| Sergio
      Silvestri romano di nascita ma non di concepimento.Desidera diventare Papa, ma gli manca di fare la cresima.
 | Un Party Come al solito, eravamo io, Giuseppe Garibaldi, Andy
    Wharol e Alvaro Vitali che con toletta impeccabile, ci avviammo al party dai
    Giglioni Scozzi della Puttanesca. Forse ci avrebbe raggiunto Bill Gates, ma
    non era sicuro.Dico Giglioni Scozzi della Puttanesca, quattro palle di blasone, gente del
    ramo cadetto, mezzi imparentati coi Rospigliosi Puppi della Pulciara.
    Praticamente come andare ad un pic-nic col Papa. Tutto questo grazie ad
    Alvaro, ben introdotto nella gente che conta, che aveva chiesto alla
    Flaminia, la puledrina dei Giglioni, di poter portare qualche amico,
    spacciandoci di sangue blu.
 Sull'invito, in basso, c'era scritto R.S.V.P. e Giuseppe, che aveva girato
    il mondo e sapeva un po' di corso disse che voleva dire Ritardate Se Vi
    Pare.
 Così ci presentammo a festa bell'e cominciata, come si conviene alle prime
    donne. Avevamo parcheggiato la Maruti Suzuki 900 di Andy un po' lontano dal
    vialetto d'entrata. Cristo, quella sera c'era da divertirsi. Capirai, a
    Giuseppe prudevano già le mani che era uno spettacolo, " Sti'
    nobili" diceva "Mi fanno ricordare quando in Cambogia…." e
    attaccava con la storia di quando in Cambogia, aveva trovato Anita a letto
    col barone di Dresson, un francesino dalla lingua lunga che spifferò
    l'accaduto ad Ho-Chin-Minh, il quale si divertì un mondo a dargli del 'Eroe
    dei due Corni'. Andy, si era portato due scatole di miccette, la sacchetta
    per i puzzoni, l'inchiostro simpatico e le fialette all'uovo rancido per
    fare un po' di scherzi, e Alvaro come al solito prima delle feste, si era
    scolato una bottiglia di bourbon.
 All'entrata ci accolse proprio Flaminia, bel trancio di giumenta al sangue,
    con tanto di erre moscia e adorna di pajet che riflettevano come nemmeno
    un'orata all'amo. Subito furono baci, frasi intime e confidenziali
    sussurrate ad Alvaro, poi, un po' diffidente, si degnò verso noi con
    infallibile fiuto araldico interrogandoci sui nostri alberi genealogici. Io
    buttai lì la parentela con uno zio che dicevo essere un nobile alla Corte
    dei Conti, Giuseppe giocò la carta di sua madre figlia di Papa Pio IX ed
    Andy sbracò ammettendo che suo zio Zar Nicola II, in fondo se l'era
    cercata. Flaminia, distratta dal bel Alvaro e un po' a digiuno di storia
    abboccò confermando l'aspetto ittico. Si allontanò col divino Alvaro che
    dove avanzava creava capanello di curiosi, ammiratori e pescatori già
    pronti con la mosca per Flaminia. Noi finalmente liberi ci buttammo in
    ricognizione. Piano: sciolti per venti minuti, poi aggiornamento al tavolo
    bevande.
 Una stanga tutta curve che ricordava i tornanti di un valico alpino, si
    avvicinò miciona, facendo finta di servirsi un cocktail di fronte a me.
    Scorsi nel decolté qualcosa che mi ricordò l'allattamento e dosi
    industriali di parzialmente scremato. Osai. "Ha da accendere?". Mi
    sfoderò un accendino imbrilloccato a fiamma missina. Non fumando, colsi un
    involtino dal buffet e aspirai guardandola rapace. "Splendida serata,
    nevvero?" proseguii fantasioso. Lei mi ripose con voce profonda come un
    pozzo artesiano, di essere assetata. Essendo gratis, mi affrettai a porgerle
    un drink. Un Muzio Scevola on the rocks per l'esattezza: una parte di vodka,
    una parte di fumarole dell'Etna, una parte di granatina di fachiro una parte
    di magma del Fujihama, due cubetti di pietra focaia e una spruzzata di
    soffione geiser-seltz islandese.
 "Qualcosa di più forte non c'è?" chiese con voce frusta.
 "Sicuro, i miei bicipiti" risposi sfacciato, dimenticando che
    quando con la sporta della spesa attraverso la strada, mi aiuta un boy
    scout.
 "Mi piacciono gli uomini virili" disse accarezzandomi con un
    unghia da poiana il lobo dell'orecchio. Il complimento mi fece piacere,
    perché avevo sempre pensato di essere un uomo di polso, solo in quanto
    indefesso onanista. La bellona mi guardò fisso negli occhi, danneggiandomi
    irreparabilmente la focale e mi propose "Se non hai altri impegni
    possiamo salire un attimo. Ho la chiave della camera degli ospiti".
