Marta Sulis

vivo nella provincia di Roma. La lettera che vi mando fa parte in realtà di un romanzo che sto scrivendo (per ora sono circa 130 pg), una sorta di saga familiare un po' stravagante. Il nome Sibilla l'ho scelto come omaggio a Sibilla Aleramo, scrittrice che mi ha molto ispirato.

 

LA TV MAGICA

"Hai visto ieri pomeriggio l'ultimo episodio delle Winners?" disse Ania a Giorgi. "sono andate a fare shopping per le vie del centro della loro megacity e poi, a casa di Orchidea, hanno passato il pomeriggio a provarsi gli abiti nuovi e a scambiarseli. Che figo! Poi Iris è andata dal coiffeur e si è fatta fare i capelli azzurro cielo con delle ciocche fucsia ed è diventata la più bella delle Winners!"
Giorgi la guardava con stupore: chi erano queste fantastiche Winners? I capelli color del cielo e qualche ciocca fucsia dovevano essere davvero belli pensò.
Valerio stava giocando a pallone nel campo sportivo della scuola con i suoi compagni. "Dai Vale, facci un tiro alla Menfis!" gli gridarono. "Alla chi?" urlò sorpreso. "Alla Menfis, Vale! Forza!" " ma chi è questo Menfis?!" si domandò perplesso.
In un'altra classe della stessa scuola era l'ora delle attività integrative. Oggi si faceva teatro. Maschi e femmine provavano la recita di fine anno. Mattia si voltò verso Jacopo esclamando:" Che pizza queste prove! Mettiti davanti a me, coprimi che io mi faccio una partita col mio game-boy." "che partita?" " A Tekken 27, è fichissimo. Pensa che ci sono 79 mosse per distruggere l'avversario, 53 personaggi tutti diversi, ma io gioco sempre con Erkin il disintegratore: con la mossa mortale stende, fra schizzi di sangue che sembrano proprio veri, pure Ursus e, se sei veloce, puoi anche staccargli la testa!"
Jacopo lo guardava allibito come se avesse parlato in una lingua sconosciuta di cose lontane ed incomprensibili.
Il trillo allegro della campanella riecheggiò in tutto lo stabile della scuola annunciando il termine delle lezioni. Gli alunni, zaini in spalla, si riversarono correndo nel bel giardino. Fuori dai cancelli le mamme ed i papà aspettavano pazienti.
Iacopo, Valerio e Giorgi abbracciarono la mamma e montarono in macchina. "Levati! Oggi toccava a me stare davanti!" esclamò Valerio battendo il suo zaino sulla testa del fratello maggiore.
"Buoni bambini, oggi è il turno di Giorgi e voi maschietti sedetevi dietro ed allacciatevi la cintura." Rispose morbida la mamma, mentre si sistemava al volante e metteva in moto il loro vecchio macinino.
Dopo un'ora di traffico e qualche altra lite fraterna finalmente si era a casa. Era un appartamento al sesto piano di un palazzo in periferia giallo con i balconi verde mela. Di fronte c'era un altro stabile grigio e bordeaux e, ai lati due casone, una azzurra dal tetto rosso ed una rosa dal tetto giallo. A guardarlo dall'alto era un grande quadrato variopinto, con al centro un bel cortile pavimentato con piccole aiuole verdi sparse qua e là, che formava un isolato.
Pochi minuti più tardi sulla tavola apparecchiata - perché noi mangiamo sempre con la tavola apparecchiata mamma? Le mie amiche possono mangiare davanti alla televisione mentre guardano i loro programmi preferiti!- la mamma versò nei piatti una profumatissima e fumante minestra di succulenti verdure con una montagna di parmigiano sopra e circondata da un ruscello d'olio d'oliva. - perché mamma noi non possiamo pranzare con le patatine fritte e gli hamburger come i miei amici? - "Vai a mettere in camera il camion Jacopo, lo sai che a tavola non si gioca!" "Uffa mamma, ma Mattia può giocare col suo game-boy anche mentre mangia!"
Ma a casa di Giorgi, Jacopo e Valerio non c'era la televisione e neppure il game-boy. Si ascoltava la musica che proveniva da un vecchio stereo di famiglia o dal computer. I tre fratelli in realtà non ne avevano mai sentito la mancanza perché si divertivano un mondo a giocare nel cortile comune assieme ai loro amici a palla, a corda e poi a nascondino e a rincorrersi. Quando erano in tanti si poteva fare pure palla prigioniera, si poteva giocare agli indiani e ai cowboys , alle belle statuine e ad uno due tre stella. Nei giochi di cortile i tre bambini erano bravissimi ed anche a scuola svettavano sugli altri coetanei. Quando era l'ora della ricreazione infatti erano i più richiesti perché avevano sempre un'idea brillante per giocare, ed erano i più creativi ed ingegnosi. Ma i loro compagni di giochi conoscevano un mondo a loro sconosciuto quello della tv. Nomi, personaggi ed avventure che loro potevano solo immaginare. Già immaginare …
Fu così che una sera Giorgi, Jacopo e Valerio decisero di salire sulla terrazza condominiale per ascoltare la tv delle case degli altri. Se non potevano vederla avrebbero potuto almeno ascoltarla e non essere completamente digiuni sull'argomento, il giorno seguente a scuola con i loro compagni.
Dalla casa rosa affianco un aspirapolvere acceso faceva un gran fracasso.
"Eih, Vale! Senti anche tu ciò che sento io? È un'astronave! Sta atterrando!" esclamò Jacopo.
Qualche piano più sotto il battito regolare di un martello sul balcone diceva che un papà stava fissando un graticcio per la nuova pianta della mamma.
