Maurizio Massaroni

non ricordo quando sono nato, ricordo solo di aver sempre scritto, di
aver scritto dai sei anni, ma credo che i miei ricordi di scrittore si
spingano anche oltre, in precedenti reincarnazioni. Mi interessa
scrivere del 'mistero', e di Roma, che è una città piena di segreti. Ma
non la città storica, sacra, ma la zona di S. Lorenzo, dell'Università
La Sapienza, del Cimitero del Campo Verano e di personaggi degli anni
'70 che non esistono più... Tutto il resto credo di averlo dimenticato.
Se ho dimenticato qualcosa, comunque, fatemelo sapere...

Il gioiello dei 12 pianeti

Di notte, da tanto tempo, per Piranesi era difficile fare un buon sogno e anche quella sera - si era addormentato dopo essersi scolato una bottiglia di armagnac - si risvegliò con un forte prurito alla mano sinistra e con tutte le immagini dell'incubo che gli scorrevano, come su di uno schermo panoramico, davanti agli occhi.
Aprì la finestra dopo tutto quel trambusto che proveniva dalla strada. I lampioni illuminavano tutta quella gente stesa a terra e le macchine con gli sportelli aperti appena abbandonate. La strada era un tappeto di corpi e macchine e una nebbia gelata, che s'alzava dall'asfalto, stava raggiungendo la sua finestra. Piranesi la richiuse immediatamente, e guardando dai vetri credette che fosse quella nebbia la causa di quell'olocausto. Nella nebbia doveva esserci un virus mortale. Tra tutti quei morti stesi a terra, c'era solo una figura che si muoveva, un bambino con una piccola sfera luminosa tra le mani, e quando questi lo fisso, Piranesi rabbrividì a quegli occhi malvagi.
Accese il televisore per vedere se trasmettevano un telegiornale che l'informasse di quello che stesse succedendo al mondo, ma lo schermo era solo un brulichio bianco di puntini luminosi. Controllò preoccupato la sua collezione di fumetti, la sua videoteca, i mille titoli dei film, molti mai visti, e poi le sue amate penne stilografiche, le pipe, le vecchie macchine fotografiche. Non voleva farsi sfuggire nulla del suo passato, non aveva intenzione di consegnarlo alla morte. Guardò la radiosveglia sul comodino accanto al letto che segnava le tre di notte e si rincuorò: le sue preziose collezioni stavano al sicuro, si era trattato solo di un incubo.

"Sognare i morti, porta fortuna!", affermò l'ispettore Grimaldi, quando il commissario ebbe finito di raccontargli il sogno.
Piranesi gli avrebbe tirato volentieri in fronte il posacenere di cristallo, se proprio allora non avesse squillato il telefono. Era L'ispettore Perroni che lo metteva al corrente dell'omicidio di una vecchia signora che abitava a Piazza Confienza, in quelle eleganti palazzine a pochi isolati dal commissariato di Viale Castro Pretorio.
"Abbiamo il colpevole!", gli comunicò raggiante l'ispettore dall'altro capo del telefono. "C'è la testimonianza di un vicino."
Perroni era un giovane ispettore convinto che i metodi del vecchio collega fossero ormai antiquati, mirava al suo posto, e non si lasciava sfuggire occasione di metterlo in cattiva luce con i superiori.

