Giuseppe Marziano

nato a Catania, Architetto, scrive ormai da parecchi anni, ha partecipato a parecchi concorsi ottenendo buoni piazzamenti ed altri riconoscimenti. Presente in parecchie Antologie, alcune dell’Associazione Culturale “il Borghetto” diretta da Mauro Scarpelli, oltre a pubblicazioni sulla rivista culturale OLTRE a cura della stessa Associazione, in collaborazione all’Università di Siena. Altri componimenti sono presenti in parecchie riviste del genere poetico. Fa parte di parecchi gruppi culturali, qualche anno fa cura la pubblicazione di un volume di poesie dal titolo “Poeti della terra di Jacopo” in collaborazione con Salvo Cultrera e il Patio dell’Arte. Assieme al gruppo “le cicogne” cura ed edita il foglio omonimo di poesie. Presente nelle antologie di Akkuaria curate da Vera Ambra. Presente nelle pubblicazioni in occasione di San Valentino ormai alla V edizione. Ha pubblicato in proprio “Appunti d’un viaggio”.

Mentre la mano sottile si infila nella buca della posta, la signora non sa di essere osservata, il caldo torrido spezza il fiato, ti fa sudare, il 70% dell'acqua del tuo corpo esce fuori, t'asciughi, neanche per idea.
Osservo fuori i vetri azzurrati pensando cosa scrivere e riflettendo su ciò che avevo pensato.
Mi capita spesso di dimenticare pensieri e parole che un attimo prima davo per scontate e che avrei, pensavo, impresso sulla carta bianca del foglio del computer.
Mille storie e mille pensieri guardando fuori dalla finestra.
Un giovane, un po' grasso avanza, mentre le particelle che lo compongono si muovono e i legami devono essere tanto più forti quanto più forte è il movimento oscillatorio. Potrebbe scollarsi all'improvviso e disperdersi nell'aria come se non fosse mai esistito, che strana legge la fisica. Non vedremmo budella a terra, braccia che rotolano, non vedremmo nulla, soltanto atomi che si dissolvono. Dicevo.
Avanza nella strada fatta di mattonelle di cemento che inonda l'aria di caldo, e mentre fa la fila allo sportello guarda la signora che si è seduta aspettando il suo turno che lo precederà nella corsa al pagamento, penso a mio padre. Se devi dare soldi allo Stato daglieli soltanto all'ultimo, se li godranno di meno.
Eppure in questa fine d'agosto così calda, qualcuno aveva detto che dopo il venti si sarebbe buttato il caldo, forse aveva ragione, qualcuno pensa a pagare le bollette, strano.
Dal cancello che è sempre sbarrato continuano ad entrare persone.
Un meccanico, riconosciuto dalla tuta, si spolvera prima di entrare. Pensa così che sia un attimo più decente, non vedendo le macchie di grasso dovute al lavoro che campeggiano il blu cielo della tuta. Sicuramente non appena entrato tutti lo osserveranno, è sporco, addosso, magari il grasso mi macchierà i vestiti, pensa ancora la signora che è seduta per via della schiena e che precederà il signore grasso nella fila. Il meccanico pensa già a cosa dover fare dopo che ha pagato, e già immagina i pezzi che dovrà smontare dalla macchina che il signore in giacca gli ha lasciato per via di un piccolo rumorino. Asciugandosi con l'avambraccio la fronte, prende la bolletta messa nella tasca anteriore della tuta.
Ancora quello che sta davanti non si è sbrigato, l'impiegata dall'altro lato grida attraverso il vetro troppo doppio perché le onde sonore possano attraversarlo. Per fortuna che c'è l'aria condizionata, e lo sguardo si dirige verso il condizionatore per vedere se è acceso.
Ma allora perché sento ancora caldo, forse per la strada, la temperatura di fuori è molto più alta, al sole non si può stare.
Con il casco una ragazza fa la fila più in la,beata lei. Una canotta scollata, le femmine possono metterla, mentre noi dobbiamo stare con la camicia o con la maglietta, e sudiamo dal caldo.