"E questi sono i passi degli alieni che sono atterrati! Devono essere molto grandi e pesanti e portano delle specie di scarpe di chissà quale metallo alieno. Deve essere proprio bella la tv!" Sospirò con invidia Valerio.
"Ma no! È che stanno portando la loro enorme sfera magica sulla terra come regalo a noi terrestri!" lo interruppe Jacopo.
Dal balcone dell'ultimo piano della casa azzurra cadeva in un grande scroscio una notevole quantità d'acqua, forse stavano innaffiando o forse stavano lavando il pavimento con un tubo.
Giorgi disse la sua:"Credo che la sfera si sia rotta ed ora tutto il liquido magico contenuto si stà riversando sul palazzo sul quale sono atterrati. Sicuramente lo sta ricoprendo per intero!"
"Certo e lo sta trasformando come la casa di Hansel e Gretel tutto di zucchero e cioccolata con canditi e dolci vari sopra le finestre…"intervenne Valerio.
Dal palazzo di fronte si sentirono i vagiti di un neonato poi la ninna nanna di una mamma premurosa spense il pianto:
"Ninna nanna ninna oh,
questo bimbo a chi lo do,
non lo do proprio a nessuno,
me lo tengo tutto per me.
Ninna nanna ninna oh,
questo bimbo dorme un po'.
Dormi dormi amore mio,
dormi tu che dormo anch'io.
Dormi dormi amore bello,
dormi sereno nel tuo bel castello.
Dormi amore fai la nanna,
tesorino della mamma."
Ma le parole arrivavano confuse, mischiate e fuse fra loro in una sorta di nenia sconosciuta misteriosa; la melodia al contrario filtrava chiara e limpida.
"Ascoltate! - fece Giorgi - questo è il capo degli alieni che sta trasformando il pianto dei bambini in canto! È meraviglioso! Non ci saranno più bambini che soffrono!"
I tre ragazzini soddisfatti scesero a casa, salutarono affettuosamente i genitori e se ne andarono a dormire sogni di alieni e navi spaziali, canti fantastici e musiche soavi.
L'indomani mattina affrontarono i compagni di scuola più sicuri, certi di poter partecipare anche loro alle conversazioni sugli ultimi episodi dei loro beniamini in tv.
Ma presto si resero conto che ciò che i loro compagni avevano visto non era quello che avevano sentito loro. Gli amici di scuola dei tre fratellini raccontavano gli spasmi di robots sanguinanti e la disperazione di una principessa abbandonata dal suo principe. Valerio fu il primo a farsi avanti:" Ma io veramente ho visto qualcosaltro…" "Ma se tu non ce l'hai la tv!" lo schernirono subito i compagni. "Aspettate e sentite!" prese coraggio Valerio.
Così raccontò loro della nave aliena che era atterrata sul tetto di un palazzo, degli alieni che erano scesi con una enorme sfera trasparente, piena di un liquido magico, come dono di benvenuto per noi terrestri, di come quella magica sfera si era rotta rovesciando il liquido su tutto il palazzo e trasformandolo in una reggia di zucchero e cioccolata, con le finestre tempestate di canditi, meringhe e frutta secca, ma senza streghe cattive. Proseguì il racconto Giorgi che aveva acquistato sicurezza, visto che tutti i compagni erano rimasti in silenzio ed a bocca aperta a sentire il racconto stupefacente di Valerio. Giorgi raccontò di come il capo degli alieni, sceso dall'astronave trasformò in un battibaleno il pianto di tutti i bambini in un canto magico e soave, cancellando, come con una spugna, tutte le sofferenze dei bimbi del mondo.
I compagni ,che si erano radunati in circolo attorno a loro, erano ammirati ed un po' invidiosi di ciò che i tre fratellini avevano visto nella loro nuova tv.
I giorni seguenti i tre proseguirono i loro appuntamenti sulla terrazza condominiale con la loro tv magica. L'indomani mattina raccontavano ai loro compagni avventure incredibili, fatte di draghi, di orchi, di principesse e di fate, di streghe e di bambini. Erano sempre storie nuovissime nelle quali succedevano ormai cose molto più affascinanti di quelle che accadevano nelle tv degli altri compagni di scuola. Così un bel giorno i compagni di scuola di Giorgi, Valerio e Jacopo chiesero se era possibile andare a casa loro per vedere la loro tv che trasmetteva le storie più avvincenti che avessero mai sentito. Dopo un primo sguardo imbarazzato fra loro i tre fratelli decisero che potevano anche portarli sulla loro terrazza. In fondo scoprire che le avventure che raccontavano ogni mattina era frutto della loro fantasia non era un'onta, ma motivo di soddisfazione e fierezza. I compagni andarono quella sera stessa. Dopo una salutare cena a base di piselli verdi, carote e uova sode salirono veloci, spinti dalla curiosità, le scale che portavano in terrazza e quando vi furono sopra cercarono invano l'elettrodomestico. Valerio, Giorgi e Jacopo ridevano complici a crepapelle. I compagni li guardarono stupiti ed interdetti." Ma dove la tenete questa tv?" chiesero. "QUIIII!" urlarono in coro i fratelli allargando le braccia e cominciando a piroettare su se stessi indicando tutto ciò che c'era attorno. "QUIIIII!" ripeterono indicando la loro testa e continuando a piroettare felici. I compagni di scuola guardarono i tre ragazzini prima sconcertati, credendo ad uno scherzo, poi, come illuminati dall'idea di una tv fatta di fantasia ed invenzione, con rispetto ed ammirazione. Tutti scoppiarono a ridere, poi, col tramonto alle spalle, si zittirono per cominciare una nuova avventura della loro magica tv.

