Martikesti

Ai minatori e ai contadini. I primi(sediovòle) ad oggi estinti. I secondi ad oggi arricchitisi (sediovòle!). Da questi due Ex-popoli-oppressi-ed-in-lotta, ai quali nessuno dedica mai canzoni, io discendo.

Sick of it all

In macchina(non mia) prima di arrivare avevo sentito quel gruppo Hardcore di New York stanco di tutto e anch'io ero un po' stanco di tutto questo.
Delle ombre lunghe di piante sagomate da patine di luce: tutto ciò che due lampade insufficienti riuscivano a dare, disegnando per terra un'inquietudine, la solita di quello stesso luogo. Del vino che, sinceramente, non faceva che entrare e uscire dai bicchieri a un ritmo sempre più frenetico e vertiginoso tingendo le labbra di nero. Di quei corpi che spaziavano nella semioscurità del castagneto intorno al seccatoio in cerca delle proprie latitanti coscienze. Della musica lo-fi incanalata negli orecchi dai nostri economici impianti stereo.
Stanco di Simone che ubriaco fradicio vagava cercando di non inciampare, veniva da me che sedevo su una panchina strategicamente al buio e mi abbracciava. Non diceva niente. Non era un gesto di affetto, ma lo faceva come si abbraccia una boa di salvataggio in alto mare. Poi ripartiva.
Stanco di Martina che ogni cinque minuti veniva lì e mi chiedeva: << che hai? >>, diluendo nella noia di un gesto doveroso il suo tono ammuffito di falsa apprensione. E con la stessa puntualità e lo stesso grado di coerenza << Niente >> rispondevo io.
Presi il bicchiere di vodka che mi sedeva accanto, un po' in bilico sul ferro accanto a me e lo portai alla bocca. Lo inclinai fino a che il liquido non mi bruciò le parti screpolate delle labbra. Un misto agrodolce di gusto e dolore, di gioia ed angoscia. Distaccai, dando il giusto equilibrio a quella sensazione di rabbia e piacere che mi pienava vuoti inesorabili e improvvisi. Lo ripetei con le palpebre socchiuse quasi fosse un rito di una religione che conosco solo io.
La vodka non mi piaceva granchè, ma forse ero stanco anche di quel vino: un meraviglioso liquido troppo scuro per essere sangue e troppo dolce per non pensare che lo sia.
Il modo di annacquarci l'esistenza con le nostre sane sbornie era sempre uguale : superati gli stadi dell'allegria e della crisi di stomaco incominciavi a darci giù pesante. All'inizio senti il cervello che non controlla più nessuno dei tuoi pensieri; gli scivolano giù tutti, realtà compresa. Poi incomincia a reagire: sei ancora ubriaco, il corpo è una matassa di vene e di succo rosso che, sospinto da strane forze biologiche, circola e sembra non interessargli altro; ma l'umore cambia. Devia...
Deviazione molesta: ovvero quei casi in cui dopo la rinuncia a qualsiasi forma di razionalità o ci provi con tutte le donne che trovi perché comunque fornite di una qualsiasi identità sessuale(guidato da quell'impulso avvertibile a mezzocorpo che ti farebbe comunque preferire la femmina più antiestetica a mister universo)o va a finire a cazzotti con qualcuno perché semplicemente ti guarda con lo sguardo più neutro che ti possa rivolgere.
Deviazione angosciosa: i residui di ciò che rimane della tua ragione emergono nella loro unilateralità, lasciandoti in preda ad un'apparentemente lucida, pessimista e pericolosa presa di coscienza della tua situazione.
Io cominciai a pensare alla mia infanzia, quei giorni che nello scenario socchiuso dei ricordi erano fatti interamente di luce solare. È stranissimo ma vero: penso a quando ero piccolo e vedo solo mattine. Divenni malinconico: alteramento alcolico di tipologia 2. Lo diventavo ogni volta che ricordavo il mio 'Childhood' o che ricordavo quasi qualsiasi cosa. Ricordare estendendo un convoglio di sensi umani nell'atto di ridefinire qualcosa che non ha più tempo. Tutti i sensi umani in uno solo. Non sarò mai così forte, i miei nervi ne risentiranno sempre. Pensare alla vita e sentire diminuire il mio spazio futuro all'avanzare del confine dei ricordi. Sentirmi nel mezzo in questo gioco: tra una fanghiglia di fatti già accaduti che si allontanano e una nebbia di pensieri vanamente tesi a un qualcosa di inverificabile.
D'un tratto mi sentii quel confine. Sei la linea immaginaria che sposta le cose, da future in passate, senza rendersene conto e lo fai uguale; vittima di una inconscia e precisa tendenza a collocare prima di riuscire comprendere. Sei nel mezzo, tra ciò che è stato e ciò che sarà; media aritmetica tra tutto ciò che è imprevedibile e ciò che ormai è irrimediabile.
Scossi la testa, con tutta l'angoscia possibile.
"Sono stanco di tutto questo"pensai.
<< Che hai? >>
<< Niente. >>
Niente! In fondo non avevo niente. Stavo solo prendendo atto. Ma questo lei tanto non l'avrebbe capito. Come se ci fosse qualcosa da capire poi. E se qualcosa c'era sinceramente non la capivo nemmeno io.
Il pessimo stereo impiantato in quell'umile dimora pericolante, con le casse che spuntavano fuori dalla porta costringevano Jeff Buckley a un'insolita esperienza di 'Grace' a chitarre distorte, causa di quella vibratile riproduzione sonora. Tanto bastava la voce. Di lui, la voce basta. Quella voce alla quale nessun impianto stereo restituirà mai l'anima, scomparsa tra i liquidi di un fiume di notte. Liquidi e notte. E ricordi. Tutto mi sembrava presente e riallacciabile a quelle cose che avevo solo letto ed ero soltanto stato in grado di immaginare. Ma mi restituivano un'impressione di contatto diretto. Non so dire bene come ma c'entrava l'umidità di quel posto. Era la stessa, non faceva più freddo di altre sere, ma d'improvviso ebbi la sensazione che i brividi e la pelle d'oca come risposta agli spifferi di vento non bastassero più. Come se l'umidità mi invitasse ad essere meno indifferente. Lì ed ora. Tutto quasi così evidente. Quasi così tangibile. MA COSA?!
Provai d'improvviso qualcosa che era simile a un senso di colpa.
Una ventilata sera d'Agosto, Jeff Buckley apparteneva da tre anni alla storia di quel fiume, Batistuta avrebbe vestito la maglia della Roma e la cosa andava per me oltre l'immaginabile. Io ero lì. Diventai grande a contatto con una panchina di ferro gelido. Non feci scenate. Non mi alzai di scatto tra lo stupore di tutti dicendo "Sono stanco di te, di te, di te...[indicando i presenti] e delle vostre cose... e del vostro fare questo...". Rimasi fermo quasi immobile ad assaporare la sensazione metallica della crescita. Ed il primo sintomo fu il cinismo: perché il Mississipi non si era portato via quel "torzo" che progetta impianti stereo tanto scadenti invece di chi tenta di farli suonare meglio possibile?