Maurizio Baruffaldi

Mi chiamo Maurizio, oppure  vval.baruffa@tiscalinet.it, e non sopporto le cose cucinate con la panna.
Mangio assolutamente tutto, ma cerco di evitare i piselli. E il burro fuso.
Forse perché le mie storie sono un po’ pannose anche quando sono crude, le donne delle mie storie sono tutte principesse sul pisello ed io, quasi completamente fuso.
Parto spiritoso perché non so che dire, ed è mezzogiorno, dal piano sotto sale un odore che ricorda questi tre ingredienti, ed ho fame di tutt’altro.
Non manca poi molto agli anta, e non sono mai stato cosí bene. Scrivere e leggere saranno le uniche due costanti della mia vita e vi giuro, non è poco . Il resto è amore e abitudine. Il primo è un meraviglioso malinteso, ed il suo tempo è compreso tra un mai ed un sempre. E lí la fortuna conta. La seconda è un nemico indispensabile e sempre nuovo, ci tiene allenati a combattere.
Ma le lettere sono passione e velleità, ci si scalda con l’incompiuto, con un benemerito nulla. Non esiste una meta, un’ aspirazione. E’ respirazione… Ecco, ve la butto cosí.
Oggi il mio è buonumore, ed è con quello che mi presento.

P. S. Odio anche il punto virgola, anche se non ha colpe.

CENONE DI CAPODANNO

Sulle vetrine dei negozi e ad arco sulla via si inseguono e lampeggiano le scritte. Chi passa ha passi svelti ma senza premura, le macchine diradano, le ultime si intrecciano nel parcheggio del Supermercato.
Il sole si è nascosto dietro.
Marcello è sul Ripamonti, ha un vagito d'entusiasmo e trentamila da investire. Le carte colorate e le buste spigolose che vengono adagiate nei bagagliai spostano i suo sensori.
Non vuole concedere nulla alla farsa, ma la gola, è un peccato originale e va onorato.

Marcello ha capelli lunghi e tanti, neri, mossi come dred slegati, e un pastrano con mantellina scovato alla fiera di Sinigaglia. I suoi occhi color acqua sono attraversati da una rete di rigoli rosa. La sua magrezza è tanta, ma sana, e invincibile.

Le porte automatiche del Supermercato si aprono. Le sbarre metalliche somigliano al comando che inserisce una pallina in un flipper e Marcello di conseguenza: entra nella scena di troppe luci, strizza gli occhi, prende un cestello a mano e parte veloce verso il settore verdura, muovendosi con passi incollati e allargando le braccia al cambio direzione. E' un gesto metabolizzato, gioia e fantasia, consumo a vasta scelta, nei corridoi del supermercato.
Poi si automatizza.
Ora sta osservando. Tra la rucola e la trevisana. Vuole una verdura veloce.
Il suo sguardo è fisso, la sua testa fa da telecamera.
Oltre l'inquadratura, il buio: non vede, sembra, le persone che partecipano al suo stesso silenzioso rito: sono troppe, e urta facilmente le loro sagome, incolpevole.
Una donna, spinta, si volta e lo guarda. I suoi occhi compaiono nell'inquadratura di Marcello dopo una sequenza di colori forme e promesse da tavola.
La donna sembra intimorire, come di fronte a una scena un po' lugubre.
Le telecamere hanno la fortuna di non avere un'anima, e quella di Marcello al supermercato spaventa le signore.
BIM BUM BAM: trevisana.
Si dirige sotto la voce pescheria. Poco rimasto. Un branzino da quattro etti confezionato il 31.12, l'occhio abbastanza roseo, il prezzo in sintonia con l'evento.
- L'allevamento ha i suoi vantaggi... Che sapore ha un branzino vero, signora? Quelli da 50000 al chilo? - dice alla donna, l'intimorita di prima, che non si aspetta né lui né la domanda mentre avvicina la testa a una confezione di filetti d'aringa fresca.
Non è pronta. Tempo scaduto. Marcello torna al branzino senza sentire risposta.
Conta la somma dei due prezzi che ha nel cestello e ricava il budget rimasto.
Due chili di sale grosso, un trancetto di scamorza affumicata e una ciabatta confezionata calda. Rimangono circa dodicimalire per il vino.
La bottiglia giusta la sceglie tra quelle intorno al deca.
' Rosso rubino fin quasi granato...' è l'incipit della presentazione.

