Remo Bassini

Remo Bassini (Cortona, settembre 1956), giornalista e scrittore. Ha pubblicato “Il quaderno delle voci rubate" (La Sesia, 2002), Dicono di Clelia (Mursia 2006), Lo scommettitore (Fernandel 2006) e alcuni racconti in rete. Ritiene però che questo, pubblicato da Stampa Alternativa (anche perché rifiutato da altri) sia un esempio della sua scrittura: brutale quando serve, comunque vera e dalla parte di chi soffre.

Tamarri

Allora ho pensato, almeno uno, almeno uno ce l'ha fatta. Uno dei miei ragazzi non si è spappolato il cervello impasticcandosi, non è finito dentro, non è andato a sfracellarsi in motorino, col cervello fuso dalla coca, o dal Tavor mescolato con grappa ai mirtilli fregata al supermercato.
Ce l'ha fatta proprio Andrea, che fino a poco tempo fa veniva chiamato cazzo-nano, e lui si lasciava sfottere, qui al bar, con un sorriso disarmante, strano. Stava in un angolino, vicino la stufa, a leggere Diabolik, oppure sfogliava Quattroruote. Un'ora, massimo due, poi correva a casa a studiare. Quest'anno fa prima istituto tecnico.

Però quel giorno Vasco, che arrivò con Rosy, esagerò con lui: cazzo-nano, mongolino, scoreggia. Rosy faceva la superiore. Fumava, sorseggiava una Ceres a piccoli sorsi, guardava il soffitto. Da donna annoiata. Per lei, la mia bettolaccia, da quando ha cominciato a puttaneggiare mettendo autoreggenti, reggiseni a balconcino e prendere la pillola di sua madre, è il posto della disperazione: il suo culetto ce lo porta, ma solo se non ha di meglio altro da fare. Una volta, massimo due al mese.
A un certo punto, Vasco, dal momento che Andrea non si decideva a dargli la minima, gli disse: "Quella zoccola di tua madre da chi se lo fa mettere nel culo, sempre dal tabaccaio?".
Puttana bastarda, era vero: la mamma di Andrea aveva una storia col tabaccaio. Io l'avevo saputo due sere prima: me l'aveva detto, ubriaco e in lacrime, proprio il padre di Andrea, quando nel bar eravamo rimasti soli. Vasco però l'aveva sparata per puro caso. Disse tabaccaio ma avrebbe potuto dire anche panettiere: perché lui mica lo sapeva. Allora Andrea, mai capito dove l'avesse presa, forse dalla tasca forse da terra, tutto rosso, imbestialito come non l'avevo mai visto, si scagliò contro Vasco, che non se l'aspettava, conficcandogli una forchetta nella mano destra. Vasco, strillò come una gatta in calore, perché la ferita era profonda e la mano sanguinava, mentre Rosy continuava, imperterrita, a dimostrarsi distaccata. Fumava come fumano le puttane quando vogliono dimostrare a tutti che sono puttane.
Ero sbalordito. Mai e poi mai mi sarei aspettato di vedere Andrea così, con gli occhi da matto. I suoi occhi sono buoni, non è un tamarro.
Ma mi aspettavo il peggio, perché Vasco è un vero duro, ha paura solo di Rosy lui. Infatti. Dopo essersi fasciato la mano con un fazzoletto più lurido dei cenci che uso per lavare il pavimento, ed esserselo annodato coi denti, con calma - perché i duri accidenti a loro sono freddi e se non lo sono imparano a esserlo - accese una sigaretta, mi chiese un Campari, lo tracannò, quindi, lentamente, si diresse verso Andrea. Io lo sapevo che Vasco ha sempre un coltello in tasca, per questo non intervenni, ho paura del sangue, e non voglio beccarmi l'aids, già soffro di cuore.
"Che cazzo, dovevi accompagnarmi alla Benetton, dài che ho fretta" disse Rosy sbuffando e dimenando la testa. Ma Vasco niente. Era davanti ad Andrea, al centro del bar. Pensai: ora l'accoltella, ora l'accoltella, così mi chiudono il locale, mi portano in questura e magari mi riempiono di cazzotti. Invece Vasco, da vero duro che non ha fretta, che vuol dimostrarti che è calmo perché vuole farti cagare sotto, disse ad Andrea: "Vado via con Rosy, ma stasera ti faccio secco, oppure domani, cazzo-nano". Fu l'ultima volta che qualcuno disse ad Andrea cazzo-nano. Andrea è un po' più piccolo di Vasco: ma poco. Andrea, sembra quasi un fungo, perché è mingherlino e ha la testa grossa. E con una testata, improvvisa, tremenda, spaccò il naso a Vasco, che cascò a terra, kappaò, col sangue che gli usciva a getto continuo. Era lui, adesso, che aveva occhi da pazzo. Lui, non più Andrea. Rosy intanto si era girata per non vedere, impressionata da tutto quel sangue: sulla faccia e sulle mani di Vasco, in quella sana e in quella ferita, fasciata. Andrea intanto, coi pugni serrati, teso, fissava Vasco che, seduto in terra, con le mani al viso, senza guardarlo gli diceva "bastardo, bastardo, mi hai staccato il naso, non riesco a respirare, bastardo".