Una bottiglia d'acqua fresca, è questo quello che ci vuole, ma dove prenderla.
Si allontanano tre persone, beate loro hanno finito la fila, due uomini e una donna, due in moto uno in macchina. Meglio se la passano quelli in moto il vento che investe il viso e il corpo, ma alla fine quando scendi dalla moto senti di nuovo caldo. Il vento ha fatto abbassare la tua temperatura, quindi il caldo è inevitabile.
La signora ancora aspetta di parlare con l'impiegata seduta sulla sedia, guardata di malocchio dal signore grasso perché lo precederà.
E nella finta indifferenza del signore grasso che continua a guardarla, la signora tira fuori il fazzoletto e si asciuga il sudore.
Una volta durante un conviviale di famiglia di mia zia, mi ricordo una signora che dal prendisole nero tira fuori uno dei seni e si asciuga il sudore dov'esso appoggia sul torace. La signora anziana in quel prendisole nero, sicuramente il marito era morto o il padre non meno di una ventina di anni fa, ma da noi il nero è d'obbligo, quel movimento lo aveva fatto con tale disinvoltura e nessuno vi aveva posto attenzione. Mi preoccupava in quel momento soltanto una cosa, avrebbe lavato le mani prima di toccare il mangiare?
Neanche i ragazzini sono fuori per la strade a giocare, troppo caldo, le mamme li tengono dentro o li portano al mare, tra un bagno ed un panino con la frittata per i bimbi, ed uno con mortadella e sgombro per i più grandi.
Finalmente la signora si è sbrigata, è zoppicante, non per la tasse pagate, ma perché zoppica di natura.
Ora viene il signore in pantaloncini, per il caldo, lui non zoppica, la signora seduta si prepara perché dopo verrà lei, sempre guardata di malocchio dal signore grasso perché lo precederà.
Si gira indietro per vedere gli altri della fila che soffrono come lui ha sofferto quando era l'ultimo. Si rallegra di essere già così avanti. Ma la paura lo assale, perché?, l'impiegata potrebbe dirgli: "mi spiace non siamo noi che ce ne occupiamo". Ed allora, tutta la fila fatta, la signora anziana seduta che aspetta il suo turno che è prima del mio, il caldo, la puzza, alcune volte, il sudore, tutto inutile. Mezza mattinata per niente, posso rifare un'altra fila?
Assurdo.
Speriamo non accada a me.
Che l'impiegata mi dia tutte le spiegazioni.
Qualche nuvola del cielo ha oscurato i raggi del sole, una specie di buio con le ombre che improvvisamente sono scomparse è calato su questa parte della città.
Non pioverà, difficile in questo periodo, la prossima settimana.
Intanto la fila continua il signore in pantaloncini e maglietta sta per finire ringrazia la signora, si profonde in mille ringraziamenti e saluti.
Impaziente la signora seduta nella sedia aspetta, per un certo senso di rispetto che il signore in pantaloncini si sia allontanato dallo sportello per poter prendere il suo posto e completare la fila, il signore grasso nervosamente aspetta i due e si guarda intorno sperando che nessuno si avveda della sua impazienza nervosa.
Intanto l'ombra diventa sempre meno protesa in avanti, sempre più in linea con i balconi sopra, segno che il sole compie il suo percorso.
La signora ha ormai ritirato la posta, poche buste sembrano, sicuramente qualche bolletta.
Quelle poche nuvole che ci avevano dato sollievo dai raggi del sole, sono passate e i raggi hanno ripreso a battere forte sull'asfalto.
Porca miseria!
A bassa voce il signore grasso.
Quello in pantaloncini ha ripreso a parlare, l'impiegata dal vetro gli ha richiesto indietro le bollette controllando qua e là qualcosa, date, cifre, somme.
Speriamo si sbrighi.