 "Ho un appuntamento fra dieci minuti con la morte, ma suvvia, si vive
    una volta sola" risposi deciso prendendola sottobraccio e
    accompagnandola, nascondendo nell'ordine: sconnessione del lobo parietale
    posteriore, resa totale del sistema linfatico, perdita parziale delle
    percezione del dolore, ritmo cardiaco assimilabile a quello di un ciclista
    poco allenato in scalata sul Pordoi e produzione feromonica pari al totale
    di quella della 35° brigata Sicilia agli spettacolini all'Hot Paradise.
    Insomma, mi sentivo come Dio di lunedì: ne avevo di cose da fare.
 Giuseppe intanto si era sbracato sul divano a chiacchierare con il principe
    Gustavo da Squagliano, vecchio nobile in disarmo, duro d'orecchio come un
    manichino della Upim. Evocava le sue gesta in Manciuria quando batté a
    bocce Gengis Khan e quello volle la rivincita a briscola. Decisero di
    giocare in quattro, Giuseppe in coppia col fido attendente Giovinazzi da
    Afragola, valorosa camicia rossa che a Marsala riuscì a lavare le mille e
    passa camicie sporche di sugo di melanzana in acqua calda senza farle
    scolorire, e Gengis, in coppia col mongolo Cho-Nas, soldato imbattibile in
    questo gioco ma afflitto da narcolessia, e che quindi si addormentava dopo
    ogni sua giocata non seguendo le giocate degli altri. Sarebbe stata una
    passeggiata dato che Gengis finché si trattava di tagliare gole va bene, ma
    quanto ad acume era un caprone, se non che Giovinazzi per far sapere a
    Giuseppe che aveva un asso da calare diceva "C'ho n'ass" e il
    dormiente sentendosi richiamato, si svegliava, e forte com'era, faceva
    incetta di punti.
 Il principe Gustavo da Squagliano se la rideva a crepapelle anche se aveva
    capito che le gengive del cane c'avevano un ascesso.
 Andy sempre dedito alla popò art piazzava i sacchetti per i puzzoni sotto i
    convitati che si sedevano generando imbarazzi e pazze risate. "Al
    marchese smarmittante hip-hip hurrà" berciava giulivo tra le urla
    delle fan araldiche che già lo definivano "Un genio"(Duchessa
    Benedetta Focaccia della Sbrodona), "Stupefacente ed efficace sintesi
    tra l'istinto primario e l'evocazione della finzione.."(Principessa
    Lupa Panfili della Frogia), "Il peto come intima rappresentazione del
    disagio endemico. Vibrante..."(Conte Vladimiro Strombazza dei
    Castrati), "Un Peto ci seppellirà. Rappresentazione dilaniante della
    decadenza del nostro rango. Divino…"(Marchese Odoardo da Chamberlan)
    e "Chi ha bussato?"(Principe Gustavo da Squagliano), che come
    abbiamo detto, ci sentiva poco.
 Salendo le scale con la stangona, che su di me esercitava lo stesso effetto
    di un esame spirometrico, incontrai Alvaro con dei critici cinematografici
    mentre gli ricordava il suo rapporto conflittuale con Lee Strasberg e
    l'ossessione del metodo Stanislavskij ai tempi del Actor's Studio, metodo
    che aveva in un certo senso rielaborato e fatto suo e come 'La Dottoressa al
    distretto militare' ne rappresentasse la naturale maturazione.
 Proseguii oltre, che glielo avevo detto centinaia di volte che 'Pierino
    contro tutti' era, attraverso l'immane lavoro sul linguaggio del corpo e
    l'extra testualità, la sua interpretazione più riuscita.
 Arrivati davanti alla porta, lei avvicinò le labbra al mio viso sussurrando
    "Bel maschione, sei pronto?" dando, qualora ce ne fosse bisogno,
    un'accelerata all'extrasistole. "Credo di aver portato con me gli
    attrezzi del mestiere" risposi da uomo di mondo, deglutendo così un
    groppo incredulo, memore di centinaia di "..Ti ho sempre visto come un
    amico.." .
 Socchiuso l'uscio, un letto ad acqua coperto di lenzuola di raso rosso
    cosparso di petali di rosa e attorniato di candele aromatizzate alla
    fragranza di violetta marzolina ci strizzavano l'occhio complici. "Una
    cosettina informale, mi scuserai…" si schermì sinuosa la venerona.
    "Mi adatterò. Sono stato per anni lupetto ai Boy Scout" accennai
    fingendo stanca riluttanza.
