Grazia Benvegna

Ho 44 anni, siciliana, vivo e lavoro in Svizzera. Descrivere me e la mia vita si fa complicato e produce in me l'ansia del risultato. Quanto sono bella e brava? Quante cose speciali compio e ho compiuto? Quanti limiti e ostacoli trovo e ho trovato? Quante le profondità che ho toccato?
Una cosa é certa per un verso o per l'altro ho percorso molte strade e tutte, comprese quelle che ho lasciato, mi hanno formata e mi formano...
Mi piace spostarmi da un livello all'altro sia in termini di conoscenza che di pratica (professionale). L'insegnamento mi da soddisfazioni nella misura in cui continuo ad imparare. Conduco gruppi di danza moderna, danza espressiva, danzaterapia. Sono formatrice di operatori sociali. Tengo colloqui d'aiuto (counselling). Mi muovo con grande forza e prudenza dentro il terreno umano. Ad incuriosirmi ( e a confondermi ) non sono le cose, ma il genere umano. Sono mamma di Samuele e di Rebecca. Nel 2003 ho pubblicato il volume di poesie "Cocci", Ed. Ulivo.

Il portone

Più in là c'è il circolo. Ogni giorno ci passo davanti a bordo dell'autobus. Più o meno al centro del portone in legno naturale, avevo notato la particolarità della maniglia intarsiata di grappoli a forma di ics sui lati lucidi. Dal colore bruciato tendente al marrone deduco che sia stata realizzata con una fusione di ottone e altri metalli. L'effetto é altamente antico e suggestivo. Sarei tentata di prendermi una piccola libertà e defilarmi in silenzio rimandando lavoro e tam tam… Ci sono occasioni che tradiscono anche le più abili diplomazie, sorridente e incurante disdico gli appuntamenti, la tensione che arriva dall'altra parte del telefono oggi non mi riguarda. Scendo alla fermata, l'aria pizzica la pelle, mi sento delicata e stuzzicata da una folata di emozioni. Non so cos'ha quest'aria che suggerisce al mio corpo una fonte nuova di sensazioni. Certo è che tutto cambia, d'un tratto i contorni sono nitidi e attraversati da una vuota forma di sguardi che mi vengono incontro, di mani riflesse che danzano nei vetri brillanti. Il dominio dei tetti s'incurva di assenza ingoiato da un cielo viola che fascia le sole pareti. Proprio in mezzo, dalla mia prospettiva, una finestra del circolo è inscurita da ombre mobili. Mi pare di riconoscere la figura alta a destra, e un braccio che si leva e si abbassa in gesto ritmico. C'è qualcuno! e qualcosa… che dovrei comprendere. Barcollo urtando contro un corpo abitato di stizza che mi fa scivolare dal ciglio del marciapiede e volo impazzita dall'altra parte della strada senza ricordare il perché. L'alleanza tra desiderio e ragione si rompe in pochi attimi: "non ha fine quel che sto cercando, non è eterno quel che inzuppato di amori vado trovando. Resisterò al fuoco che dentro a queste mura sta divorando le mie certezze. Correrò via, lontano da qua, per non sentirmi in colpa".
Gli anni migliori devono ancora venire e non so per ovvie ragioni in quale metafora del portone dirimpetto mi rappresento.
Proveniente dall'insegna, la luce del circolo mi ritorna estranea. Quel pezzetto d'arte appeso alla porta mi espone al rischio della grandezza. Il mondo forse inizia là dentro. Immagino porticati fiancheggiati da eleganti corridoi e in tondo a larghe sale depositati gli avventi artistici. Ripenso agli ambienti di rilievo in cui elementi

decorativi, incesti di superbia e maniere posano intatte le cubiche facce della vita. Rovistare nell'antichità, spogliarla di mistero in
funzione della modernità: ecco com'è collocabile nella storia utilizzabile accanto ad un'altra storia utile una diretta spiegazione. Non ha arte il mondo per me.
Ripercorro la via e mentre m'addentro nella mia, il vociare di città si estende per chilometri e chilometri. Una fine pioggia s'intenerisce della mia natura e non c'è portone che non sia in contraddizione con la sua eco.

 


Ombre nel vento

Le ruote stridono. Il vento si solleva da terra portandosi dietro i detriti e disseminando per larghe aree sabbie giallastre, sostanze cartacee, cocci e lattine, roba di ogni genere. Il signore di mezza età frena all'impazzata davanti al cumulo di macerie. Odia di più le perplessità negli occhi scrutanti della gente che la causa stessa dell'imprevisto. Le cause, pensa, sono superabili, ma gli effetti durano. Si conservano indelebili nel tempo… Incancellabili anche se la ragione che li ha originati non ha più motivo di sussistere.
Ci si dimentica facilmente della persona, meno del sorriso che la contornava.
Il fenomeno del suo dolore per troppi anni auto-alimentatosi non spiegava alcunché. Si sentiva certo di aver subito una sorta di spostamento: un tema sfocato al centro s'insinuava ovunque sensibilizzandolo in modo periferico e devastante.
Retromarcia, qualche manovra e l'uomo riparte spingendo al massimo il pedale, girato l'angolo del rione e meno esposto, prosegue dritto fino alla parallela della via precedente, poi un'occhiata nello specchietto retrovisore per sparire, con il ghigno di soddisfazione tra i baffi, sulla strada principale. Il paese è quasi deserto, molti si sono accalcati nei negozi e nei bar cercando riparo. I più temerari reagiscono alle frustrate del vento che si dimena con forza dai quattro punti cardinali aggrappandosi ai pali, trincerati dietro le auto ferme, appoggiati ai muretti. Si aspetta, in balia del mostro, il ritorno alla calma. Victor si allenta la cravatta e con qualche colpetto manuale riassetta i ciuffi della folta e grigia capigliatura. Il gesto spontaneo, contraltare della violenza atmosferica, ridisceso nel corpo ancora attraente, con riguardosa speranza, tacita l'attacco aggressivo dei suoi pensieri…
La ricognizione sul luogo del passato scorreva dinnanzi a lui senza più freni: una collinetta, sparuti alberi, un viso, un cane: virtù e debolezze dentro la vita di ogni giorno.
Pian piano come riquadri di un film caotico riemergevano dalla caduta ideale vive voci di un sabato sera. Le mani bianche di lei sul viso livido di rabbia, il corpo magrissimo e dinoccolato, proteso per sempre verso l'uscio.


La bufera, dal giorno in cui, trascorsi vent'anni, non si poteva tenere in serbo un solo attimo d'amore, aveva riprodotto una montagna e in potenti getti di memoria deposto i suoi detriti.
Victor che si era ostinato a cancellare ogni traccia rivoltandosi contro la vergogna della perdita, ora può involontariamente ricordare e dall'altra parte della collinetta, affacciato sul panorama, a ridosso della casa scomparsa nel vento, risalire marciando nella storia.