L'edificio, che doveva risalire alla fine dell'ottocento - dal bugnato marroncino e con i balconi retti da cariatidi -, stava tra la Biblioteca Nazionale e l'Università. Il portone era lussuoso, con scale e vetri massicci, ascensore con gabbia a vista, e nella guardiola il portiere in abito scuro.
Il giovane ispettore lo chiamò dal quarto piano, e il commissario salì le scale a piedi, nonostante il fiatone non voleva darla vinta a quel fesso di Perroni. Grimaldi lo seguì controvoglia.
La contessa di Veroli fu una nota attrice negli anni '30 (Piranesi ricordava di aver visto qualche suo film); si sposò con un nobile, e alla morte di questi ereditò il titolo e i soldi. Ritiratasi dalla scene, condusse vita solitaria circondata da antichità, libri e quadri nella vecchia casa di Roma che occupava tutto il terzo piano.
Possedendo dei pezzi rarissimi, era molto considerata nel mercato dell'antiquariato, e come il commissario ebbe modo di scoprire in seguito, si era dedicata alle scienze occulte scrivendo anche qualche libro, coadiuvata da una sua giovane nipote che frequentava la facoltà di archeologia. Piranesi, intento a guardare delle foto di scena appese alle pareti, ascoltava appena Perroni.
"L'omicidio deve essere avvenuto tra la mezzanotte e l'una. Come sempre la contessa - soffriva d'insonnia - era seduta alla sua scrivania. Deve aver aperto all'assassino, che conosceva bene, e che l'ha colpita con un busto egizio, di una certa regina… Nefriti... o qualcosa del genere. Il gestore del garage qui sotto, Franco Evaristi, ha visto salire all'ora presunta il signor Leo Valli, che possiede un negozio di fiori sulla piazza... Dopo una mezz'ora, l'ha rivisto scendere e allontanarsi. Questa mattina il fioraio ha aperto come sempre il negozio. L'abbiamo fermato. E' qui in salone. Chiaramente nega tutto. Dice che doveva riportare alla contessa un libro che gli aveva prestato."
"Manca niente nell'appartamento?", domandò Piranesi.
"No... abbiamo trovato gioielli e denaro e nulla sembra mancare delle antichità."
Leo Valli, il fioraio, era un ometto con gli occhiali che se ne stava tutto intimorito seduto in un angolo. Se per Perroni il caso si avviava alla soluzione, per il commissario era solo all'inizio. Non era avvenuto nessun furto nell'appartamento, quindi non c'era un movente per l'omicidio. E poi conosceva bene il testimone, il garagista, un tipo con precedenti penali ed anche alcolizzato, certamente poco attendibile e sarebbe stato facile per la difesa, in un eventuale processo, smontare qualsiasi accusa, e così, chiusa l'inchiesta, le possibilità di scoprire l'assassino e il vero movente sarebbero svanite.
Dopo un sommario interrogatorio del fioraio e del garagista, che cadde diverse volte in contraddizione, Piranesi li fece rilasciare entrambi.
"Ma commissario?", provò a protestare l'ispettore, ma il suo collega più anziano aveva già sceso le scale e sul portone s'accendeva il mozzicone mattutino del toscano.
"Ma se Perroni avesse ragione?", domandò timidamente Grimaldi.
"Me ne infischio di Perroni e delle sue prove! Ad esse preferisco l'intuito."
Lavoravano da dieci anni insieme, e l'ispettore non era mai riuscito a seguire le complicate elucubrazioni del suo capo, ma anche questa volta accettò remissivo.
Piranesi non amava essere contraddetto, nemmeno da un indiziato che confessando il suo delitto metteva in crisi tutta l'impalcatura che lui aveva costruito seguendo le sue premonizioni. E Grimaldi doveva ammettere che il commissario raramente si era sbagliato, ma lui era solo un poliziotto, poteva capire solo le prove, d'intuito ne aveva poco.

"Signorina Nadia!"
"Ancora lei!"
La nipote della contessa di Veroli scese le scale della facoltà di archeologia con l'intenzione di seminare il commissario.
"Solo qualche domanda..."
"Solo qualche altra domanda!", gli rifece il verso lei.
Si sedettero al bar dell'università.
"Lei e il suo caso... io devo finire la mia tesi!", disse Nadia buttando sul tavolo dei fogli stretti da un elastico.
"Non è interessata a scoprire l'assassino di sua nonna?"
"Ma le ho già detto tutto quello che sapevo! Cosa vuole di più?"
Piranesi mise sul tavolo delle foto in bianco e nero.
"Queste sono delle foto che il suo ragazzo scattò a casa della contessa."
Nadia, con la punta delle dita, le scostò appena tra loro, dandole un'occhiata veloce.
"Sì... gliele feci fare io. Aveva intenzione di farne una mostra... poi non se ne fece più nulla."
La ragazza portava una camicetta leggera, di seta, che lasciava intravedere il piccolo seno a punta senza reggiseno. Aveva capelli biondi e corti, una bocca sensuale e uno sguardo, forse era miope, intrigante, ed emanava una forte carica sessuale. E anche se aveva poco più di vent'anni, collaborò ad alcuni libri scritti dalla contessa, e adesso che questa era morta ereditava tutto.
E non era solo per questo che Piranesi la considerava una delle principali indiziate, ma soprattutto per l'acredine che provava nei confronti della contessa, che seppure si era dimostrata magnanima nel mantenerla agli studi - era l'unica figlia di una sua sorella morta giovanissima -, doveva essere stata molto avara con tutto il resto.
Nadia stava con un ragazzo, anche lui studente d'archeologia, e fotografo dilettante. Ma le fotografie della casa della contessa, più che la passione per la fotografia, sembravano lo studio per la futura scena del delitto. Ed erano state trovate nel cassetto del garagista che aveva prima accusato il fioraio, ma poi, dopo un nuovo interrogatorio, aveva confessato il suo delitto. Non aveva preso nessun gioiello, poiché, impaurito da dei rumori, era fuggito via, afferrando la prima cosa che gli era capitata sotto mano, appunto la busta con quelle foto. Comunque, con la sua confessione, cadevano le accuse sul fioraio e l'inchiesta sarebbe stata archiaviata, se il commissario, convinto che ci fossero molte cose che non quadravano - tra cui un particolare che aveva già notato la mattina del primo sopralluogo a casa della contessa, e che trovò conferma in una delle foto -, non avesse continuato nelle indagini. E tra i sospetti c'erano i due giovani, Nadia e il suo ragazzo, che potevano aver architettato insieme l'omicidio. C'era da scoprire come avessero convinto il garagista ad accusarsi dell'omicidio.
"Avete trovato l'assassino, no? E allora?! Mi lasci in pace..."
Nadia spense la sigaretta nella tazzina del caffè, si riprese i fogli della sua tesi e lascio Piranesi davanti alle foto sparse sul tavolo.

