Fiorella Quarto

22 anni
Aversana studentessa di Lettere con indirizzo storico-religioso. In me convivono un pipistrello ed un angelo…

Uccellino asassino

E volando volò e volando era volato su un ramo e guardava.

Guardava il bianco grigiore della strada innevata,sul selciato il segno del passaggio lento di un auto.

E guardava.

Grosso come un merlo ma meno nero , afono a dentro un canarino voleva urlare…

Senza voce non poteva perforare quel silenzio attorno. Alla mattina tutto è così morbido… la neve poi,quel giorno,ovattava ulteriormente gli animi e l'aria,il freddo dell'inverno gli feriva le penne, lo immobilizzava e dentro c'era un vortice ma lineare.
Fermo su quel ramo gli pareva d'annusare il grido della morte,era uno di quei giorni che non ti va più nulla,neanche di respirare;sulla strada nessuno,in cielo neanche un aereo,non pioveva e non nevicava più ; l'alba era già arrivata ed il piccolo volatile meno nero del merlo non l'aveva accolta,dormiva.
Appena sveglio,mosse le zampette,s'era rifugiato su quel ramo e s'era guardato attorno,ma senza poter più ormai vedere sorgere il sole, gli toccava d'aspettare…e senza accorgersene fissò gli occhi su quelle linee già piegante sull'asfalto, la pressione rallentò e fu in precoma mentre il vento gli tagliava le penne.

Il suo becco era meno arancione di quello di un merlo.

Il silenzio. La quiete senza la tempesta.

S'accese una luce. L'uccellino sembrò assaporare il calore di quella lampadina, il tepore del caminetto appena acceso , ma la finestra era lontana e chiusa.
La madre ai fornelli era intenta a preparare una prima colazione…latte caldo,biscotti al miele, cacao; l'essere dal grido muto sembrava appollaiato su quel ramo e quel ramo sembrava doversi spezzare da un momento all'altro sotto il suo peso,almeno avrebbe ascoltato un rumore,provocato qualcosa…invece il ramo era forte e lui troppo debole,così nulla mutò.
Era immobile su quel ramo mentre la donna abbozzava il primo sorriso della giornata, dalle scale era sceso il figlioletto pronto ad assaporare la calda normalità della sua dolce abitudine mattutina con tanta premura servita.
L'uccellino senza troppa veemenza,senza scomporsi chiuse un occhio voltando l'altro verso il basso.
Un cambiamento, non assaporava più l'ombra di quel tepore riflesso e la mente gli si bloccò. La forza mancava, ma aveva voglia di volar via,lontano,sentì l'impossibilità di reagire (Dio ,quanto avrebbe voluto volar via !).
Rimase immobile nel gelo.Pian piano un tepore nuovo lo pietrificò.poi lo stupì,bolliva, fremeva ma senza movimenti,senza spasmi,ribolliva un solo punto,come un fagiolo dentro all'altezza dello stomaco, avrebbe avuto la forza di abbattere il ramo e l'albero se solo avesse voluto, ma non lo fece,stipò quel calore,rimase al suo posto godendo di quella sensazione-nuova ,di quel calore: tepore per il corpo,incandescente lava per la sua testa.
Fuori il gelo di un dicembre.
Godeva l'uccellino assassino ma non ancora quanto avrebbe voluto.
Finalmente la stasi mutò;ore sette e cinquanta,tutti i bimbi vanno a scuola e l'uccellino assassino osservava e quel fagiolo era diventato una luce negli occhi; mamme,bambini,macchine e padri,tutti affaccendati ed in viaggio verso qualcosa, le linee sull'asfalto pian piano diventavano da due,quattro,e sei poi otto e poi non le si contava più…s'incontravano le linee e s'incrociavano e si scontravano fino a ridiventare due ,dritte,verso un punto indefinito.
L'uccellino assassino era sempre su quel ramo e da lì guardava, osservava .
Ore otto e dieci; un ultimo bambino senza scorta materna s'avvicinava con il viso ancora assonnato al cancello della scuola,preoccupato per il ritardo,con la paura d'essere sgridato.
Ore otto e quindici e già tutto era ritornato velocemente alla calma di due ore prima,quando l'uccellino s'era levato ed aveva aperto gli occhi senza poter edere il colorato gioco del sole all'alba.
Otto e venti s'alzo sulle zampe;otto e ventidue con il brillio negli occhi volò. Volò in volto a quel ragazzetto dallo zaino pesante sulle spalle e lo spinse in terra; inziò a beccare e beccò ,beccò,beccò,di più,ancora e poi di più e ancora e più forte,beccava e spolpava,beccava e godeva,il canarino dentro stava urlando,cantava…Beethoven, Mozart, Brahms…
Beccava sempre più violentemente,al ritmo del suono del suo becco sulle ossa e beccava indistintamente qualsiasi parte di quel viso,beccava fronte, naso , occhi mento ,guance, fino a non poterne è più ma era impossibile fermarsi aveva bisogno di quella follia,aveva bisogni di nutrirsi di quella ossessione. Gli beccava i bulbi, spolpava gli occhi del bambino e gli infilava la polpa nelle orecchie.
Cantava l'uccellino assassino e sudava.
Si concentrò sul naso,beccò con una rapida e meccanica torsione del capo l'interno delle narici ,di più e di più ancora fino a divaricargliele ed unirle in un'unica cavità, godeva il bambino, godeva di quella tortura, l'uccellino assassino in preda a sé stesso non capiva ma ansimava ed il fagiolo gli era salito alla testa e lo eccitava e s'eccitava di più ad ogni beccata, il bambino non parlò,non pianse,non lo cacciò via,non lo fermò,sembravano complici mentre fra le sue gambe cresceva qualcosa che gli riempiva i jeans e da quelli passava ad infiammargli la testa ,i nervi; un rigonfiamento traspariva dal grembiule, il bimbo era ansioso,non capiva e l'uccellino continuava e più il volto gli si modellava sotto la foga ossessiva dell'artista,come scultura,più le loro menti s'annebbiavano.
Le mani, che non fermarono la terribilmente-dolce tortura, scesero sotto il grembiule,sbottonarono lentamente i jeans e s'avventurarono su un caldo promontorio e l'esplorarono per la prima volta.
Fu come scoprire d'avere miliardi sotto una mattonella, ma scoprirlo a novant'anni quando ti guarda in faccia solo la morte; accarezzò ciò che gli si era ingrossato fra le gambe e gli s'ingrossava fra le mani,s'accarezzava e fremeva,non controllava la mente ed immaginava la sua compagna di banco con un uccellino bianco sotto il ventre,il padre a lavoro mentre si vedeva sulle gambe della madre e la mamma aveva le mani fra le sue giovani gambe e le muoveva al ritmo di quel beccare.
L'uccellino assassino non sembrava voler smettere e beccava e beccava… all'unisono ,senza parole,senza potersi guardare se non dalle orecchie,più il bambino s'accarezzava più l'uccellino assassino beccava ,più cresceva ,più l'uccellino godeva e più godeva ,più beccava e più si toccava ,piano,poi più piano,poi un po' più velocemente ,poi ancora un po', beccava e cresceva, spolpava e toccava finchè un lago di pace non inondò il cuore ed il becco del merlo dal canto d'usignolo ed i calzoni dell'esanime bambino.
Il caldo dentro a mano a mano esaurì,non c'era più quel fagiolo dentro, prima che il caldo s'estinguesse completamente l'uccellino s'avvicinò zampettando alla cerniera ancora aperta e s'abbeverò a quel caldo lago.

E volando volò e volando era volato su un ramo e guardava.