Leonida

Ho 21 anni.
Scrivo praticamente da sempre.
Scrivo soprattutto poesie.
Ho scelto di essere poeta.
Perchè si sceglie di essere poeta.
Ma ho scritto anche racconti.
Questo è il primo che ho scritto.
E ve lo presento così per com'è.
Lo spazio tra prosa e poesia.

Il ribelle

Questa è una storia vera.
I nomi sono stati cambiati.
Ma non è stato cambiato ciò che hanno fatto.

L'aula era sprofondata nel silenzio.
Tutti quanti erano come assorti.
Andrea aveva ancora il braccio alzato.
Aveva ancora il pugno chiuso.
E sul pugno, uno schizzo di sangue.

Il professore entrò in quel preciso momento.
I suoi occhi videro tutto.
Il silenzio fu interrotto bruscamente.
"Andrea! Fuori dal preside! Fuori! Fuori!".
Andrea abbassò il braccio, aprì la mano e uscì dall'aula. Sembrava come ipnotizzato.

Andrea andava molte volte dal preside.
Il preside, oltre ad essere il suo preside, era anche suo amico. Di solito era contento di andarlo a trovare.
Di solito, quando percorreva quel corridoio,
fischiettava qualche canzone.
Oggi però Andrea non ha voglia di fischiare.
Vuole solo arrivare il prima possibile.
La porta dell'ufficio è subito vicina.
Così vicina da poterla toccare.

Andrea bussa. Nessuno risponde.
Andrea bussa un'altra volta. Non c'è proprio nessuno.
Il preside deve essere impegnato da qualche altra parte.
Niente da fare. Non c'è che da aspettare.

C'è una stanza davanti all'ufficio del preside.
Una stanza sempre aperta. Nella stanza c'è un tavolo lungo, sedie di legno, una poltrona comoda.
Andrea però non vuole stare comodo.
Preferisce la sedia.
Si siede per aspettare.

Il preside non sarà mai così veloce.
Non può impedire ad Andrea di ricordare.
La sua mente sta già andando indietro.

Il viaggio sta per cominciare.

Ogni classe ha il suo leader.
È una legge delle scuole.
Il vero leader non è mai il più intelligente.
Il vero leader è sempre il più forte.
Andrea è un ragazzo intelligente.
Matteo è il vero leader.

Matteo è forte, è il vero leader.
Matteo parla, tutti lo ascoltano.
Matteo chiede, tutti dicono di sì.

Matteo ha un coltello.
Modello "butterfly", di quelli che si usano in guerra.
Una lama nera lunga 12 cm.
Matteo è l'unico che può avere un coltello.
È il coltello che fa di Matteo un leader.

Matteo è il leader della classe di Andrea.
Però non è il leader di Andrea.

Quella parola, Andrea sa dirla.
Sa dire quella parola che fa tanta rabbia a Matteo.
Andrea sa dire "no".

Andrea non vuole obbedire al leader.
Andrea non vuole seguire Matteo.
Andrea vuole essere solo Andrea.

Matteo questo non può permetterlo.
Matteo ama troppo il suo potere.
Matteo deve affrontare ogni minaccia.

Andrea è una minaccia per Matteo.
Una minaccia e una parola.
Una minaccia è una parola.
La parola: "no".

Matteo ha tre amici.
I loro nomi non importano.
Gli amici di Matteo non hanno nome.
Gli amici di Matteo non hanno volto.

Andrea li ha conosciuti.
Li ha conosciuti nei bagni della scuola.
Quando Andrea aveva detto "no", la prima volta.
Andrea era andato in bagno.
Loro però lo avevano seguito.
Lo hanno preso e lo hanno picchiato.
Hanno picchiato il corpo e le gambe.
Non hanno toccato la faccia.

Non vogliono lasciare segni sulla faccia.
Vogliono solo fargli dire: "si".
Non possono lasciare segni sulla faccia.
Questa è la regola.
Niente esiste se non lo vedi con i tuoi occhi.
Vogliono solo fargli dire: "si".

Ma Andrea dice sempre: "no".
Non vuole dire: "si".
Non vuole, non vuole.
Matteo non smette di picchiare Andrea.
Andrea non smette di dire: "no".