Nei giorni seguenti, il commissario seguì diverse tracce, e alla fine il suo intuito gli diede ragione.
All'arresto di Franco Evaristi, il garagista, il figlio di questi prese in gestione il garage, con tutti debiti del padre saldatati, sicuramente dall'assassino che gli aveva offerto quello scambio: accusarsi dell'omicidio, ma salvare l'attività e il futuro del figlio. E su alcuni assegni intestati ad Evaristi, riconobbe la grafia di colui che sospettava essere l'assassino.
La stessa mattina del ritrovamento del cadavere della contessa, Piranesi si era accorto del segno su di una parete di un quadro che era stato tolto, e in una delle fotografie del ragazzo di Nadia, quel quadro c'era: si trattava di una vecchia foto scattata durante la lavorazione di un film della contessa in Egitto.
E il commissario in quella fotografia vide il vero volto dell'assassino. Cercò negli archivi del Ministero dello Spettacolo, e trovò il nome dell'uomo e una sua foto da giovane con un autografo. Era uno degli attori del film della contessa in Egitto. Durante la lavorazione, uno dei tecnici, archeologo dilettante, scoprì in una tomba uno strano reperto. Un giornale del tempo ne riportava una foto: una tavola di un materiale sconosciuto, larga trenta centimetri per trenta, con raffigurati dei simboli e al centro, incassata in una cavità, una sfera di cristallo. Qualche giorno dopo, il tecnico venne ucciso, e il reperto rubato.
E in una successiva e più accurata perquisizione in casa della contessa, Piranesi ritrovò, ben nascosta nel finto ripiano di un armadio, quella tavola con la sfera. La contessa e l'assassino dovevano aver commesso di comune accordo il primo omicidio. Guardando il reperto, al commissario ritornarono in mente le immagini del suo recente incubo: il bambino dagli occhi cattivi che stringeva tra le mani la sfera di cristallo.
Il reperto venne dimenticato dall'archeologia ufficiale, e i due vissero per tutti quegli anni con quel loro segreto. Ora l'uomo doveva aver scoperto il modo di far funzionare la sfera, e deciso ad impossessarsene, aveva ucciso la sua complice, ma non essendo riuscito a trovare il reperto, sarebbe sicuramente ritornato sul luogo del suo misfatto.