Nel mio bar, è piccolo, una stanza sola con quattro tavolini, un televisore e due videopoker, succede di rado che la gente si pigli a botte. Anche i marocchini quando sono sbronzi e litigano, fra loro o con gli italiani, vanno fuori a scazzottare. Gli zingari, no, loro non danno problemi, forse perché compro e rivendo la roba che fregano. Vengono, acquistano doppi litri di vino a buon prezzo, si fermano poco. Rubare non rubano, anche perché sto sempre dietro al banco e tengo tutto dietro di me. Quando il bar è aperto non vado nemmeno a pisciare, anche se certe volte la vescica mi scoppia e qualche spruzzata di piscio finisce nelle mutande. Se però avevo un attacco di diarrea, e ogni tanto mi succede specie quando prendo freddo, chiamavo Andrea: mi sostituiva lui al banco. Di lui mi fidavo.
Dopo aver pestato Vasco - e la notizia destò scalpore: mai successo che Vasco avesse preso botte da qualcuno - Andrea, di diritto, entrò a far parte dei duri: e due mesi fa, un sabato sera, quando lo vidi andare via, casco in testa insieme a Fritz e Luca, tutti e tre in motorino, dissi fra me e me: pure lui.
Fritz e Luca sono fratelli, Fritz ha 15 anni, Luca 14. Si fanno le canne, spacciano ecstasy in discoteca, ma mi hanno giurato e spergiurato che al bar non porteranno mai roba. Vorrei che non spacciassero nemmeno, è da 10 anni, da quando sono uscito di galera, che in questo bar sono passati ragazzi che, o sono morti per overdose, o sono finiti ammanettati. Qui tutti mi rispettano, perché sono un ex carcerato, e questo fa impressione, ma a nessuno racconterò mai che mi sono fatto un anno dentro per aver truffato un centinaio di vecchiette travestito da francescano. Riderebbero. Inoltre sono tutti convinti, ho messo io in giro la voce, che nel cassetto ho una pistola.
Solo Rosy, una volta, davanti a tutti, stronzeggiò dicendo che se non la vedeva, lei non ci credeva, perché un ex detenuto non può possedere né pistola né porto d'armi: gliel'aveva spiegato un carabiniere amico di sua madre.
Ce l'ho a morte con Rosy. Ce l'ho a morte, perché le ho voluto bene come a una figlia. L'ho aiutata a studiare, quando doveva preparare l'esame di terza media, l'ho fatta dormire da me, al bar, quando Tanina, sua madre, la sbatteva fuori per farsi fottere in santa pace da qualcuno. Rosy aveva due possibilità: dormire in cantina, oppure nella Panda di sua madre, però senza accendere il motore. Al freddo. Tanina è peggio delle mignotte che battono. Lei è zoccola dentro, perché qualche soldo lo guadagna, fa l'infermiera, inserviente in una clinica privata.
Tanina è bella, madre e figlia lo sono. Tanina, che ha 31 anni e che Rosy l'ha avuta a 16 anni da padre ignoto, è fatta bene: tette sode, a pera, sedere ripieno al punto giusto, faccino coi capelli ricci. Rosy invece sembra una modella. Alta, gambe lunghe, perfette, occhi neri, stupendi. Stupendi ma bastardi: ti provocano. Poi però se ci provi il suo sguardo cambia, diventa cattivo, e tu non ci capisci nulla.
A me non fa effetto perché l'ho vista crescere. Mai attizzato da lei. Ma con Tanina, invece, una sera ci provai. Avevo una voglia matta di ficcarle le mani fra le cosce, ma non volevo scoparla e basta, avevo anche intenzioni serie; lei e Rosy potevano venire da me, nel mio appartamento di tre stanze più servizi. La portai a cena, andando in giro la presi sottobraccio e al cinema mi permise di giocherellare coi suoi capelli. Ma quando le chiesi se voleva venire a vivere da me, brusca, con lo sguardo schifato, disse di no. E io a insistere: vieni a vivere con me, venite da me, staremo bene. "Sei troppo vecchio" rispose. "Che dici, ho solo 9 anni più di te, forse 10". "Ah sì, credevo avessi 60 anni".