Andrea non reagisce.
Andrea non è un leader.
Non sa usare i pugni.
Le sue mani sanno dare solo carezze.
Andrea usa la mente.
Andrea usa il cuore.
Usa una parola: la parola "no".

I tempi passano in fretta.
Il cuore di Andrea è forte. Può sopportare.
Meno invece può sopportare il corpo.

L'ultima volta è stata la più dura.
Segni sul petto e sulle spalle.
Mai sulla faccia.
Questa è la regola.
Niente esiste se non lo vedi con i tuoi occhi.

Il corpo di Andrea non ce la fa più.
Il corpo di Andrea chiede giustizia.
Una giustizia che ha il sapore di vendetta.
E questa sete si fa strada nel suo corpo.
E questa sete cresce dentro di lui giorno dopo giorno.

Ma Andrea non segue il suo corpo
Andrea segue soltanto il suo cuore.
E il suo cuore gli dice: "no".

Cos'è accaduto questa mattina? Andrea non lo sa.
Era la pausa tra le due lezioni.
Per un attimo, Andrea si è fatto tutto corpo.
Per un attimo, è esistito solo il suo copro.
Per un attimo, il suo corpo ha detto: "no".

Perché ora? Perché non prima? Andrea non lo sa.
È accaduto adesso, è accaduto e basta.

In quel momento, Andrea si è fatto tutto corpo.
In quel momento, è esistito solo il suo corpo.
In quel momento, il suo corpo ha detto "no".

E la mano di Andrea si chiuse in un pugno.
E il pugno di Andrea si tinse di rosso.

Matteo ci mise un eternità a cadere.
Andrea gli aveva spaccato lo zigomo con un solo pugno. Tutti lo avevano visto.
Avevano visto Andrea colpire Matteo dritto in faccia.
Tutti, adesso, potevano vederlo.
Potevano vedere quel segno coi loro occhi.
Potevano vedere cos'era la violenza.

L'aula era sprofondata nel silenzio.
Tutti quanti erano come assorti…

Il preside alla fine è arrivato.
Entra nel suo ufficio.
Andrea si alza dalla sedia.
Entra nell'ufficio del preside.
Esce poco dopo.
È stato sospeso.

Andrea torna a casa.
A casa lo aspetta la madre.

Lei sa già tutto.
Sa quello che altri le hanno detto.
Sa che Andrea ha picchiato un ragazzo.
Un ragazzo che non gli ha fatto nulla.
Tutti possono vedere il segno della sua violenza.
Nessuno sa perché Andrea lo ha picchiato.
Nessuno parla.

La madre allora chiede ad Andrea perché lo ha fatto.
Andrea non dice nulla.
Non sa perché l'ha fatto.
Non è stato lui a farlo.
È stato il suo corpo.
Il suo corpo che ha detto: "no".

Andrea è stato sospeso, ma non è stato espulso.
Molto presto tornerà a scuola.
Molto presto tornerà da Matteo.

E venne quel giorno.
Il giorno del ritorno.
Andrea entrò in classe.

Matteo era seduto al suo posto.
Era l'unico a non guardare Andrea.

Gli amici di Matteo guardavano Andrea.
Guardavano Andrea come si guarda un leader.
Nessuno adesso lo avrebbe più picchiato.

Adesso Andrea aveva imparato il loro linguaggio.
Adesso Andrea aveva accettato di essere come loro.
Adesso Andrea era degno di rispetto.

Ma Andrea non voleva questo.
Andrea non voleva imparare a dare pugni.
Andrea non voleva essere come loro.
Andrea non voleva essere altro che Andrea.

Le cose dovevano tornare al loro posto.

La ferita di Matteo cominciò a sanguinare.
Matteo uscì dalla classe per andare in bagno.
Andrea lo seguì.

Matteo si accorse di Andrea.
Per la prima volta, erano l'uno di fronte all'altro.
Per la prima volta, erano soli in quel bagno.
Per la prima volta, erano solo Andrea e Matteo.

Matteo prese il coltello e lo puntò alla gola di Andrea.
"Ora ti apro in due" disse Matteo.
Ma Andrea non faceva nulla.