Si mette in fila alla cassa del massimo dieci pezzi, dietro una testa con i capelli che diradano. E' proprio davanti ai suoi occhi e a Marcello sembra che uno dei capelli si affievolisca e si stacchi. La cassiera tiene la testa sul finestrone del codice a barre e sfila velocemente la merce, alza gli occhi solo per ritirare e restituire denaro. Marcello le sorride incontrando il suo sguardo.
Ha le mani piene d'anelli e nessuna fede e vorrebbe proprio quella, pensa Marcello. Il rossetto è cosí acceso che le nasconde il viso, gli occhi grandi, quasi sbarrati, di una Biancaneve sul chivalà.
Però è svelta, programmata nei gesti, a Marcello piacciono cosí. La lentezza di una cassa lo fa saltellare.
L'occhio gli scivola sui seni, che un maglioncino di lana leggera regala come fossero dune di un segnale stradale. Lo sposta subito al viso, per pudore, poi lo fa ricadere sulla targhetta appesa all'altezza del capezzolo: Marisa Manzoni.
Auguri Marisa, si presenta, mentre sfila il codice a barre della sua cena.
Auguri, risponde Marisa.
Sei pronta per la festa?
Pausa, poi Sí, risponde lei. E prosegue.
Marcello intanto stira i tre deca da consegnare.
Ha la fidaty?
Marcello la guarda sorpreso.
La carta, gli dice.
Vuoi scrivermi l'indirizzo della tua festa?
La carta dell'Esselunga, insiste lei.
No, non ce l'ho... risponde, guardandosi il palmo delle mani poi tastandosi le tasche di un pantalone abbondante. Vent'ottotrecinquanta, aggiunge, anticipando il totale del display.
Bravo! La cassiera ritira stirandole ancore le tre banconote.
Scrivimelo sulla mano l'indirizzo, propone Marcello, e allunga il braccio verso di lei.
Lei gliela sposta lentamente, e lui asseconda la spinta come fosse già petting.
Una coppia di albanesi sta sistemando in piedi come birilli una decina di Moretti 66cc., dicendosi qualcosa in un idioma sconosciuto, soldi, sembra.
La mano di Marcello è troppo vicina al cassetto dell'incasso.
Marcello la alza per innocenza, e li invita alla calma. L'espressione del tipo, anche nella parte del poliziotto, è sempre quella di un magnaccia. Magari della giovanissima che gli ha fatto un pompino con disprezzo sulla circonvallazione, la notte di Natale, pensa Marcello.
Mentre riempie il sacchetto i due riempiono il loro e lo guardano come si guarda un nemico nella giungla. Le birre in piedi e pigiate sembrano il caricatore di una colt all'ingrandimento, avrebbe preferito non fare gesti di sfida ma lo ha fatto.
Auguri Marisa, ripete e parte.
Un altro augurio, un'altra concessione, ma è solo il desiderio di donna d'altri, come lo sono poi tutte, in fondo.
Auguri, risponde lei, e sembra che abbia un lampo di dispiacere.
Marcello si ferma e pensa a quanta energia servirebbe per insistere.
Fuori, dall'altra parte del vetro, in mezzo a due manifesti con 3x2 cubitali rossi, infila la testa e la guarda fin quasi a farsi sentire.
Lei lo vede, intravede, e ride. E' un sorriso da cassiera. Che dura un attimo. Marcello alza la sua borsa e riparte.
Una lucidatina alla vanità, una pennellatta di fresco, un litro di di autostima, che basti per la notte... Lei è li comunque. Lo vedrà passare e ripassare.
Ma da domani in poi.

E' buio, le luci e gli addobbi risaltano, anche l'odore è ruffiano, spigoloso e dolce, e Marcello prova un respiro profondo e insistito. Saltano due grossi botti.