No, 60 no, però sembro vecchio. Sono grasso, calvo, poi ho un po' di diabete, ma ancora non devo farmi l'insulina, così non mi curo, e mangio troppo, e poi ho i polmoni che di notte fischiano perché fumo 60 sigarette al giorno, certi giorni 70. Tanina comunque è stronza. Come sua figlia. Che il giorno dopo al bar, approfittando di un attimo di silenzio, per mettermi in imbarazzo di fronte a tutti disse: "Volevi scoparti mia madre ieri sera?".
Non sapevo che Tanina in quei giorni sbavava dietro a un brigadiere dei carabinieri fresco di nozze. Lui l'aveva scopata, una botta e via, poi l'aveva mandata a stendere. Tanina è velenosa: non le era mai successo che la sua passera avesse subìto il trattamento usa e getta. Volle vendicarsi. E con Rosy andò sotto casa del carabiniere, a tagliargli i copertoni. Però, le videro, e il brigadiere, avvisato da qualcuno, arrivò giusto in tempo per pigliarle a calci e pugni. Rosy in lacrime corse da me: perché sua madre, zoccola e bastarda, era troppo nervosa e non la voleva intorno.
Poi Rosy è cresciuta, ha cominciato ad andare in discoteca, a farsi sbattere, prima da Vasco, poi, dopo averlo lasciato, da un avanzo di galera che spaccia roba pesante ma che gli capita un cazzo perché fa l'informatore della polizia, poi da gente coi soldi, uomini più vecchi, di 30, 40, 50 anni anche, perché Rosy, benché abbia solo 15 anni, è una donna fatta e finita. Dicono che quando fa l'amore urla, suda e trema tutta se gli è piaciuto abbastanza. Ora esce ancora con Vasco, e lui è geloso, perché sa di non essere alla sua altezza. Tante sere, quando vanno in discoteca, Vasco fa a botte con quelli che, dopo aver ballato con Rosy vorrebbero provarci. Per questo porta il coltello. Perché Rosy puttaneggia, facendosi palpare, provocando con gli occhi.
Vasco a 17 anni è già un delinquente. Ha iniziato nei supermercati: mani in tasca quando entrava, tasche piene di roba quando usciva; mai una telecamera che lo beccasse. Poi è andato a scuola dagli zingari, che gli hanno insegnato a rubare macchine e negli appartamenti. Ora spaccia: fumo e coca. Vive con la zia, perché i suoi sono morti in uno scontro stradale. Dentro la macchina, la polizia trovò resti di canne e lattine di birra vuote. La zia di Vasco si arrabatta facendo le pulizie. Lui non la sopporta, le urla dietro se lei, per caso, viene qua al bar.
Ma Vasco, soltanto due anni fa era ancora al confine. Nel senso che poteva salvarsi, perché aveva trovato lavoro, e poi era contento perché aveva Rosy. E lei, anche lei era al confine.
Due anni fa, quando andarono al bar Roma, il bar dei ricchi, Vasco e Rosy non erano incarogniti come lo sono oggi. Erano tamarri, e basta. In tele c'era Juve-Inter, il bar era pieno. Vasco e Rosy stavano in disparte, perché la gente e i camerieri li guardavano male. Ma ecco che l'Inter pareggia, gol, gol, la gente si alza, qualcuno s'incazza, qualcuno applaude, qualcuno si accorge che il Motorola poggiato sul tavolino non c'è più, e che Vasco e Rosy se la sono data a gambe. Hanno un telefonino nuovo. Ultima generazione. Che squilla. Chi è? E' il derubato: "Per me puoi anche tenerlo, l'importante che tu mi renda la scheda, mi serve per lavoro. Fidati, se me la restituisci ti regalo un centone". Vasco si fidò e accettò di fare lo scambio alle 10 in punto alla stazione. Non sapeva di aver rubato il telefonino proprio a un commissario di polizia. Un gran cornuto. Li arrestarono, li presero a ceffoni, e poi, va sapere perché, esagerarono. Il giorno dopo convocarono una conferenza stampa. Dissero che il fenomeno dei teppistelli di periferia stava assumendo proporzioni sempre più preoccupanti. E raccontarono del furto del telefonino. Vero, tutto vero. Dissero anche che nelle tasche di uno dei due fermati, il maschio, "un minore scafato come un esperto delinquente" scrisse un giornale, c'era un coltello a serramanico. Vero, purtroppo. Ma inventarono la storia delle tentata estorsione. Falso, tutto falso. Raccontarono ai giornalisti che i "due teppistelli" dopo il furto avevano telefonato al bar Roma e chiesto di poter parlare espressamente col derubato: "Se rivuoi la scheda, vediamoci alla stazione, e porta con te un centone". Falso, tutto falso.