 

LA RADIO DI SOFIA

 

Era la fine di settembre. Le colline che circondavano la casa di Matilde, rotonde, comode, si tingevano qua e là di rosso formando delle zone d’ombra sul verde smeraldo predominante. L’afa e l’arsura delle piante era oramai un ricordo benchè fresco. La nuova casa era finalmente pronta. Dopo il frenetico lavoro di tutto luglio ed agosto, con l’aiuto di tutti si era giunti alla fine dell’opera. Mentre gli operai si occupavano di ripulire l’appartamento dai residui di calcinacci e quant’altro, Matilde si dedicò all’oneroso compito di preparare gli scatoloni. Non immaginava di essere riuscita ad accumulare così tante cose in una casa tanto piccola come la loro. In ogni angolo, nel fondo di ogni cassetto, sopra ogni ripiano di tutti i mobili c’erano stipate una quantità infinita di oggetti, di paccottiglia, di documenti; brandelli di storia personale, di affetti perduti, di avventure dimenticate e riposte proprio come quegli stessi oggetti. Anche un accendino rotto, piuttosto che un pettine sdentato, raccontava un momento importante della sua vita o di una persona che le era rimasta nel cuore. Per questo motivo Matilde difficilmente si distaccava da qualunque oggetto: anche il più inutile od insignificante, se vecchio, aveva una storia da raccontare e quindi un valore intrinseco.

Stava svuotando un cassetto del suo comodino quando le finirono fra le mani le fotografie di una manifestazione sulla pace di quando lei aveva sette otto anni. Stretta nel suo montgomery verde, con il faccino soddisfatto ed interrogativo allo stesso tempo, un cartello con su scritto “noi bimbi vogliamo la pace” al collo, fissava l’obbiettivo nelle mani della sua mamma. Si sedette sul suo talamo nuziale e le sfogliò una per una. I ricordi le riaffiorarono nella mente come una cascata fresca e dirompente.