Il silenzio si esalta nella via ultima, che si spegne nei campi. Un solo lampione acceso,il piccolo portone è appoggiato, l'occhio della serratura cieco, l'odore del pianerottolo è lo stesso di una cucina cinese.
Sale le scale ripide senza luci. Il fascio di una grossa luna infila le finestre e si stende, e disegna il suo profilo mentre sale al terzo ed ultimopiano.
Appena apre uno spiraglio alla porta due gatti gli saltano tra le gambe.
Pastrano, scarpe, pisciata, accende forno e piastra e stappa la bottiglia di rosso.
La radiosveglia segna in digitale le 20.00. Un complotto? pensa tra il serio e il faceto.
Il lavandino nell'angolo cucina è asciutto, come una miniera di sale, e le pentole sono a mollo nella vasca da bagno.
Al muro una foto arriccia sui bordi, ingiallita, di un Bukosky con barba lunga e cappello di lana ritagliato da un quotidiano. Di fianco una donna giovane sorride da una spiaggia. E scritte e disegni, testimonianze, come alle pareti di una grotta.
E' un monolocale con bagno separato. La camera da letto sono un grosso materasso appena sollevato e un tavolino della stessa altezza.
Una libreria stretta di legno bianco.
Marcello lava la trevisana e il branzino sotto lo specchio toilette.
La verdura la pressa nella piastra bollente.
Il pesce lo appoggia in un letto di sale grosso e lo copre lasciando sventolare la coda.
Anche i gatti sono sul letto, aspettano la servitú, immobili come due statue di porcellana.
Quando vedono la scatola di Friskies entrare in bagno si alzano malvolentieri.
Il branzino è personale, e Marcello chiude bene la porta.
Ricopre la trevisana stufata di fette finissime di scamorza e si versa un bicchiere. Cabernet-Sauvignon.
" E'il momento del Veneto, in rosso, poi questo è di qualche lira in piú... e infatti..." Schiocca il palato e fa un altro sorso, fino a finirlo.
" Infatti è giusto... lievemente tannico... cosa vorrà mai dire? Forse è questo asprino, questo fastidio di passaggio..."
Non lo ha mai chiesto e non lo cerca sul vocabolario, vuole indovinarlo.
Nel forno il formaggio si è avvolto alla verdura come un lenzuolo di seta e Marcello prende la maglietta consumata che usa da pattina e sforna.
Libera il pesce dall'armatura di sale, aprendola con un gesto senza dubbi, e la getta in un sacchetto pulito. I resti del branzino, lische e pelle, in un foglio di giornale.
Apre la porta del bagno e i gatti lo seguono fuori dalla porta d'entrata, dove li lascia insieme al loro pasto di mare.


La luce di una lampadagiraffa è la sola accesa, e punta sul cuscino, lasciando la penombra su Marcello, seduto sul bordo del materasso.
Marcello assaggia la carne bianca e tenera del branzino.
Alterna tre bocconi con mezzo bicchiere.
I gatti graffiano alla porta.
Consuma tutto masticando senza pause.
La testa gli gira, il vino scaccia e richiama la malinconia dell'immagine che ha di sé. E' come felice. E' una vendetta. Un'elevazione.
Si appoggia al muro bordo del letto.
Prende il quotidiano da terra. L'alba è annunciata alle sei e trentadue.
Punta la radiosveglia alle 06.32. Sono le 21.
Si sdraia e si copre, vestito.
I gatti graffiano con meno forza.
La testa si affolla di passato presente e futuro.
Il passato è addestrato e feroce, il futuro un buco nero in fondo al tram, dice una canzone di Iannacci. Ma Marcello va sempre a sedersi nel buco in fondo al tram e non lo ha mai trovato piú nero di altri posti. Il presente è mobile, per ora è il sorriso della cassiera dell'Esselunga.

Il display segna le 23.33 quando il pensiero e il sogno di Marcello fanno cosa sola.
Respira con la bocca aperta. Il suo volto sembra seguire la trama difficile di un film.
Dorme.
I botti insistiti della mezzanotte e, dal piano sotto, il ritmo a martello di una musica a palla che sembra un elettrodomestico impazzito, si mescolano al sogno.

Giorno.