Vasco però perse il lavoro, licenziato in tronco dall'autofficina dove lavorava come apprendista. Buoni quelli. Vasco e un gommista erano addetti ai tagliandi delle macchine. Mentre l'altro controllava pressione gomme e convergenza, lui cambiava l'olio, quindi andava al computer, premeva i tasti che gli avevano insegnato di premere, così dalla stampante uscivano tutta una serie di controlli che non erano stati eseguiti ma che, l'affezionata clientela, fregata ma soddisfatta, avrebbe pagato profumatamente. Hai capito?
Comunque l'accusa di tentata estorsione cadde. La zia di Vasco, svenandosi, pagò un bravo avvocato, che esibì come unica prova i tabulati del telefono: dimostravano che al bar Roma, quella sera, non era arrivata nessuna chiamata, né dal Motorola rubato né da telefoni pubblici. Viceversa, alle 21 e 47, c'era stata una telefonata dal bar al cellulare rubato. Vasco mi aveva detto la verità.
Ora però non si confida più con me: è un duro, non sopporta sentirsi dire da qualcuno che farà una brutta fine. Non è cattivo: m'hanno riferito che c'è rimasto male quando ha saputo che la mamma di Andrea col tabaccaio ci va per davvero.
Vasco era come sono Luca e Fritz, oggi: se trovano una ragazza per bene, o un lavoro per bene, o qualche santo, magari non fanno una brutta fine. Io li chiamo tamarri, succede spesso che fra loro si chiamino così; sono tamarri, tamarri al confine: per ora non l'hanno oltrepassato, non so ancora per quanto. E poi sono preoccupato: saranno 20 giorni che non vedo più né Andrea né Luca e Fritz.
Poco tempo fa, i due fratelli l'hanno combinata bella. Una notte, sono entrati negli uffici dell'Asl di via Piave. Hanno rubato cazzatine: spiccioli, due ombrelli, 200 biro (che poi gli ho comprato io), e dei detersivi che hanno portato a casa, un regalo alla mamma, che manda avanti la casa facendo la sarta mentre il marito, muratore, dilapida tutto giocando ai videopoker e andando a puttane.
Però in via Piave, Luca e Fritz quella sera, nella scrivania dei veterinario provinciale, notarono anche un mazzo di chiavi. Erano della sua Uno bianca di servizio, con tanto di scritta Asl. Appena usciti, Luca e Fritz hanno individuato la macchina, ci sono saliti, e poi sono andati in giro per ore. Mi hanno raccontato di aver incrociato anche una pattuglia della Stradale, che non ha fatto caso a loro, per via della scritta Asl. Ma poi, invece di tenere la Uno, alle 4 del mattino l'hanno riportata in via Piave, tenendosi però le chiavi. Così la sera dopo, e la sera dopo ancora, per almeno dieci giorni, sono andati in giro fino a quando, una notte, rimasti a secco, hanno pensato bene di abbandonare la Uno e di buttare via le chiavi, impauriti dal fatto che, 100 metri avanti, c'era un comando dei carabinieri. Non sono delinquenti, sono ancora dei ragazzi Luca e Fritz. Quando vennero al bar una sera a far vedere la macchina, uno zingaro gli offrì 500 euro, ma loro niente: volevano continuare a giocarci. Certo che quel veterinario probabilmente si fa di coca: come cazzo ha fatto a non accorgersi che la macchina beveva il doppio della benzina, e che al mattino era posteggiata sempre in posti diversi?

Allora Andrea ce l'ha fatta, sbagliavo a preoccuparmi. Suo padre, due ore fa, è passato qua davanti, mi ha chiamato, invitandomi a uscire; io ero al mio quinto Campari prima di cena, lui era in bicicletta, trafelato e sorridente, sorrideva strano, mi ricordava suo figlio quando gli dicevano cazzo-nano. Aveva in mano un pacco con un vestito per Andrea "che se ne va, si è sistemato". Gli ho chiesto "dove?" ma è scappato via "ho fretta, ti racconto, gli ho preso proprio un bel vestito". E io che mi preoccupavo. E quando ho visto Luca e Fritz, mi sono stupito da quanto fossero seri. "Ehilà, da dove sbucate. Dài, venite qua che vi offro una birra. Sapete dove va Andrea? Ha vinto una borsa di studio?".
S'è impiccato, mi hanno detto, perché sua madre è andata a vivere col tabaccaio, e lui non ha retto, le voleva troppo bene. Così ho pianto, forte, come la prima volta, di notte, in galera.