Andava a scuola in un paese vicino a quello dove abitavano, dalle suore. Nel suo paese la scuola pubblica aveva le porte che cadevano ed i soffitti che crollavano una volta al mese. Sofia accompagnava, con la sua fatiscente cinquecento, le figlie a scuola tutti i giorni e tutti i pomeriggi le andava a prendere. Cosa facesse la madre in quelle ore di solitudine Matilde non se lo era mai chiesto e non se lo chiese mai, se non molti anni più tardi, ormai adulta. Quando Eugenia e Matilde tornavano da scuola Sofia entrava in cucina, accendeva la radio e preparava loro la merenda. Ma la radio di Sofia non dava solo musica: parlava di terrorismo, di non-violenza, di femminismo, di antinucleare, di diritti civili, di fame nel mondo, di caccia e diritti degli animali, di coscienza civica e civile, di obiezione di coscienza e di diritto all’aborto. Così, mentre Eugenia beveva le sue infinite tazzone di latte, suo unico alimento fino ai suoi dieci anni, e Matilde sgranocchiava gli adorati panini preparatigli dalla mamma, ascoltavano le notizie dal mondo. Era difficile che non capissero gli argomenti di cui si parlava perchè venivano sempre affrontati in modo semplice e comprensibile. Se poi qualche argomento non era troppo chiaro c’era sempre la mamma pronta a dare le spiegazioni necessarie. Erano anni frenetici in cui la politica era vissuta attivamente, con profondo senso di responsabilità da tutta la generazione di ex sessantottini e di neo settantasettini. Erano gli anni settanta.

In casa non c’era il telefono, troppo costoso per le povere finanze della famiglia, e Matilde non capì mai come fece Sofia a creare e mantenere un contatto con le organizzazioni extraparlamentari dell’epoca. Un pomeriggio Sofia andò a prendere le figlie con un muso lungo fino a terra. Era tesa, cupa, in completa agitazione. Non era la mamma che Eugenia e Matilde conoscevano, sempre allegra e giocherellona. Eugenia le chiese:”mamma cosa ti è successo? Non ti senti tanto bene?” Sofia guardò amorevolmente le figlie, poi voltò lo sguardo oltre il parabrezza dell’automobile, nel vuoto, tirò un sospiro profondo e girandosi di nuovo verso le due bambine:” Oggi ragazze è successa una cosa molto brutta. Sapete la radio che ascolta spesso la mamma? Ecco oggi sono entrati dei delinquenti, hanno picchiato le donne che vi stavano lavorando, hanno svuotato delle taniche di benzina in terra ed hanno appiccato il fuoco... con quelle donne dentro!” “Perchè l’hanno fatto mamma? Chi sono queste persone cattive?” “Vedi tesoro, ci sono persone che hanno paura del potere che hanno le parole e, siccome non sanno difendersi o rispondere con le stesse armi, le parole dico, usano la forza per zittire gli altri.. comunque per fortuna sono corsi subito a salvarle perchè erano ancora in onda! Altrimenti sarebbe successo lo stesso che a quelle povere operaie di quella fabbrica per cui ora si festeggia l’otto marzo nel mondo.” “Cosa è successo? Quali operaie mamma?” chiese allarmata Matilde. “tanti e tanti anni fa c’erano delle operaie che lavoravano in una fabbrica in condizioni disumane. Un giorno per protestare si chiusero dentro e scioperarono. Per tutta risposta il padrone dette fuoco alla fabbrica con loro dentro, amore mio. Morirono tutte. È per non dimenticare eroine come quelle che si festeggia oggi l’otto marzo.” “Ecco perchè si chiama festa della donna!” esordì allegramente Eugenia. “Certo tesoro” le rispose la madre. Quella fu forse la prima volta che Matilde sentì la parola –sciopero- e ne conobbe il significato. La tristezza in qualche modo si era allontanata e, almeno per quel giorno, tutto proseguì come sempre.

