Davide Sellari

nasco a Perugia quando il punk ha già cambiato la storia della musica, un'anno dopo per l'esattezza, nel 1978. Mi mandano a scuola a cinque anni perchè all'asilo mi annoiavo,dicono loro...dai racconti di famiglia so che leggevo molto e che spesso inventavo storie senza senso, corredate da disegli orribili anch'essi senza senso. Poi arriva il Liceo Classico, Leopardi, Hegel e la mia prima band da "garage". Inizio a scrivere canzoni intorno ai quattordici anni, grazie ad una rozza ma fedele chitarra acustica regalatami nel Natale del '92. Continuo a leggere abbastanza (Stefano Benni, Dino Buzzati, Andrea De Carlo, George Orwell, John Fante, Allen Ginsberg, Jack Kerouac, ed altri) e continuo a scrivere racconti, poesie, canzoni. Dopo una laurea in Scienze Politiche eccomi qui, con nessuna opera mai sottoposta a nessuno, e perciò mai pubblicata...unico episodio "editoriale" importante la pubblicazione di un singolo nel settembre 2002, canzone scritta da me medesimo, insieme al mio fedele "compagno di garage".
Ora non mi resta poi molto da dire, se non buona lettura e grazie dell'attenzione.

IL SALICE

Anche quella mattina non sembrava una buona mattina, il signor Pascal sembrava rendersene conto.
Lo si capiva immediatamente, dai vetri appannati, dalla luce fioca che entrava dalle imposte, dall´odore acre e umido che è tipico, diciamolo, delle giornate sbagliate.
La ferita che correva lungo la sua gamba destra se ne stava ancora lì, come a ricordare al signor Pascal che la sera prima qualcosa era andato storto. Eppure la sua vita non era da buttare: trentatrè anni, capelli biondi ancora folti, un lavoro quasi certo e una donna giovane e fresca da scoprire giorno dopo giorno. Erano quasi le sette e, come detto, il sole non aveva tutta questa voglia di scaldare né i sassi né le mani di quella gelida mattina.
Il signor Pascal, sentiva un grande appetito, una voragine violenta che lo faceva camminare storto, dalla sua camera al bagno, dal bagno alla cucina, dalla cucina ancora in camera, e così via, per almeno dieci minuti. L´uovo intanto si sposava con la pancetta, regalando al signor Pascal un´odore acceso e invitante, suggestioni di verde come il giardino che da piccolo faceva da sfondo ai suoi primi anni di vita, nel suo piccolo paese dimenticato da tutti tranne che dal signor Pascal, che ora divora la pancetta, osserva l´uovo e pensa a Susy.
Susy era bionda e aveva pochi anni quando il signor Pascal lasciò l´Isola di Wight, abbandonò il verde dei prati e il giallo opaco del sole;lasciò per sempre anche Susy, la vicina di casa più bionda che mai il signor Pascal incontrò nei suoi trentatrè anni di ozioso cammino.
Pensava intensamente al profumo quasi sbiadito di Susy insieme a quello bruciacchiato che proveniva dai fornelli, dentrò di sé aveva un mazzo di rose e una dozzina di uova, qualche partita di calcio improvvisata e le parole inespressive di suo padre. Teneva come un tesoro insabbiato il sorriso di Susy, pronto a tirarlo fuori nelle mattine più tristi, armato di paletta e secchiello, e con qualche anno in meno.
E quella era una mattina che solo il ricordo suo più dolce poteva salvare. La ferita alla gamba, inoltre, continuava a bruciare, e il sole non accennava a farsi vivo.
Ed era ancora una giornata di lavoro, ancora otto ore tra le odiose lamiere di quella che era ormai diventata la sua seconda casa: la fabbrica di giocattoli del signor Bilanci.

Il signor Pascal sembrava non accorgersi più del fastidioso ed incessante runore delle macchine, suoni acutissimi e infiniti, petulanti come suo padre, invadenti come il peggior vicino di casa possibile. Ma bisognava lavorare, pensava il signor Pascal, è finito da un pezzo il film girato all´asilo di Northfolk, quando bastava mettere il naso fuori per sentirsi un tutt´uno con le violette, le orchidee e soprattutto con le rose gialle del parco dell´istituto. La Madre Superiora spesso li portava a guardare i fiori e ad annusarli, spiegava loro il significato dei nomi e li invitava a ricordarseli.
"Se imparerete i nomi di questi doni, conoscerete anche il mistero della vita, e vi sentirete meno soli", questa la frase preferita della Madre Superiora, maestra del piccolo Pascal.
Anche Susy frequentava l´asilo del signor Pascal e anche lei, in questo momento, stava pensando alle stesse identiche cose, anche lei stava annusando il ricordo di orchidee, anche lei teneva la piccola mano impacciata del signor Pascal, perso chissàdove.