Marcello è in strada, ci sono resti, bossoli, e bicchieri, lattine e bottiglie, il silenzio è postatomico, una voce si alza e si spegne. Si incammina chiuso nel suo giaccone usmando e riconoscendo con piacere la polvere da sparo.
Appena sveglio ha dovuto cagare, ha perso tempo, e il sole è già sbucato dalla fila di case. Passa un auto con quattro pigiati.
Il freddo è pulito, giusto, la temperatura esatta del silenzio.
Marcello sfila un ciuffo di tabacco. Si rolla a passo da crociera un sigarino.
Un tram si annuncia nitido come una traccia campionata. Dietro il finestrino, due teste di donna , capelli legati da un nastro come fasci di fieno nero, appoggiate l'una all'altra, sembrano dormire o immaginare la realizzazione d'un sogno. Oltre loro il tram è vuoto, Marcello, a cinque metri, non fa cenni di partecipazione e l'autista, che guida come tentasse il record di un videogioco, non si ferma alla fermata obbligatoria.
Si chiude bene il pastrano e sale il dosso che chiude Ripamonti, la testa appena in avanti e le mani nelle tasche del pantalone. Scalda il passo, lo aumenta e rallenta, fino a trovare quello che lo fa star meglio.
Un giovane in bicicletta pedala spedito scendendo dall'elevata. Vede Marcello dal lato opposto e frena, cigolando, vira, attraversa le rotaie e gli si avvicina. Si accosta. Marcello gira appena la testa, per ascoltare l'imprevisto.
Sai se c'è un tabaccaio aperto, in zona? chiede in battuta il ragazzo ed ha voglia immediata di risposte.
Non lo so... C'è un distributore automatico... risponde.
Ah va bene...
In fondo alla via...due o trecentometri.
Aspetta..., il ragazzo ferma la bici e si fruga nella tasca.
Ho solo cinquantamila... Puoi cambiarmeli?
Marcello rallenta, non è pronto all'azione, gli occhi del ragazzo sono quelli di una lunga rincorsa e lui è appena partito.
No, dice palpandosi appena le tasche.
Ha un cinquemila. E un pacchetto quasi vuoto.
Cazzo, senza sigarette è dura... Come cazzo possiamo fare...? Ti do un cinquanta e tu mi dai cinque?
E poi...? risponde Marcello.
E poi... Poi fumiamo, e tu non lo so...se vuoi puoi salire... c'è un po' di gente.
Tutto è cosí veloce che tra il sí e il no non c'è differenza.
Marcello si posiziona a fatica sulla canna della bicicletta. Il ragazzo lo sistema come un bagaglio e parte sforzando la prima pedalata, e alzandosi sui pedali.
Parla nell'orecchio di Marcello urlando, con la confidenza di uno che ti conosce da sempre.
Marcello è preoccupato a tenersi, senza appoggiarsi troppo al ragazzo, spostando la testa in avanti. Il ragazzo arriva da una specie di Raveparty casalingo, e il volume della sua voce è rimasto lo stesso che deve vincere quello delle casse.
- Dido ha sboccato. Lo abbiamo portato al Pronto Soccorso, perché tremava e non riusciva a tirarsi in piedi. Gli hanno fatto un punturone e lo abbiamo riportato a casa. Ora dorme...Ma sta meglio. Si è buttato giú di tutto... Io bevo poco... E mi sono salvato...Ti piace l'Ecstasy? Abbiamo calata l'ultima un'ora fa... E senza sigarette ti scoppia la testa.
Dopo questa però vado a dormire... Non vuoi salire? C'è dell'erba
buonissima... -
Si avvicinano al distributore. Un campanile segna le otto e dieci.
E' là, indica Marcello, e salta giú al volo.
Il ragazzo smette di parlare.
Con cinquemila si possono prendere le Diana o le Emmeesse, dice Marcello.
Il ragazzo ha solo cinquantamila, niente monete. Prendono un pacchetto di Diana. Dividono le sigarette. Marcello ne lascia altre cinque e infila le sue cinque nel pacchetto.
Poi batte sulla schiena al giovane. Sicuro? chiede questi con le cinquantamila in mano. Vai tranquillo, risponde e si congeda.
Il ragazzo riparte facendo un prolungato cenno con braccio e pollice teso, Vai!
Marcello riprende il suo cammino sostenuto, sempre dritto, verso il centro.