Qualche tempo più tardi però accadde di nuovo. Sembrava un pomeriggio come gli altri, Matilde ed Eugenia giocavano e litigavano nella loro stanza, correndo ogni tanto in cucina da Sofia a chiedere viveri, acqua o semplicemente coccole. Al contrario del solito Sofia dedicava loro sempre meno attenzioni, distratta da ciò che la radio diceva: “Aspetta amore, un momento solo...shh... fammi sentire...” dalla scatola nera sulla credenza con l’antenna d’acciaio: “ Pronto? ....Compagni siamo pronti a fare da intermediari con la Democrazia Cristiana.... fate le vostre richieste... le trattative, si... ma come sta Moro? Mangia?... ah, avete un comunicato?... un momento ... non so se possiamo leggerlo in diretta ...aspetta... non attaccare...” Doveva essere successo qualcosa di veramente grosso pensava Matilde scrutando il volto corrucciato ed attento della madre. “Mamma chi è Moro?” “è un deputato della democrazia cristiana che è stato rapito. La radio sta cercando di farlo liberare” “E ci riescono mamma?” “Amore non si sa, per il momento parlano, ma bisogna vedere se entrambi le parti, rapitori e colleghi di partito di Moro, si mettono d’accordo.” “Ho capito.” Matilde tornò a giocare con la sorella. In realtà la preoccupazione più grande della ragazzina era lo stato d’animo della madre che si rifletteva nella sua anima. A quell’età la sua interiorità acerba non le permetteva di possedere stati d’animo molto indipendenti; viveva di riflesso quelli della persona affettivamente a lei più vicina. Se la mamma era tormentata Matilde viveva i tormenti della mamma come se fossero stati i suoi, senza comprenderne le ragioni, semplicemente subendo le ansie e le tristezze, assimilando il fluido angoscioso, patendolo, senza possedere le armi per smontarlo o farlo proprio. Trascorsero i giorni e la radio continuava a trasmettere notizie sulle trattative impossibili fra i brigatisti ed il governo, e le estenuanti ricerche del prigioniero. Una frase rimbombava nella testa di Matilde in quei giorni di fuoco:”Nessuna trattativa. Lo stato non tratta con i fuori legge.” “mamma, questo significa che Moro morirà?” “Credo di si, tesoro.” “Ma è una cosa terribile!” insorse la bambina. “è vero, gioia, ma gli interessi politici, personali ed economici per queste persone sono più forti dell’amore e del rispetto per la vita altrui.”

La famiglia di Matilde ed Eugenia abitava in un paese alle porte capitale e, considerate le difficoltà economiche, raramente capitava di andare in città. Eppure in uno di quei giorni Sofia con le sue due figlie andò a trovare una sua vecchia zia, Ginger, ormai malata e vecchia, che viveva in una delle più belle zone del capoluogo. Le bimbe festanti montarono in auto felici ed elettrizzate dalla passeggiata fuori dalla routine. Una volta raggiunta la città però notarono un traffico frenetico di volanti della polizia ed ambulanze a sirene spiegate, poliziotti e carabinieri, con i fucili spianati ad altezza d’uomo, ad ogni angolo della strada, ed i volti dei passanti timorosi e tristi. Sembrava quasi di vivere in uno stato di polizia.  Una volta scesa dall’automobile Sofia strinse le figlie a se, guardandosi intorno guardinga, le prese forte per mano e si diresse velocemente verso il  portone del palazzo in cui abitava Ginger. “mamma cosa succede?” chiesero le ragazzine. “Hanno trovato il cadavere di Moro...” rispose con voce rassegnata. “Vuol dire che è morto, mamma?” “Purtroppo si, Eugenia. Non sono riusciti a trovare un accordo ...”. Poi, quasi fra sé e sé “... forse non hanno voluto, l’hanno ammazzato...”. “Ma se è morto perché c’è tanta polizia in giro?” “Credo perché stanno cercando i colpevoli, ma molti di loro sono solo dei ragazzini armati e mamma ha paura che a qualcuno, spaventato, scappi un colpo d’arma da fuoco per sbaglio. Quindi datemi la mano forte forte e non lasciatela fino a che non saremo nel portone. Capito?” “Si, mamma” risposero in coro le figlie alquanto intimorite.

Il corpo di Aldo Moro era stato ritrovato in via Delle Botteghe Oscure nel portabagagli di un’autovettura parcheggiata. Fu l’inizio degli anni di piombo, di un periodo oscuro fatto di legge Cossiga e dei suoi morti, di giovani poliziotti maledetti e martoriati dai sensi di colpa, di morti ammazzati, di manifestazioni e di rose offerte alle forze dell’ordine in segno di pace, di attentati e posti di blocco, di brigate rosse e terrorismo nero; di stazioni ferroviarie saltate, piazze intere saltate, rapimenti, grandi stragi e grandi segreti di stato; di strane connivenze fra mafia e terrorismo e di grandi lotte di piazza, di sindacati e la nascita di forze extraparlamentari. Matilde imparò il significato delle parole  lacrimogeno,  carica delle forze dell’ordine,  poliziotto infiltrato,  rivolta studentesca, referendum, brigatista, terrorista, anticlericale, femminismo, suffraggette (come se fosse un vocabolo solamente plurale!), aborto, divorzio, cellulare, tazzebau, ciclostile, volantino, megafono e tante altre ancora. Sofia canticchiava in casa, fra una faccenda domestica e l’altra, canzoncine e filastrocche politicizzate, e la radio mandava i motivi di De Andrè, Gaber e Guccini e qualche aria popolare.

