Federico Mazzoli

La passione per la scrittura mi è nata quando avevo ventidue anni, dopo aver trascorso un breve periodo della mia esistenza: lo spazio di due settimane, che mi ha fatto capire che nella vita non c’è niente da capire. Era l’inverno del 1996 un anno a metà tra il mondiale di calcio negli U.S.A. e quello di Francia. Un anno troppo lontano dal duemila per pensare al nuovo millenni ma nello stesso tempo troppo vicino per sentirsi parte del novecento. Un anno di passaggio come un ponte tra due rive. E lí in quel ponte mi sono fermato, perché ho capito che la riva non l’avrei mai raggiunta. All’inizio, devo ammettere, ci sono rimasto un po’ male anche se il sospetto di questo già l’avevo, d’altra parte le cose che sappiamo ce le abbiamo dentro da tempo, forse da quando siamo nati. Poi però col passare dei giorni, e soprattutto delle notti, me ne sono fatto una ragione. Anzi, fermandomi un po’ ho avuto il tempo di guardare le cose che la vita mi metteva di fronte e che fino ad allora avevo ignorato. Troppe persone cercano la felicità lontano: su rive che non riescono nemmeno a vedere senza accorgersi che sulla riva ci sono già. E cosí un atto che all’inizio assomigliava alla rassegnazione è diventato per me una strada per capire che infondo essere tristi o felici dipende solo da noi.

TETTINE E TETTONE

C’è la musica e io sto ballando, di fronte a me c’è mia cugina che ride e balla assieme alle sue amiche. Sotto le luci stroboscopiche le guardo ad intermittenza. Tra loro c’è n’è una che ha due gran belle tette e un vestito che le mette in mostra. Saltano su e giú. Ritorno a ballare, anche se non avevo mai smesso, ma col pensiero sí ed ero andato fuori tempo. Non che ballare mi interessi un gran che ma è tutto quello che ora riesco a fare e se faccio male anche questo.......

La tettona balla ancora. La guardo. Lei invece no. Lei muove solo la testa a ritmo di musica avanti e indietro senza mai guardarmi. Chissà cosa guarda? Forse tutti gli altri?

"Cosa guardi?" le chiedo.

"Cosa?" La musica è troppo forte, non mi ha sentito....per fortuna.

"Vuoi bere?"

"Bere?"

"Al bar."

"Va bene."

Andiamo al bar, lei è piú svelta di me e sparisce tra la gente. Non la vedo piú cosí mi fermo, metà gente balla e metà no: sono al margine della pista. La cerco con lo sguardo ma non la trovo, trovo solo mia cugina che è ancora lí dov’era prima circondata dalle sue amiche, dal fumo e dalle luci colorate che si accendono e si spengono a ritmo della musica.

Il filamento di metallo delle lampadine è fatto di tungsteno che è una lega a bassa conduzione e molto resistente alle alte temperature: é per questo che si illumina. Ma quelle devono essere fatte in un altro modo, si spengono e si accendono troppe volte,

il tungsteno alla fine si brucia. Devono essere fatte di gas o di una lega piú resistente, oppure sono magiche: la magia semplifica tutto, anche la religione se ci credi ma se non ci credi è meglio ignorarla e sostituirla con qualcos’altro: una buona bottiglia di vino per esempio. Sento una mano che mi picchia sulla schiena. Mi volto e vedo che non è la tettona ma un’altra ragazza che è innamorata di me, almeno cosí ha detto una sera, non questa, un’altra. Ha i capelli mori, lunghi, una maglietta attillata e un bel sorriso. Le guardo sotto la maglietta, le sue tette non si possono minimamente paragonare a quelle della tettona, a dir la verità non si posso paragonare neanche a un paio di tette normali. A proposito: dov’è la tettona?

"Ciao" mi fa la tettina.

"Ciao, cosa ci fai da queste parti?" le chiedo.

"Come cosa ci faccio? Ballo."

"Ti ho vista ballare, balli bene."

"Ma se sono arrivata ora."

"Ti ho visto lo scorso sabato."

"Non c’ero sabato scorso."

"Cos’è, non ti piacciono i complimenti?"

"Si che mi piacciono, quelli sinceri però."

"Non c’è piú niente di sincero, ci sono rimaste solo le bugie."

Lei non dice niente perché è un pensiero triste e perché ci sarebbe troppo da dire: troppo per essere d’accordo, troppo per non esserlo e in questo posto non si può parlare tanto. In discoteca le parole sono come i figli degli industriali: se ti allontani un po' vengono rapiti dalla musica.

"Vieni a fare un giro" le chiedo.

"Si" mi risponde senza dirmi altro e io no voglio sentire altro.

La gente spinge, è sudata, balla, beve, parla poi va al bagno, piscia, si bagna i capelli e ricomincia da capo.

Io esco dalla discoteca con la tettina. Lei è piccola e fragile e il vento le scompiglia i capelli. Sorride e non sa cosa dire cosí parlo io.

"Saliamo in macchina che fuori fa freddo." le dico. Lei è d’accordo cosí entriamo e lí è piú caldo e le parole si liberano dal ghiaccio che c’è tra di noi.

