Marisa Cecchetti

nata a Ferrara nel 1968, ha iniziato a scrivere da poco grazie alle insistenze di un amico attore secondo il quale la suddetta persona avrebbe del talento. Specializzata in arte digitale, ora si dedica pure alla lettura e alla scrittura di racconti dal carattere ironico-umoristico.

Una domenica come tante altre….

Ero alla mia seconda sangria, ma ancora sentivo il sapore dello spritz appena trangugiato.
Questo bicchiere era colmo di frutta: due pezzi di mela, uno di albicocca e ben tre chicchi d'uva.
Stavo aspettando che l'amico balbuziente di Ombretta formulasse una frase che casualmente iniziava con: "ffff…." come tutte le altre, mentre giocherellavo con la frutta annegata in quella sangria color rubino.
Nel primo bicchiere il barista aveva avuto l'accortezza di mettere una cannuccia e un cucchiaino, strumento utilissimo e pratico per la pesca della frutta nei fondali alcolici di quel dissentante drink.
Purtroppo nel secondo bicchiere mancava il cucchiaino.
Nacque un grosso problema: come fare senza cucchiaino a gustarmi quei saporitissimi pezzi di frutta?
Per i pezzi di mela e di albicocca il problema fu presto risolto: li feci scivolare lungo la parete del bicchiere trasparente di plastica con l'aiuto della cannuccia, e mentre questi pezzi perdevano l'umore della sangria lasciando una scia rossa lungo tutto il loro percorso, avvicinai le mie labbra scottate dal sole al bordo del bicchiere con l'intento di salvare questi naufraghi gustosi appena fossero giunti alla fine del loro percorso.
L'impresa riuscì perfettamente.
L'amico di Ombretta era ancora alle sue: "fffff…" questa volta aiutate da tic nervosi che coinvolgevano gran parte delle sue espressioni facciali: aveva il vizio di giocherellare con le ciglia fino a quando non riusciva a completare la sua frase.
Lo ascoltavo ma ero di fronte ad un problema molto più grosso: come fare a sollevare i tre gustosissimi chicchi d'uva con l'aiuto della sola cannuccia.
Tentai più volte la tecnica precedentemente usata per i pezzi di mela e di albicocca, ma fallì ripetutamente.
Meditai aiutata da un paio di sorsi di sangria, ancora fresca e rossa come il sangue venoso.
Poi l'illuminazione: infilzare i chicchi d'uva con la cannuccia.
Certo non era una forchetta e non avevo altri arnesi per poterli tenere stretti; in effetti questi non ne volevano sapere di riemergere da quel mare cosi dolciastro e intenso (e li capivo!).
Provai a distrarli scuotendo il bicchiere e provocando una marea insolita, opposta ad ogni legge fisica; poi, con decisione e forza, tuffai la cannuccia in quel fantastico mare e il primo chicco d'ufa fu mio!
Alla quarta "ffff…." dell'amico di Ombretta misi il chicco d'uva in bocca e lo schiacciai col palato, chiusi gli occhi e assaporai ogni suo schizzo di umore che non sapeva affatto di uva ma di un buon vino d'annata.
Ormai i gioco era fatto.
Fui spietata con gli altri due superstiti che in un attimo furono miei.
Piena di gioia e con gli occhi lucid, trangugiai il resto della sangria in una frazione di secondo: volevo che nel mio stomaco si mescolasse con i tre fatidici chicchi d'uva e riproducesse pienamente lo stesso stato fisico-chimico che era nel bicchiere qualche secondo prima.
Contenta e soddisfatta guardai l'amico di Ombretta che, liberato dalla sua balbuzie, mi disse: "ffff… facciamo un altro giro di sangria?"