Raramente parteciparono alle innumerevoli manifestazioni di piazza del periodo, ma in quelle occasioni tutti e quattro (incluso il padre adottivo) si munivano di cartelli che inventavano e realizzavano insieme, dall’acquisto dei cartoncini alla formulazione delle frasi da scriverci sopra. Alla fine dell’opera le due bambine erano sempre sicure di aver scritto sui loro cartelli ciò che loro stesse credevano più giusto. Due soltanto erano i motivi ammissibili per partecipare ad una manifestazione con le bimbe: la pace ed il nucleare, ai quali, qualche anno più tardi se ne aggiunse un terzo: la caccia.

 

Trascorso qualche anno dalla morte di Aldo Moro la radio di Sofia non aveva mai smesso di trasmettere nonostante i continui allarmi in tal senso per mancanza di fondi. Matilde aveva ormai quasi dodici anni. Le molestie del padre erano già iniziate, ma la sua freschezza di bambina era ancora intatta. Amava giocare  con la sorella e gli altri bambini nel cortile di casa con la bicicletta, con la corda, a raccogliere i pinoli ed a tutti quei giochi oramai ritenuti antichi dai moderni fanciulli. Era iniziata l’estate e la scuola era finita da qualche giorno. Accaldata ed affamata era salita in casa con Eugenia per il pranzo, richiamata dalla voce suadente della madre. Dopo essersi sciacquate le mani in bagno, lasciando come di consueto un lago per terra,  le due sorelle corsero a sedersi a tavola. La radio di Sofia quel giorno parlava di fame nel mondo. Raccontava che c’erano milioni di bambini che stavano morendo di fame in luoghi lontani  mentre nei paesi ricchi come il loro la gente buttava il mangiare. Matilde ed Eugenia questo lo sapevano già perchè a casa non si poteva mai lasciare niente nel piatto proprio perchè ci sono bambini che muoiono di fame. Ma sentirlo alla radio così chiaramente, spiegato nei dettagli geografici e sociali, rendeva tutto molto più reale. Non si trattava di un trucco della mamma per farle mangiare, era proprio vero! La cosa peggiore era che i politici non facevano niente per aiutare quella povera gente. Mandavano una minima parte di aiuti sotto forma di cibo, ma nulla per renderli autonomi ed indipendenti, capaci di bastare a loro stessi con il loro proprio lavoro. Questo diceva la radio di Sofia. Mille e trecento sindaci di tutto il paese si erano riuniti per proporre una legge al parlamento che desse gli strumenti a quelle popolazioni di camminare con le proprie gambe, di imparare mestieri e fornirgli attrezzature e mezzi necessari a questo scopo. Per ottenere l’approvazione di questa legge molte persone avevano iniziato uno sciopero della fame. Ogni scioperante aveva scritto una  lettera ad un parlamentare richiamandolo al proprio senso civile ed alla propria responsabilità politica. A Matilde parve un’idea grandiosa. “mamma anch’io voglio fare lo sciopero della fame!” “ma tu sei troppo piccola tesoro! Non puoi!” rispose Sofia sorridendo a metà fra lo stupore e la soddisfazione che sua figlia avesse già una così forte coscienza sociale.

“Mamma tanto io ho già deciso. Se tu non vuoi dirglielo pazienza... ma se tu mi metterai davanti la minestra io non la mangerò lo stesso. Credo che se tu non glielo dirai il mio sforzo sarà inutile. Tanto vale che gli telefoni e gli dici che anch’io faccio lo sciopero della fame!” Eh già, da qualche mese infatti a casa di Sofia era comparso il telefono. Matilde dovette aspettare la sera che la mamma ne parlasse con il padre adottivo per divenire ufficialmente una scioperante della fame. L’indomani mattina Matilde, con la mamma, telefonò alla radio e comunicò la sua scelta, poi scrisse la sua letterina alla parlamentare che le avevano affidato, la imbustò e la spedì prontamente. Il pomeriggio seguente (poi dicono che le poste non funzionano!) squillò il telefono. Matilde era nella sua camera a giocare con la sorella. Sentì Sofia che rispondeva e poi i suoi passi verso la loro stanza. “Matilde è per te è la deputata a cui hai scritto che vuole parlarti. Temo che non creda che hai dodici anni..” sorrise. “pronto?.... si?... noo! Ho veramente dodici anni! Certo che ho scelto da sola! Mamma non voleva ma io le ho detto che non avrei mangiato comunque!... va bene, domani? Da lei in parlamento? Si, d’accordo le passo la mamma.”  