Quella mattina sembrava un´ottima mattina, la signorina Susy sembrava rendersene conto.
Lo si capiva immediatamente, dai vetri splendenti, dalla luce calda che attraversava le imposte, dall´odore buono e insistente che è tipico, diciamolo, delle giornate più giuste.
Susy ripensava all´asilo e ai capelli biondi come il fieno di un piccolo ragazzo gentile, sempre a lei vicino, pronto a tenderle la mano se per caso inciampava durante le corse del dopo pranzo.
Susy continuamente annaffiava il suo piccolo giardino interiore e guardava crescere il salice che un mattino di marzo avevano piantato insieme appena dietro il recinto dell´asilo, il "Salice di Susy e Pascal", il vessillo vivo di quegli anni spensierati e pieni di colori profumati.
E pensava ai giorni in cui la pioggia dava da bere al loro germoglio, alle telefonate fatte di nascosto per ridere pazzi di gioia ad immaginare che la mattina dopo il salice sarebbe stato senz´altro due metri più alto, e che un giorno avrebbero costruito la loro casa proprio lì, sulla testa del paese, con tutto quel profumo che li avrebbe fatti innamorare ogni giorno, lassù, sul "Salice di Susy e Pascal". Un giorno lui le disse : "Questi colori sembra che li hai scelti tu, ma come hai fatto? Quando anche io sarò un "signore" come mio papà ti chiederò se vorrai vivere per sempre con me, lassù, ci porteremo tutti i giocattoli che abbiamo e non ci annoieremo mai, perché giocheremo insieme, tutti i giorni..."
E Susy, mai come in quella mattina desiderò tornare a vederla, la loro casa mai esistita; ma era troppo lontana, era una pazzia, pensò Susy, l´Isola è lontana da qui e poi...no no, che sciocchezza...eppure vorrei tanto abitarci per un momento solo, insieme a Pascal...gentile Pascal... Erano ormai passati più di vent´anni da quando l´ultima volta si salutarono vicino al loro germoglio segreto, dopo dieci anni trascorsi l´uno nell´altro, in sella ad una bicicletta, con le magliette sporche di gelato al pistacchio e con le cartelle piene di colori e promesse.
Il signor Pascal lasciò l´Isola e Susy e il Salice e il verde e il giallo perché così volle il padre, perché così accettò la madre; l´isola era diventata ormai una trappola per la sua famiglia, di lì a pochi giorni qualcuno avrebbe regolato i conti e presto Pascal sarebbe rimasto solo, senza padre e senza madre.
Fu una fuga segreta, e da allora, nessuno dell´isola riuscì ad avere più notizie di loro.
Anche Susy lasciò l´Isola e dovette nascondersi per anni, chiusa nella vergogna e inseguita dalla legge; ma ormai era tutto finito finalmente, nessuna necessità di fuga: Pascal era diventato "Il signor Pascal" e Susy "la signorina Susy". Ora sì, che potevano rivedersi, come se il tempo fosse stata una lunghissima pubblicità.

Grazie al cielo anche oggi la fabbrica chiude, e nuovi giocattoli verranno impacchettati, per chissà quali bambini, chissà in quale casa, bisbigliò il signor Pascal tra sé e sé. La "nostra" sì che sarebbe stata una casa, quello sì che sarebbe stato un bel posto...il signor Pascal quella mattina non riusciva proprio a non pensare a Susy e a quei giorni leggeri, mai sfumati del tutto. Mentre aspettava che il semaforo gli concedesse di andare, fu improvvisamente assalito dall´immagine più cara che egli avesse nel suo album dei giorni più freschi:un albero, un salice per la precisione, anzi, il "Salice di Susy e Pascal", la loro reggia immaginaria, il mondo ideale per le due metà dello stesso intero ricordo. E tornarono quei profumi, pezzi di vita che mai l´avevano lasciato, e sentì che era giunto il momento, che il tempo aveva già mangiato troppo.

Susy seduta al suo posto, mentre le onde si sbriciolavano sui fianchi della nave in partenza.
Pascal seduto al suo posto, mentre le onde si sbriciolavano sui fianchi della nave in partenza.
Fu un richiamo comune, una voce che li conosceva troppo bene, qualcosa o qualcuno che aveva deciso per loro, che il momento di affrontare il sogno era già stato troppe volte rimandato.

Quello che il signor Pascal vide quel giorno è difficile spiegarlo, tutto ciò che aveva immaginato era ora davanti a suoi occhi:un salice immenso, gigantesco come nei disegni acerbi di Susy, mille e più rami sembravano partire dal tronco massiccio e solido, una cascata di foglie giovani e bellissime gli ricordavano i morbidi capelli biondi di Susy. Il signor Pascal, sorridendo e con gli occhi umidi, salì di corsa lungo la corteccia e si spinse sempre più su, più su, fino alla punta estrema: con il fiatone e le mani scorticate, vide Northfolk, e vide la sua vecchia casa, e pianse.
Pianse per tanto tempo, respirando lentamente quei profumi che non lo avevano mai abbandonato.
Ma i suoi pensieri furono come rubati, improvvisamente, da un rumore. Qualcuno stava salendo, stava venendo "dentro casa"! Il signor Pascal respirò profondamente e attese di capire.

"Questi colori sembra che li hai scelti tu, ma come hai fatto?" Oddio ma questa voce è...
"Quando anche io sarò un "signore" come mio papà ti chiederò se vorrai vivere per sempre con me, lassù - voce dolce, voce che rimbomba nell´atrio di un asilo- ci porteremo tutti i giocattoli che abbiamo e non ci annoieremo mai, perché..."
"...perché giocheremo insieme, tutti i giorni..." continuò il signor Pascal, con voce sottile e tremante e con lei negli occhi, di nuovo.
"Dai" disse lei, con il sorriso che Pascal aveva sempre tenuto con sé "mettiamoci al lavoro Pascal, possiamo cominciare dal tetto...no?"
"D´accordo Susy, cominciamo dal tetto...".

Era una splendida giornata e lo si capiva subito, dai capelli mossi di Susy, dagli occhi bagnati di Pascal, dalle loro mani intrecciate, dall´odore di pane fresco e di merende, dai colori di germogli appena spuntati, ma soprattutto dal tetto di una casa fino a quel momento solo immaginata: il "Salice di Susy e Pascal", finalmente abitato da chi, un giorno, gli regalò la vita.