Mentre la signora seduta sulla sedia che aveva appena accennato ad alzarsi ha ripreso posizione comoda smorfiando con la mano e con la bocca, sicuramente qualche parolaccia l'avrà pensata, tirandola al coetaneo che gli ruba del tempo.
Questa fila interminabile mi ha stressato anche a me che non la faccio, che osservo soltanto dall'esterno.
Tutti impazienti, con le bollette in mano che per il caldo si riscaldano e quando li porgi all'impiegata hanno la parte dove i polpastrelli hanno premuto sgualcita, quasi ti vergogni.
Le parabole sono rivolte a sud, si prenderanno lì i canali satellitari, prima o poi dovrò averla anch'io nuove occasioni di informazione.
Sui tetti ancora le vasche cancerogene in eternit, avevano detto di bonificarci da questo materiale.
Quando è stato messo in commercio avevano detto che era il migliore poi si è scoperto, ma sicuramente loro lo sapevano, che rilasciava elementi cancerogeni.
Hanno messo in commercio le vasche "blu" o "grigie" in materiale nuovo, hanno detto che è il migliore.
Il signore adesso si abbassa, cerca di portare la bocca sotto il vetro per farsi sentire, mentre rotea la testa porgendo ora l'orecchio. Aggrotta le sopracciglia, apre la bocca, per una smorfia naturale, lascia intravedere i denti ingialliti dalle sigarette, cerca di capire ed interpretare cosa gli sta dicendo l'impiegata.
Intanto la signora è ancora seduta sulla sedia, impaziente, il bacino mezzo alzato come pronta ad uno scatto felino, il signore grasso sempre più irritato, perché la signora lo precederà.
Intanto le ombre avevano raggiunto un perfetto allineamento con la linea dei balconi segno che il sole compiva la prima metà del suo percorso, e tanto più batteva violentemente sull'asfalto tanto più il caldo sbommicava dalle mattonelle in cemento tanto più il signore grasso sentiva il sudore percorrere la via più breve verso il basso attratto dalla forza di gravità.
Intanto il signore in pantaloncini ora sembrava sottovetro, nessuna speranza attuale.
La macchina ora è completamente sotto il sole, neanche l'aria condizionata potrà raffreddarla in tempi brevi, si suderà senza rimedio.
Finalmente.
Il vecchio si è staccato dal vetro speriamo se ne vada.
Aveva anche lasciato una impronta di sudore sul vetro.
La signora con la natica staccata dalla sedia per poter meglio scattare, di colpo si alza e quasi irritata si dirige verso la signora che stava dall'altro lato del vetro.
Tutto un attimo.
Il signore grasso aveva già smaltito parte dell'irritazione, visto che il primo era andato via, soltanto la signora fra lui e l'impiegata.




2.
Ricominciava la solita trafila, la signora si abbassava sul vetro per poter meglio sentire. Il signore grasso aveva visto che la signora aveva una protesi all'orecchio, bedda mattri, chissà cosa avrebbe capito.
L'impiegata si sgolava e gesticola per far capire alla signora, importi, tasse, soldi comunque da versare.
Fuori faceva sempre più caldo, dalle mattonelle della stradella di accesso si vedeva salire il tipico vapore, segno che il pavimento era ormai rovente.
A Palazzolo durante la festa di S. Paolo a quelli che gli fanno la via, quando il caldo ha riscaldato troppo l'asfalto si bagna la strada per portare sollievo e per evitare fastidiose scottature.
Scusi, alle spalle qualcuno borbottava.
Qualcuno che doveva chiedere una informazione urgente, e magari di quelli che fanno allontanare gli impiegati per andare a prendere chissà cosa.
Feci finta di non sentire, la voce era timida, sicuramente qualcuno che vista la mia indifferenza non avrebbe più parlato.
Scusi.
Invece insistette il ragazzo, dalla voce timida ma dall'aspetto tutt'altro che riservato.
Vestiva di un paio di pantaloni di colore chiaro che si fermavano molto ampi sotto il ginocchio, con una serie di tasche qua e là.