Si sentiva d’un tratto importante, trattata come una perla rara per aver fatto qualcosa di assolutamente naturale. Erano gli altri che non facevano il proprio dovere! Il giorno seguente si recò in parlamento con Sofia, incontrò la deputata incredula e tanti altri suoi colleghi che tentarono di farla desistere, ma fu tutto inutile. Scese le scale del palazzo e percorse il grande spiazzale antistante dove l’attendeva Sofia. Le corse incontro e si chiusero in un forte abbraccio. Matilde aveva scoperto che lì dentro si faceva una politica diversa da quella che conosceva lei fatta di principi e valori, di sacrifici e di senso del dovere. In quelle stanze si giocava a convincere il prossimo più di ogni altra cosa.

Si sorprese scoprendo che si poteva stare bene anche senza mangiare. Certo un po’ di languorino ogni tanto veniva su ma era sufficiente mettersi a giocare per dimenticarsene e non sentirlo più. La sua “missione” era più importante di quello stupido stimolo a mangiare. Era come se il suo compito la rendesse più distante dal suo corpo e la responsabilità del ruolo che si era scelta la rendesse immune da ogni atto prettamente terreno. Certo quei cappuccini non le andavano proprio giù: il latte non lo beveva da anni e tutto quello zucchero che la mamma le metteva dentro li rendevano melensi fino al vomito. Li tracannava velocemente e poi correva a lavarsi i denti per cancellare subito quel sapore terribile e respingere i conati irrefrenabili.

Era il terzo giorno di digiuno. Il pomeriggio aveva portato con se una brezza gentile che sollevava l’afa e raccoglieva i profumi degli orti vicini. Matilde era china sulla terra battuta a schiacciare pinoli con i suoi compagni di giochi.

Senza pensare ne aperse uno sfogliò il frutto dalla pellicola che lo avvolgeva e lo mise in bocca. Un urlo tremendo le sgorgò dalle viscere, un sobbalzo e corse più veloce che poteva su per le scale di casa dalla madre. “mamma!” dopo una lunga e colpevole pausa “Ho mangiato!” “Cosa tesoro?” “Ho mangiato un pinolo! Mi ero dimenticata! E adesso?  Non vale più lo sciopero della fame?” Sofia rise ed abbracciò la figlia dallo sguardo terrorizzato per non aver mantenuto la sua parola. “Non preoccuparti, non sarà un pinolo a vanificare i tuoi sforzi. Vai a giocare e non mangiarne più.” Rincuorata dalle parole materne Matilde ritornò a giocare.

Qualche giorno più tardi fu approvata la legge dei “mille e trecento sindaci” e lo sciopero della fame si concluse, anche per Matilde che festeggiò con una ricca insalata di riso preparata appositamente per festeggiare l’occasione.

La radio di Sofia in quei giorni parlò di Matilde, della sua giovane età e della sua precoce maturità, gratificando il suo profondo amor proprio.

Qualche anno più tardi ci fu il trasloco in città di tutta la famiglia e, nella nuova casa, la radio di Sofia non arrivò mai, soppiantata definitivamente dalla tv e da una vita decisamente più borghese.

 

Sibilla

Roma, 11 agosto 2002

Amore mio, prima che tu nascessi non avevo idea del bene che ti avrei voluto e della difficoltà che avrei incontrato a pensare ad altro oltre alla tua serenità ed al tuo benessere. Sei bellissima. Intelligente. Ogni volta che mi guardi e mi sorridi mi si squarcia il petto d’amore. Ogni tua scoperta, ogni cosa che impari è per me motivo di enorme orgoglio e soddisfazione. Avrei voluto per te un mondo migliore: che banalità! Spero di poterti essere vicina, così come lo sono ora, per tutta la vita.

Ti auguro di incontrare un giorno un uomo come tuo padre che ti sappia amare e capire come lui ha fatto con me. Che sappia prenderti per quello che sei, che metta in luce i tuoi pregi che saranno innumerevoli e nasconda agli altri i tuoi difetti (ne avrai!), ma nella vostra intimità sappia accettarli ed amarli.