"Sono contenta di rivederti." mi dice.

"Da quant’è che non ci vediamo?" le chiedo.

"Dall’ultima volta che abbiamo parlato. Non ti ricordi?"

"Si che mi ricordo. Ci siamo baciati."

"E di quello che ci siamo detti ti ricordi?" intanto il parcheggio, le sue macchine, la discoteca e la notte vengono avvolte dalla nebbia delle nostre parole.

"Cosa ci siamo detti?"

"Io ti ho detto che tu mi piacevi."

"Sono contento."

"Perché dici cosí?"

"Ho detto solo che sono contento."

"L’hai detto come se ti scocciasse."

"Al contrario, sono contento di piacerti."

"E’ vero?"

"Si......Facciamo un giro?" le chiedo.

"Si."

Accendo la macchina e l’aria che esce dai bocchettoni a poco a poco diventa calda. La nebbia se ne va e ricompaiono le macchine, il buio e la discoteca. Esco dal parcheggio. I lampioni illuminano i bordi della città, poi tutto sparisce e rimangono solo le strisce bianche della strada, il suo asfalto e qualche ciuffo d’erba. Oltrepasso un cartello, poi svolto a destra. Ora la strada è ghiaiata e va in salita. Salgo fino in cima e arrivo a un campo con sotto le luci della zona industriale. Il cielo è sereno, le stelle congelate, le montagne ridono, e la luna è quasi piena e tumefatta di crateri. Spengo il motore e ascolto il silenzio. Nel silenzio c’è il respiro della tettina che è sottile come un foglio di carta velina. La guardo e le sue labbra sono rosse in questa notte senza colori, in questa notte in bianco e nero. Le bacio. Sono piccole le sue labbra e morbide ma sono anche indecifrabili perché ormai non parlano piú. Si aprono silenziose, calde e cominciano a tremare. Poi piano, pianissimo abbasso il seggiolino. Ora è sdraiata. Le vado sopra. Le bacio il collo. Le sfilo la maglietta e le slaccio il reggiseno. Due tettine mi guardano impaurite. Le bacio i capezzoli, sono duri i capezzoli. Le slaccio i pantaloni e le sue mutandine sono di pizzo rosa.

"No" sento da qualche parte della macchina. Mi fermo. Mi alzo. La guardo.

"Come?" le chiedo.

"No." Ho visto bene, il no è proprio uscito dalle labbra della tettina!

"Tu mi piaci, mi piaci molto, è solo che........" Eppure avrei giurato che fosse venuto da piú in dietro: dal seggiolino posteriore.

"Il fatto è che non lo posso fare, perché non l’ho mai fatto, è la prima volta per me."

E se fosse uscito da un registratore? Nella vita non si può mai dire. Può capitare che qualcuno lasci un registratore nella macchina di un altro e che questo si metta a funzionare proprio nel momento in cui tu stai iniziando a scopare. Guardo dietro. Non trovo niente. Guardo quelle labbra attentissimamente poi chiedo.

"Come?"

"Non voglio." Non c’è dubbio sono state proprio loro a parlare cosí mi alzo e ritorno a sedere al mio posto. Accendo la macchina e parto. Il cielo si allontana, le montagne hanno smesso di ridere e le luci della zona industriale diventano sempre piú vicine. Mentre guido la tettina si riveste, si infila il reggiseno, la maglietta e si allaccia i pantaloni. Arrivo al parcheggio con le macchine, il buio e tutto il resto. Lei mi guarda, io esco. La aspetto fuori e fuori è freddo, poi esce anche lei cosí chiudo a chiave le portiere e correndo rientro nella discoteca. Lí ci sono ancora le luci stroboscopiche, il fumo delle sigarette, la gente che balla e un sacco di ragazze con le labbra indecifrabili. Poi vedo la tettona, è seduta al bar e beve un bicchiere semivuoto di un liquido verde. Mi infilo tra due persone, pesto un piede a una tipa, le chiedo scusa, lei mi manda a fanculo poi sparisce. Proseguo. Entro in pista. La gente balla, io invece cammino e il mio ritmo è sbagliato cosí sbatto contro uno. Un altro mi pesta un piede e mi chiede scusa. Lo mando a fanculo poi sparisco e finalmente arrivo dalla tettona.

"Ciao" le dico.

"Ciao. Ti aspettavo."

"Eccomi qua, cosa bevi?"

"Un gin lemon."

"Due gin lemon." ordino al barista, poi guardo le sue tette e la serata ritorna nelle giuste proporzioni. Mentre aspetto da bere penso a una luna quasi piena e tumefatta di crateri, al freddo, alle stelle congelate, alle luci della zona industriale, a due labbra rosse,a un registratore che non c’era e a un paio di mutandine rosa. Arrivano i gin lemon. Ne bevo un sorso e tutto quello a cui stavo pensando scompare, ne bevo ancora e scompaiono le altre cose come il barista, le luci stroboscopiche, i dubbi, mia cugina, il bar....... alla fine rimangono solo due tettone a fare da contorno a questa notte senza colori, a questa notte in bianco e nero.