Una maglietta di colore granato, e un percing nel naso.
Più i la il signore grasso scorse la fidanzata.
Anch'ella vestita di un paio di pantaloni stretti che si fermavano sul ginocchio ed una canotta color avorio.
Capelli sciolti sulle spalle neri corvini, in fondo il nero di quella sicilianità arabeggiante che ci contraddistingue, ed occhi anch'essi neri e penetranti.
Ma dal viso solare.
Scusi.
Ancora il giovane con voce ancora timida, doveva domandare, come previsto, una informazione all'impiegata.
Se l'informazione era breve.
Gli spiegai che eravamo tutti li per informazioni o pagamenti vari.
Ma l'insistenza di una micro-informazione lasciava disarmato il signore grasso che dovette, volente o nolente, cedere.
Il ragazzo con aria quasi furtiva si avvicinò allo sportello ed osservando la discussione tra la signora anziana che con scatto felino aveva agguantato il suo posto e l'impiegata che si sgolava, aspettava l'esatto momento in cui inserirsi.
La discussione era serrata un minimo accenno avrebbe fatto saltare gli equilibri verbali, con una picchiata dell'ira della signora alla quale l'impiegata aveva già comunicato l'importo delle tasse da pagare.
Un'attimo.
Avrebbe certamente risposto la signora con i denti serrati e digrignando come una cane.
Ma il ragazzo era paziente, diametralmente opposto al signore grasso che faceva sempre più fatica a non lascia trasparire la sua irrequietezza.
Le file sono tutte stressanti.
Qualche volta trovi qualcuno che accennando al caldo, al tempo, o a problemi personali cerca di parlare, magari non accorgendosi che sta solo infastidendoti.
Cerchi di farglielo capire senza proferire parola, solo con qualche cenno del capo per interrompere lì la discussione, se mai c'era, girandoti magari a vedere un quadro appeso alla parete, o guardando dalla finestra.
Il tempo trascorreva le ombre cambiavano posizione, l'irritazione (anche della pelle) era più alta.
L'altro impiegato nel frattempo aveva chiuso la porta per evitare ancora che altre persone entrassero, l'orario di chiusura si era già protratto per circa 10 minuti.
Ormai all'interno nessuno avrebbe minato la posizione del signore grasso.
Intanto qualcuno ancora arrivava, e l'impiegato gesticolava mostrando l'orologio, che però non aveva, per indicare l'avvenuta chiusura per limiti d'orario.
Capita spesso che per convenzione portandosi sul polso sinistro venga spontaneo mostrarlo per far capire la perdita di tempo, non accorgendosi magari che invece lo portiamo sul destro.
Ormai si era tutti all'interno, quasi come una famiglia, non c'era più il problema del tempo, ci saremmo sbrigati, tanto l'impiegata comunque doveva rimanere fino alle due, noi, se ci saremmo riusciti potevamo andare via prima.
Anche il ragazzo era rimasto all'interno, appena la discussione con la signora ebbe un attimo di respiro, si inserì.
Scusi.
Disse rivolto all'impiegata.
L'impiegata, forse, non lo sentì e continuava a guardare attraverso i mezzi occhiali la bolletta della signora.
Scusi.
Stavolta fu un attimo, la risposta dell'impiegata.
Alzando gli occhi e guardando sopra i mezzi occhiali, fece cenno col capo.
Il ragazzo pronunciò qualcosa.
In questi casi la discussione diventa quasi labiale, il vetro troppo spesso riduce le onde sonore, occorre abbassarsi oppure leggere le labbra.
Come previsto l'impiegata si allontanò.
Tutti sbuffavano.
Mentre il giovane si voltava di tanto in tanto quasi timidamente cosciente di far perdere del tempo a tutti.
Mi ricordo che una volta avvenne la stessa situazione in uno dei mille uffici dove si fa la coda.
Un amico che era al bancone tardava a sbrigarsi, il mormorio della gente, quattro per la verità, si faceva più insistente.