Si vede che c'è stato il delirio, la pace è solenne, e Marcello accumula adrenalina ad ogni passo. Con la testa sollevata, cammina in mezzo alla strada, senza calpestare le pause del tratteggio.

In Piazza Mercanti i corpi morti dei bossoli si moltiplicano, la polvere da sparo esala la sua dose definitiva. Due sacchi a pelo dormono al riparo del porticato.
Il piazzale sembra il salone di un centro sociale domenica mattina, il Duomo lo guarda, e sembra ammonirlo. Un grosso palco sul sagrato aspetta la definitiva asportazione. Una macchina degli sbirri è posteggiata all'entrata della Galleria.
Un uomo, seduto sullo scalino della statua di Vittorio Emanuele, lancia un sughero di spumante al suo bracchetto femmina. Il turacciolo rimbalza sbilenco sull'asfalto e lei lo segue e insegue con il muso. Quando si ferma lo assalta e riporta nella mano dell'uomo.
Marcello osserva e osserva, da fermo, ancora.
Poi si dirige in linea retta e si avvicina.
E' un uomo di cinquanta o sessant' anni, vestito con un loden blu e una sciarpa scozzese, i pantaloni di lana grigia con la riga, le scarpe di camoscio marrone e un cappello a falda rotonda tipo pescatore. Un'eleganza povera e antica che intenerisce Marcello.
L'uomo si gira a salutarlo con un sorriso, quando lo sente a pochi passi, come l'aspettasse.
Marcello pensa al Maestro e Margherita. Che non ha mai finito.
Il diavolo potrebbe presentarsi piú docile di cosí?
Sorride, della divertita paranoia che lo ha preso. E l'uomo anche, senza girarsi.
" Sarà la polvere da sparo che mi stimola cosí l'immaginazione, che mi manda all'aceto, è la mia nuova sostanza... Devo proporla per qualche festino, pensa, pipare la polvere da sparo... Bello. Cosí, definitivo. Quale polvere è cosí polvere? Forse quella che ritorneremo ad essere noi... Piparla non si può, ma far scoppiare cento petardi in una stanza e poi organizzarci il festino ..."
E' di uno strano buonumore. Nulla disturba il suo pensiero. E' in piedi a cinque metri dall'uomo.
- Non sarà mai piú cosí silenziosa questa piazza... - osa.
- E' il silenzio che lascia il passaggio delle armi... - risponde l'uomo.
Marcello tace. Il calpestio del cane è nitido e riposante.