 Giuseppe in quell'istante narrava al Principe Gustavo da Squagliano,
    l'incontro con Vittorio Emanuele II alla stazione di servizio Teano Sud. Si
    erano dati appuntamento lì, per andare in gita a Caserta a fare una bella
    scorpacciata di mozzarelle di bufala. Un orda di gitanti borboni si erano
    fermati allo stesso autogrill e Giuseppe aveva notato un borbone rubare
    riviste come 'Tutto Sporc', 'Salamella Sex' o 'Godo', altri fare incetta di
    audiocassette come 'Lolita y los Gozalitos', 'Rafaè CantaNapule', Rafaè
    CantaNapule Redux' e la rarissima 'Arturo Gogliano canzoni per la Mamma', e
    altri più impuniti mettersi lombate impanate nelle tasche.
 Così ne prese uno per la collottola e prendendolo a leccamuffi, lo frollò
    come un cinghiale, ne prese un altro girandolo e rigirandolo come un paiolo
 di polenta ed infine un terzo, secondo la logica colpiscine tre per punirne
    tre,
 battendolo come un tappeto persiano. Al che, non pago, prese quello con la
    lombata impanata in tasca e dopo averlo cosparso d'olio lo impanò di
    segatura per poi schiaffarlo contrappassisticamente a sandwich tra altri
    due. Vittorio Emanuele cominciò a innervosirsi: "Giuseppe, dai
    andiamo, ho prenotato il ristorante, ci aspettano..'. Giuseppe però ci
    aveva preso gusto a menar sti' stranieri e ora passava anche alle offese
    'Vai a lavurar Borbun'. Quelli, dopo averle prese come juke-box cominciarono
    a organizzarsi e ora implotonati a tartaruga assalivano i nostri. Giuseppe
    viste le brutte disse al suo Re: "Vittorio, che fa, o qui si taglia o
    si muore". E se la dettero a gambe. Ma siccome Giuseppe era ferito ad
    una gamba, fu immantinente placcato dai borboni e dovette rispolverare il
    corso di lotta greco-romana che aveva fatto a metà strada tra Atene e Roma
    più precisamente a Bisceglie.
 Così Giuseppe mimava, degno di Bud Spencer, la fenomenale scazzotata, e il
    Principe Gustavo da Squagliano se la rideva avendo però capito che stesse
    mostrandogli i passi del corso di merengue.
 Andy sempre all'insegna della popò art era passato alle fialette all'uovo
    rancido. Le posizionava ora dietro un'anziana blasonata ora in un cocktail,
    urlando poi "Ucci Ucci sento odor di puzzettucci" scatenando
    ancora il consenso della platea: "Geniale. Lo slogan, non più medium
    ma essenza a sè"(Marchesa Claretta Sonaglia della Svegliara),
    "Graffiante. L'uovo, simbolo di vita e come tale portatore anche
    dell'aspetto deteriore e marcio, l'ovvia putredine della morte, che è
    continuità vitale…"(Duca Marchione da Zompafossa), "Rivoltante.
    Sebbene ammetto che rivoluzioni l'estetica ovipara pasquale cara al Bonito
    Oliva"(Federico Buliccio da Casinara ),"La frittate l'è cotta, la
    frittate l'è cotta, andiamo a mangiar…"(Principe Gustavo da
    Squagliano) che ci sentiva poco anche dal naso.
 Alvaro ormai brillo urlava ad un produttore degli studios di Hollywood, che
    non gliene importava un fico secco di rischiare un raffreddore ma che nelle
    scene di nudo non voleva indossare la maglia della salute. Il solito
    perfezionista.
 La dea popputa intanto mi disse virago "Spogliati". L'ipofisi fece
    sapere di volere lo straordinario e a catena l'aorta m'irrigidì il mignolo
    del piede sinistro. Dovevo star calmo, in quelle condizioni la probabilità
    di far cilecca era sì inferiore a pestare una cacca in un giardino
    pubblico, ma comunque alta. "Il colore della mia giacca stona con
    l'arredamento?" finsi quasi annoiato.
 Con un rapido gesto restò come mamma l'aveva fatta, solo un po' più
    cresciuta e con sole due gocce di Chanel n° 5. Io, invece, zuppo di gocce
    di Ascell n° 2. Si avvicinò maliarda e chiese con voce da metal detector
    "Nulla da dichiarare?". "Un attimo, che tolgo il telefonino
    dalla tasca", deludendo forse le sue aspettative. Mi ripetevo
    mentalmente di stare calmo, ma non era semplice. Lei, quasi più bella di
    Miss Padania, più completa di una schedina a sette triple, più
    accessoriata di una Skoda, più provocante di Sgarbi, più desiderabile di
    un ghiacciolo in un igloo e più disponibile di una pensione di Cattolica
    d'inverno, era di fronte a me, facendomi cenno col dito di avvicinarla.