L'effetto è quello domino, se un tassello si lamenta, alla fine si lamentano tutti, anche senza motivo.
Ma nell'istante stesso, che l'amico si girò, d'improvviso tutti tacquero.
La mole li aveva spaventati, un metro e novanta centimetri per circa centotrenta chilogrammi, aveva avuto il suo peso nella questione.
Rigiratosi ricominciò il mormorio.
Non era la prima volta che cotanta mole giocava un ruolo determinante.
Quella volta si trovavano per la strada quando d'improvviso per uno stop non rispettato una brusca frenata colse di paura il signore con la cinquecento.
In quei casi, l'agitazione delle mani è direttamente proporzionale all'abitacolo, tanto più grande tanto più svolazzano per aria.
La situazione era governabile.
Durante le imprecazioni, l'amico scende dalla macchina su proposta, e si reca verso la cinquecento.
In questi casi l'agitazione delle mani è inversamente proporzionale alla stazza dell'individuo che scende per primo dalla macchina.
Appoggiandosi al finestrino abbassato della cinquecento, ne procurò un leggero abbassamento degli ammortizzatori.
Il signore si scusò per aver preteso di avere ragione della sua precedenza.
L'impiegata tornò con un foglio in mano, lo consegnò al giovane che ringraziando si allontanava.
Meno male, l'attesa era stata breve.
Il ragazzo uscì accompagnato dall'impiegato che aveva chiuso la porta.
Ora restava solo la signora.
L'impiegata riprese a parlare con la signora spiegando ancora.
Tempo perso.
Pensava il signore grasso, mentre nel contempo le goccioline di sudore si formavano sulla fronte.
Certo, con la chiusura della porta il caldo all'interno aumentava, forse il condizionatore era messo basso.
Finalmente la signora aveva finito.
Raccoglieva le ultime carte e le ultime parole dell'impiegata e si accingeva a lasciare libero il metallo del banco.









3.
Non appena la signora ebbe fatto mezzo passo indietro il signore grasso si avviò verso il bancone.
Il rischio era lo schiacciamento della signora più gracile di lui, per fortuna non avvenne.
Ora dopo ore di fila si trovava a tu per tu con l'impiegata.
Tipo mezzogiorno di fuoco, una occhiata lanciata all'impiegata, magari per metterla in soggezione, per fa si che la richiesta fosse immediatamente capita ed espletata.
Altri rischi calcolati nessuno.
L'impiegata avrebbe risposto in maniera esauriente concisa e precisa.
Nessuna perdita di tempo, nessun equivoco.
Almeno così sperava il signore grasso.
In quegl'istanti che ti sembrano un'eternità, in cui questi pensieri si fanno strada, mentre il cervello sta già ordinando alla bocca di parlare, immagini tutto.
La domanda fu fatta, finalmente ora l'impiegata sapeva cosa voleva il signore grasso.
Mi scusi può ripetere, l'impiegata.
Brutto segno, il signore grasso.
Questo poteva voler dire due cose.
O che non aveva effettivamente sentito quello che le aveva detto, oppure che quello che le era stato chiesto non rientrava nei suoi compiti e che per guadagnare tempo sulla eventuale risposta avrebbe fatto riformulare la domanda.
E di qui la paura che la fila fosse stata inutile.
Mi ricordo dei tempi all'università.
Capitava sempre durante gli esami che la maniera migliore per prendere tempo su una domanda magari difficile o di quell'argomento che era stato fatto più in fretta, era la ripetizione della domanda stessa.
Sentì in quel preciso istante una goccia di sudore attraversare il compluvio della schiena attratta dalla forza di gravità.
Rimase immobile qualche istante, stavolta proferì la domanda con un movimento delle labbra più accentuato.
La motivazione era semplice, l'impiegata avrebbe meglio capito.
Stavolta la domanda era stata capita, ma nel momento stesso in cui l'impiegata stava per dire qualcosa venne interrotta dal collega che la chiamò.