L'uomo ha la barba fatta di fresco, la pelle senza alcuna irritazione e profuma di caffè. Il suo volto rivela una notte di buon sonno.
- Non hai fatto festa stanotte? chiede a Marcello.
- No. Nemmeno lei?
- Volevo festeggiare oggi.
- Beh, anch'io in fondo.
- Ma non festeggio piú.
Il cane sta abbaiando al turacciolo fermo nella mano del padrone.
- Volevo spararmi... - dice a voce troppo bassa.
A Marcello sembra di capire sposarmi, ma non è sicuro e non risponde.
- Dovrei esplodere un altro colpo in mezzo a questa piazza... Ora merita silenzio - prosegue il filo del suo pensiero l'uomo, e lancia finalmente il sughero. Il cane smette di abbaiare.
- Lo senti il profumo... E' un profumo, quando ti ci abitui... -
Marcello non trova il collegamento, prova a sorridere.
" ... Sarà un militare, un ufficiale mezzo toccatello, solitario, al quale è morta la moglie e si è perso, crisi mistiche, nessuno che si occupa di lui, senza figli, i parenti hanno altro a cui pensare, pagherà qualcuno per la casa e il resto, lucido e non pericoloso, con le sue fisse, convinto...Ha trovato uno con cui parlare, sta centellinando le sue paranoie per non farmi scappare, trovato uno, quelli cosí, non se lo fanno scappare, lo inondano, è il mondo raggomitolato che maturano in solitudine, vago divago dipano il mio spago..."
Intuisce, un attimo dopo, che la parte finale della riflessione riguarda un po' anche lui.
L'uomo sembra gradire, assorbire la sua presenza.
Marcello prende il tabacco e gliene ne offre. L'uomo rifiuta e ringrazia.
Uno sbirro scende dall'Alfa.
Marcello lo vede, in un istante gli va incontro, con le mani aperte, non è successo niente, tranquillo, guarda, non ho nulla, vuoi perquisire...
Il poliziotto alza la pistola e la punta in direzione della sua faccia, Marcello rallenta, vira dolcemente come tra i corridoi del Super, e torna indietro.
L'uomo ha visto e si alza, rilancia il sughero in direzione dei suoi passi, alto e magro, cammina senza tensione e senza indolenza. Marcello non può fare a meno di mettersi sulla sua scia. Lo sbirro aspetta, in posa. E' stanco, e l'immagine dei tre che si allontanano non può provocare preoccupazione. Il suo collega è in macchina e aspetta la fine dell'allarme per riabbassare le palpebre. Appena l'altro riapre la portiera e dice tutto a posto, le cala con un breve sorriso.
Sotto il porticato Marcello affianca l'uomo.
Si è spaventato? gli chiede.
No, risponde.
- Ci voleva uno specchio... Ho letto di quella ragazza, che ad un poliziotto armato fino ai denti, ad una manifestazione contro il WTO, un'assemblea mondiale sull'economia, non so, ne avrà sentito parlare... Beh, questa ragazza viveva da giorni su un albero e a questo poliziotto armato ha messo davanti uno specchio, obbligandolo a guardarsi... Un burattino che punta una pistola a sé stesso... -
L'uomo sorride, alza lo sguardo. E lo ritira.
- Perché non hai festeggiato? - domanda ancora a Marcello.
- Per ribellarmi... - si giustifica dandosi un tono alto, e comunque vero.
- Da solo... Nessuno lo ha fatto con te?
- Certe cose si possono fare da soli... - risponde Marcello, e si trattiene dal chiedere la stessa cosa, intuendo che il nocciolo e l'imbarazzo sono in quella direzione.
- Non hai una ragazza , una donna che ti ama? -
Non si è posto la questione, ma la risposta è automatica:
- C'è sicuro, sono in fase di studio...
- Sei giovane, ci sarà...
- Perché c'è un'età che merita di essere amata?
L'uomo non risponde.
Marcello si blocca, sente che si sta avventurando, continuasse lo aspetterebbero garbugli e retorica, e improvvisa una carezza sul muso del cane.
L'uomo lavora qualcosa nella tasca del cappotto.
Una donna sta fotografando la piazza. Si muove e si piega, cambia l'inquadratura, scattando a ripetizione. Ha un naso assurdo, che spunta dalla macchina avvicinata all'occhio, ed ha un grosso cappotto, una trapunta nera che la copre come fin quasi le caviglie. Si piega davanti a loro, con il Duomo sullo sfondo e chiede il permesso di una foto. E' attivissima e senza mezze misure, non aspetta che i due siano pronti, non hanno detto un no deciso o mostrato fastidio, CLIC.
L'uomo sta guardando la macchina e con la mano aspetta la consegna del turacciolo. Marcello è leggermente piegato in avanti, i capelli scendono sulla barba spessa di due giorni come un sipario semiaperto. Il duomo è coperto da un edicola.
Marcello non ha ancora visto una donna nel nuovo anno, e questa la trova bella. E' felice di essere stato immortalato.
- E' un servizio per un settimanale, se avete problemi questo è il mio biglietto da visita. -
Lo passa all'uomo. Che lo passa a Marcello.
- E' il dayafter? -
- Piú o meno, sí . La quiete dopo la tempesta, se preferite.
La donna non è né giovane né vecchia, ha la pelle rosea e gli zigomi pronunciati.
I suoi occhi severi si sciolgono in un sorriso inaspettato. Quanto basta perché Marcello la trovi bella.
- Un'altra persona che non ha festeggiato, - dice, rivolgendosi all'uomo con intimità. La donna sistema qualcosa alla macchina fotografica.
Guardandola meglio Marcello desidererebbe vederla nuda. Per documentarsi.
Mette in tasca le sue generalità, per ora.
- Ce la fa vedere prima di pubblicarla? -
- Se decidono di pubblicarla sí, mi telefoni tra una settimana, glielo farò sapere, - risponde la donna che intanto ha girato lo sguardo cercando dove posare nuovamente l'obiettivo.
- Nessun veglione stanotte?- domanda ancora Marcello, preso dal gioco della seduzione e rafforzato dal silenzio partecipe dell'uomo al suo fianco.
- Ogni occasione è buona per festeggiare... ma si lavora quando si deve... Buona giornata, - e con un cenno di saluto, si avventura nel piazzale del Duomo.
- Ti piaceva questa donna? - chiede l'uomo a Marcello.
- Piú passava il tempo e piú sí, mi piaceva.
- Avrà poco meno della mia età... -
- E' una donna... Io amo le donne, finisco per trovarci sempre qualcosa che mi piace.-