    Dovevo distrarmi e pensare a qualcosa di brutto. Pensai alla visita
    urologica del servizio militare, al minestrone della mensa aziendale, alla
    rata dell'RC, a Lino, il mio peluche a forma di chiavica, ai bucatini alla
    bolognese mangiati a Londra, ma era troppo tardi. Mi conficcò il viso tra
    le sue tette. Emersi asfittico. "Cos'è non ne hai mai viste?"
    chiese vedendomi esanime "Sì, quand'ero molto piccolo", "E
    che ricordo ne hai?" proseguì curiosa, "Di rigurgito". Mi
    sfilò le brache. Ero ad un passo dalla storia, ma se si vuol essere re,
    bisogna avere lo scettro appropriato.
 La situazione precipitava. Al piano di sotto Giuseppe mimava al principe la
    sua storia d'amore con la regina Elisabetta con tanto di pantomima delle
    gesta d'alcova col principe che lo interrogò "Lei mi ricorda tanto un
    corso" "Un corso? Napoleone forse? Quel burino di Ajaccio!"
    proseguendo un'ipotetica monta su una seggiola corposa quanto innocente.
    Andy dava fondo all'inchiostro simpatico tra le urla compiaciute delle dame
    che l'apostrofavano come "Geniale imbrattatore"(Marchesa Tiera
    della Giarre),"Amazing live performance. Dress the Art"(Contessa
    Ann by Yorkshire),"Incredibile Macchiaiolo post moderno"(Duca Luca
    da Buca), "Lei mi ricorda un Corso"(Principe Gustavo da
    Squagliano) tra i fumi della memoria. Alvaro era passato a spaccare una
    bottiglia in testa ad un regista francese della nouvel vacagher che lo aveva
    offeso di ripudiare il cinema popolare.
 Io vivevo il mio precipitato storico denso di emozioni desiderando di essere
    un farmacista di paese. La divina mi scalzò le scarpe e si dette ad
    arrotolarmi i pedalini. Ancora superstite la mutanda rivelatrice, l'immonda
    bonazza cominciò con perizia a lapparmi dal pollicione in su, direzione
    slip, via ginocchio. L'emozione mi glaciava le pudenda. Non ce l'avrei mai
    fatta. Dovevo agire.
 Anche sotto l'eccitazione si tagliava coll'affettaprociutto: Giuseppe
    mostrava alla platea il tatuaggio 'Anita Bona' posizionato sulle
    terga('Anita' sulla sinistra e 'Bona' sulla destra) al grido di 'Viva il Re',
    Andy appicciava le prime miccette tra i giubili estatici "Così
    glamour!", "Genio fetish" e "Merda d'autore" di
    nobildonne e adoranti checche, Alvaro faceva a richiesta la pernacchia a
    doppio carpiato che l'aveva portato alla fama. Il Principe Gustavo da
    Squagliano si chiedeva "Eppure mi ricorda un corso". Tripudio
    generale.
 L'inguine era oltrepassato, la lappata continuava minacciosa a pochi
    centimetri dall'anello di congiunzione uomo-donna. Essendo l'anello ancora
    inutilizzabile, decisi d'agire. Ghermì il portacenere d'alabastro e lo
    sbattei sul capo della povera divina creatura. Meglio un capo rotto che una
    Caporetto. Cadde. Col tacco a spillo bucò il materasso ad acqua. La tzunami
    che si generò mi portò con se discendendo come un salmone le scale fino a
    pian terreno urlando ai miei amici 'Fuggiamooooo!'. Giuseppe con le brache
    in mano scattò abituato alle battaglie, rubando un servizio di posate in
    argento e violentando una dama ottuagenaria consenziente, Andy scattò solo
    dopo avere fatto esplodere la madre di tutte le miccette che intonacò le
    pareti a detta dei convitati in un modo magistralmente Post Atomico, Alvaro
    attese qualche secondo prima di terminare la pernacchia no limits, e tutti
    assieme nel tripudio universale ci demmo a gambe.
 "Ecco che corso mi ricorda: Corso Garibaldi" esplose il Principe
    Gustavo da Squagliano prima di essere abbracciato dal corpo un po' floscio
    di una stanga venuta giù con la piena.
 Tale era l'eccitazione raggiunta che la festa
    terminò solo dopo l'arrivo della polizia. Ormai in fuga in macchina, fummo raggiunti dalla
    telefonata di Bill Gates, che si era liberato e ci invitava ad una festa di
    ingegneri della Microsoft.Accettammo. Andy accelerò.
 Si andava a divertirci da matti.
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