Si alzò si diresse verso la porta che segnava il passaggio fra l'area destinata al pubblico e quella riservata degli uffici.
Ecco.
Nell'istante in cui stava per rispondere è stata chiamata.
Chissà quanto tempo manca, quello scemo di impiegato doveva chiamarla proprio ora.
Ora era lui che guardava indietro, come per dire che non era colpa sua, e magari attaccare per lamentarsi.
La signora tornò in fretta.
Si rivolse al signore grasso.
Mi dispiace esordì….
Ecco quello che lui aveva sperato non accadesse, ecco che era li in agguato, la frase sarebbe continuata con un non è di nostra competenza o qualcosa di simile.
Questa è la legge di Murphy.
Se qualcosa deve andare storto, lo farà.
L'impiegata continuò.
L'impiegato che se ne occupa è in ferie.
Porca miseria.
Giusto giusto, oggi che ero venuto a fare la fila l'impiegato è spaparanzato in qualche spiaggia del litorale.
Ombrellone, moglie e figli, frigo portatile, panino con cotoletta e con mortadella acqua fresca, borsone con tovaglie da spiaggia occhiali scuri sul naso.
Bella scena.
Ora tutto gli sembrava inutile, la fila, il sudore, la signora che lo aveva preceduto con la natica staccata dalla sedia come un felino in agguato.
Il giovane che lo aveva disturbato, il condizionatore messo piano.
La signorina con la canotta, l'impiegata con i mezzi occhiali, quello che l'aveva chiamata.
La porta chiusa che portava caldo.
Tutto inutile.
Lui stesso inutile.
Meglio scomparire per quell'effetto fisico che ti disintegra.
Nel frattempo quello dietro impazientemente cercava di passargli alla sua destra per potersi rivolgere finalmente all'impiegata.
Ormai non sentiva più l'ansia della fila, non sentiva più le voci.
Giratosi si diresse verso la porta, esitò un istante come se volesse chiedere altro, non ci riuscì.
La porta si aprì davanti a lui, e gli si richiuse alle spalle con un forte rumore.
Il caldo che sbommicava dalle mattonelle era insopportabile.
L'umidità faceva il resto.
Meglio una giornata passata al mare.
Ombrellone, moglie e figli, frigo portatile, panino con cotoletta e mortadella, radio, occhiali sul naso e la sdraio da spiaggia.
Domani sarebbe andata così.
Si udì un grosso botto. Una bomba, no una macchina andata in fumo, un muro caduto, no il signore esploso.
Uscirono tutti, si era sgretolato lasciando a terra soltanto particelle in un cumulo di polvere.
Qualcuno diceva, forse la rabbia, la collera l'avrà fatto esplodere.
L'impiegata mortificata per aver contribuito.
Gli altri erano già andati via.
La notizia apparse sui giornali.
"uomo scoppia dalla rabbia, un cumulo di cenere."

1.
Mentre la mano sottile si infila nella buca della posta, la signora non sa di essere osservata, il caldo torrido spezza il fiato, ti fa sudare, il 70% dell'acqua del tuo corpo esce fuori, t'asciughi, neanche per idea.
Osservo fuori i vetri azzurrati pensando cosa scrivere e riflettendo su ciò che avevo pensato.
Mi capita spesso di dimenticare pensieri e parole che un attimo prima davo per scontate e che avrei, pensavo, impresso sulla carta bianca del foglio del computer.

Mille storie e mille pensieri guardando fuori dalla finestra.

La signora uscita presto da casa, sperava che in quell'ufficio si sarebbe sbrigata in tempo utile per andare a fare la spesa.
La mattina con quella frescura della notte è meglio uscire per gli anziani.
Il caldo che poi c'è dalle undici in poi è troppo si rischia una bella insolazione.
E la signora che per l'avanzata età cammina piano rischia di più.
C'è un signore nel mio paese che per la tarda età, gli acciacchi vari, cammina talmente lentamente che mi ricorda i bradipi.
Però consuma meno energie dura di più.