Erano le due di notte, e Piranesi da più di tre ore se ne stava appartato nella macchina a luci spente sotto casa della contessa di Veroli. Nadia, da qualche giorno, si era installata nel vecchio appartamento.
Alla luce dello studio, il commissario seguiva la figura della ragazza che si muoveva dalla libreria alla scrivania consultando dei grossi tomi. Poi la vide allontanarsi.
Nadia aprì la porta al vecchio, che entrando le porse un fiore, passandoglielo sotto il naso, e da quel momento lei gli ubbidì completamente. Per l'alchimista le emanazioni dei fiori erano forze misteriose che legavano alla sua volontà le menti delle sue vittime.
"Si spogli!", le ordinò l'alchimista indicandole la camera da letto. Con gusto macabro la contessa aveva sistemato ai lati del letto due sarcofagi egizi.
Nadia si stese nuda sul letto.
Il suo corpo agiva meccanicamente, gli occhi fissavano un punto nel vuoto, era sotto l'influsso della volontà dell'alchimista, che si mise seduto su una poltrona del periodo napoleonico con i braccioli a forma di sfinge.
Egli amava perdersi con lo sguardo tra quelle linee morbide, nei segreti di quel corpo giovane, lui così vecchio, troppo vecchio, ma tra poco tutto sarebbe cambiato, l'avrebbe resa regina del suo mondo.
Piranesi controllò l'ora, tra cinque minuti sarebbe salito da Nadia. La luce dello studio era sempre accesa, ma non la vedeva più, e lui cominciava a sentire quel disagio che l'avvertiva sempre di un pericolo imminente. La ragazza poteva aver bisogno d'aiuto, decise quindi di lasciare la sua postazione e di salire all'appartamento.
Trovò la porta socchiusa, entrò, e sul letto della contessa vide la donna che nella sua splendida nudità sembrava come addormentata, muovendosi alle carezze di mani invisibili che la tenevano in un orgasmo prolungato. In un bicchiere sul comodino c'era nell'acqua un'orchidea che si muoveva impercettibilmente ed emanava un potente profumo che quasi stordì Piranesi. Erano gli effluvi di quel fiore la causa della stato della ragazza. L'alchimista conosceva l'antica potenza dei fiori, con cui è possibile sottomettere la volontà. Quando Piranesi gettò il fiore a terra e lo calpestò, Nadia ebbe un sussulto, e da dietro una tenda una piccola figura fuggì via dell'appartamento.
Il commissario la inseguì scendere le scale, rifugiarsi nel sottoscala dove ne perse ogni traccia. Doveva esserci un passaggio segreto che portava al negozio di fiori, e se Nadia fosse stata ancora in contatto mentale con l'alchimista, l'avrebbe portato sicuramente da questi.
Ritornò nell'appartamento, fece alzare la donna, che si muoveva come una sonnambula. Non ebbe il tempo di metterle qualcosa addosso, e si accodò a quella venere nuda che seguendo un silenzioso richiamo scendeva nel sottoscala. La ragazza in trance si fermò davanti ad una parete, che Piranesi, tastando il muro, scoprì essere falsa.
Il commissario tolse il pannello e la donna lo precedette nel lungo cunicolo che passava sotto la strada e che conduceva direttamente nel negozio dei fiori.
Entrata nel locale, Nadia venne avvolta dal profumo dei fiori, vagando tra di essi come una libellula.
L'alchimista sparò contro il commissario, che evitato il colpo gli si buttò contro, ma l'avversario stringeva in mano la sfera di cristallo dell'antico reperto egizio: la sfera dei dodici pianeti, da cui onde luminose si propagarono, avvolgendo i due uomini in una spirale luminosa che li trasportò in un altro tempo e in un altro spazio…
Dopo un leggero stordimento, Piranesi si ritrovò all'interno di una struttura di cemento armato, dove da una finestra a nastro si mostrava il paesaggio roccioso di un pianeta alieno.
L'alchimista, il fioraio, Leo Valli, era davanti a lui.
"Siamo nel dodicesimo e ultimo pianeta del sistema solare...", gli rivelava l'assassino al colmo dell'eccitazione. "Gli egizi scoprirono il modo per giungere su tutti i pianeti del sistema solare, e anche su quelli che ancora non conosciamo, e costruirvi delle basi, degli avamposti. Il loro mezzo era la mente, l'unica grande forza dell'universo. La sfera permette alla mente di ampliarsi... Ora me ne andrò, e lei, commissario, resterà per sempre su questo pianeta... La bolla d'aria che abbiamo portato con noi svanirà, e lei morirà per asfissia..."
Il fioraio rideva di gusto a quella prospettiva, ma proprio in quel momento apparve nella stanza Nadia, che aveva il volto e il corpo trasfigurati da un'entità che nel passaggio dimensionale aveva preso possesso del suo corpo.
L'entità si accostò all'alchimista, che terrorizzato si fece togliere senza opporre resistenza la sfera dalle mani, e al contatto con quell'essere tutto il corpo dell'uomo fu avvolto dalle fiamme.
Di nuovo tutto ondeggiò davanti a Piranesi, la vista gli si oscurò, e precipitò in un vuoto nulla....
Si risvegliò a terra, nel negozio di fiori, con Nadia che gli era accanto priva di sensi. Le controllò il polso, era viva. Piranesi le si sedette accanto e attardò lo sguardo tra fiori appassiti, in putrefazione, ormai privi di vita senza più la potenza malefica del loro padrone che li animava.
L'alchimista era definitivamente morto e la sfera dei 12 pianeti nascosta nel più lontano e ancora sconosciuto pianeta del sistema solare.
(Ottobre-novembre 2003)