In piazza Cordusio l'uomo si ferma, gli avvicina il braccio con una mano e con l'altra gli stringe la sua, da ultimo saluto. Lo tira piano a sé, passandogli qualcosa. Marcello riceve, si piega e appoggia le guance alle sue. Prima una poi l'altra.
L'uomo rilancia il turacciolo in avanti, il cane parte, lui anche, verso Garibaldi, senza parole aggiunte.
Marcello tiene stretto il pugno. Teme, o spera, qualcosa, non sa cosa.
Non è polvere, non poteva preparare nella tasca una bustina, e poi, sente nel palmo, c'è come una nocciola, dentro. Aspetta ad aprire, gioca ad indovinare. Dalla Metropolitana salgono tre persone che sanno di vita quotidiana, passa una macchina dei Vigili Urbani, ancora macchine della polizia, e camion di gente che deve ripulire. Motori e voci sono ricomparsi.
Marcello ora prova disagio a stare fermo. Deve camminare ma la sua direzione è la stessa dell'uomo e aspetta ancora. Il saluto era definitivo.
Lo guarda allontanarsi, pensando quasi che possa scomparire.
E' pieno giorno. C'è sole. E l'uomo non scompare.
Marcello lo vede deviare il passo, sfilare dalla tasca un oggetto, avvicinarsi ad un cestino del Comune che sembra un boccale di birra con troppa schiuma e incastrarcelo dentro.
Il cane salta e abbaia al cestino. L'uomo gli mostra il turacciolo e lo rimette in tasca.
Indica al cane il passaggio di una macchina. Il cane si affianca al padrone, a fatica, sul passeggio, ma la coda dice che c'è stata una promessa.
Marcello vorrebbe dare un filo, una logica alla situazione, un'identità al tizio, prima di aprire la mano... Ma sta facendo un castello di nulla, un uomo solo, disturbato, come chi è troppo solo, magari una caramella, è un classico, speriamo drogata allora, ride questa volta Marcello e apre la mano. E' un foglio strappato da un agenda, piegato bene.
Dentro c'è un piccolo proiettile dorato.
La data 30/ dicembre/ 99, e la scritta fitta e uniforme di una donna.
Marcello alza lo sguardo, l'uomo e il cane sono scomparsi.
Si avvia verso Garibaldi.
Forse ha capito.
Si ferma al cestino, infila la mano, rovista tra le carte e sente il calcio freddo di una pistola. Il cuore accelera di suo. La stringe per un paio di secondi, mentre fa uno piú uno.
Rigira il proiettile, la vita di quell'uomo. Un regalo piú grande non c'era.
Per un attimo ha il desiderio di portare con sé la pistola, una pistola vera.
Ha pure il colpo. Non scherziamo. La lascia e si allontana. Ha un pensiero dannoso.Non era un passaggio di consegna, altrimenti non l'avrebbe gettata nel cestino, pensa, rinfrancato. Neppure l'invito a liberarsi di qualcuno.
Al momento non trova nessuno che vorrebbe uccidere. E' in buona.
Riavvolge il proiettile nella pagina del diario, come una golia.
Sono le dieci.
10.00./01/01/00, pensa Marcello. Linguaggio binario. O di qua o di là.