranne lei e me.