Ti auguro di vivere con ironia tutto ciò che la vita ti proporrà nel bene e nel male perché, tesoro mio, l’IRONIA è l’arma più potente con cui possiamo combattere la sofferenza e le incomprensioni.

Non lasciarti mai chiudere in gabbia anche se a volte sarà dorata ed affascinante, non farti ingannare: la Libertà è un bene prezioso per cui vale la pena combattere e sacrificarsi. Usa sempre la tua testa anche se sarà più faticoso ed a volte crederai di non farcela. Se questo ti farà sentire diversa dagli altri sappi che in quei momenti sarai diversa perchè migliore.. Viviamo purtroppo in un mondo in cui è “consigliata” l’omologazione e chiunque la sfugga, usando la propria mente liberamente, viene additato come diverso e pericoloso. Il potere della mente in effetti è straordinario e può permetterti di compiere grandi cose e di realizzare grandi sogni.

La cultura è l’elemento fondamentale per ottenere la libertà. Senza la conoscenza non hai strumenti per avere coscienza del presente e capirne i suoi meccanismi. La cultura ti permette di essere allo stesso livello con chiunque. Ti permette di usare il linguaggio dei potenti con i potenti, quello degli umili con gli umili, quello colto con gli intellettuali. Ti permette, insomma, di capire ed essere capita. Più sarà grande la tua cultura e più sarà universale la tua lingua. Potrai poi riconoscere più facilmente r inganni e celate restrizioni. Inoltre potrai a tua volta imparare l’arte dell’umiltà che è strettamente legata alla conoscenza: più ne avrai più sarai umile.

I consigli è facile trovarli, ma i buoni consigli sono davvero pochi e vengono sempre da chi ti vuole bene. La vita, amore mio, non è giusta e lo scoprirai vivendo. L’importante è che tu ne sia consapevole e non ti aspetti che il destino faccia giustizia per te. Qualunque cosa tu decida di fare nella vita dedicaci anima e corpo e vedrai che riuscirai.

Quando ti troverai in difficoltà, quando ti sembrerà di non riuscire a trovare una soluzione, quando ti sentirai confusa, intrappolata sul fondo del bicchiere prova a seguire questo consiglio:

Sali sulla cima della collina e guarda il panorama che si stende sotto di te. Vedrai ogni cosa più piccola ed incastonata fra le altre. Vedrai qual è il posto giusto per ognuna di loro. Anche il tuo problema sarà li a farsi guardare con occhi diversi. Ti accorgerai che, visto dall’alto, ti sarà più facile ridimensionarlo e ricollocarlo nella giusta posizione per poi affrontarlo nel modo migliore. Se imparerai ad utilizzare questo stratagemma anche per le cose più banali saprai dare la giusta importanza alle cose della vita.

La discriminazione è una gran brutta parola, tesoro mio. In qualunque sua espressione, qualunque sia il suo oggetto è la forma più subdola della debolezza umana. A volte si nasconde dietro a belle parole ed a intenti apparentemente nobili, ma non lasciarti mai ingannare.. spesso i primi fautori sono loro stessi degli emarginati ed usano questo atteggiamento per sentirsi appartenenti al “clan”dei vincenti. Ricorda: chiunque, anche il peggior essere vivente, ha gli stessi diritti di chiunque altro.

Ci saranno momenti in cui mi odierai, in cui vorrai scappare lontano da me e da tuo padre e momenti in cui te ne vergognerai. Non preoccuparti: nel nostro ruolo è previsto comprenderli ed accettarli amorevolmente.

Accetta con ottimismo ogni novità e cerca in ognuna il lato positivo, anche se non tutte le nuove sono buone nuove. E’ importante credere, avere buone aspettative, perché ciò accada. Se sarai pessimista le brutture della vita ti verranno incontro. Se saprai trovare il buono che ogni cosa nasconde sarai sulla buona strada della saggezza. Così funzionano anche le persone: se saprai trovare in ciascuno almeno una qualità ciascuno ti regalerà il buono che ha in sé. Mille altre cose vorrei dirti, ma non saranno mai abbastanza.

Non ho molto da insegnarti amore mio, ma tutto ciò che ho imparato vivendo cercherò di trasmetterlo con l’amore infinito che ho per te.

Questo vuole solo essere un piccolo promemoria sugli insegnamenti principali che vorrei darti e che, quando non ci sarò più, potrai sfogliare tutte le volte che vorrai chiedermi un consiglio .

 

Con un mondo di bene

La Tua Mamma