Matteo restò immobile.
La sua mano sul coltello.
La lama conficcata nel viso di Andrea.
E sulla lama, uno schizzo di sangue.
Ma Andrea non faceva nulla.
Matteo lo guardò.
Lo guardò a lungo.
E capì.

Matteo credeva che Andrea avrebbe reagito.
Matteo credeva di trattare Andrea come tutti gli altri.
Matteo credeva, ma non poteva.

Andrea poteva essere trattato come tutti gli altri.
Andrea poteva reagire prima o poi come tutti gli altri.
Andrea poteva, ma non credeva.

Non era stato Andrea a colpirlo.
Era stato il suo corpo.
Il sangue sul viso Matteo era stato pagato.
Dal sangue sul viso di Andrea.

Andrea era tornato da Matteo.
Andrea aveva detto: "no".

Questo non era il potere di un leader.
Questo non era nemmeno un potere.
E per questo non poteva essere una minaccia.

Matteo ritirò il coltello.
Lo chiuse e se ne andò.
Andrea restò un attimo, in silenzio.
Poi anche lui tornò in classe.

Matteo passò altri quattro anni in quella classe.
Matteo non picchiò più Andrea.
Matteo e Andrea non si incontrarono più.

Andrea passò altri quattro anni in quella classe.
Andrea non fu più una minaccia per Matteo.
Andrea e Matteo non si parlarono più.

Matteo non sarebbe stato altro che un leader.
Andrea non sarebbe stato altro che Andrea.

E così arrivò l'ultimo anno.
Nella scuola fu commesso un furto.
Qualcuno, di notte, era entrato nella scuola.
Qualcuno, di notte, aveva rubato nella scuola.
Qualcuno era già stato accusato.
Era stato accusato Matteo.

"Sono innocente" diceva Matteo.

"E' stato lui" dicevano altri, dicevano a voce alta.
"Non l'ho visto, ma so che è stato lui" dicevano altri, dicevano a voce bassa.
"Non so se è stato lui, ma meglio così" dicevano altri, dicevano sottovoce.

Gli amici di Matteo sembravano essere scomparsi.
Il suo potere sembrava essere svanito.
Nessuno sembrava potesse salvarlo.
Nessuno sembrava volesse salvarlo.

Nessuno, tranne Andrea.

Andrea aveva visto Matteo.
Lo aveva visto ad una festa quella sera.
La sera in cui a scuola veniva commesso il furto.
Lo aveva visto insieme a tutti gli altri.
Ma nessuno voleva salvarlo.

Nessuno, tranne Andrea.

Avrebbe potuto starsene zitto.
Un attimo di silenzio, e poi la pace.
Una pace negli ultimi mesi del liceo.
Una pace che ha il sapore di vendetta.
Nessuno lo avrebbe disprezzato se avesse scelto di restare in silenzio.

Nessuno, tranne Andrea.

Andrea non poteva accettare che un innocente venisse condannato. Non poteva, quando lui stesso sapeva che era innocente. Non poteva.
Anche se l'innocente era Matteo.

La porta dell'ufficio è subito vicina.
Così vicina da poterla toccare.

Andrea entrò nell'ufficio del preside.
Andrea così salvò Matteo.
Andrea entrò nell'ufficio del preside.
Andrea così salvò se stesso.

Aveva seguito il suo cuore.
E il suo cuore aveva detto: "no".
Arrivò il giorno degli esami.
Furono tutti promossi.

Tutto era finito, adesso.

Andrea uscì dalla scuola per tornare a casa.
Entrò in classe per riprendersi lo zaino.
Si voltò per uscire e tornare a casa, e si accorse che in classe c'era Matteo.

Dopo tanto tempo, erano l'uno di fronte all'altro.
Dopo tanto tempo, erano soli in quella classe.
Dopo tanto tempo, erano solo Andrea e Matteo.

Matteo uscì dal taschino della giacca il suo coltello.
Guardò Andrea in piedi davanti a lui, e sorrise.
Posò il coltello su un banco lì vicino.
E poi, uscì dalla classe.

Andrea guardò Matteo uscire dalla classe.
Guardò il coltello poggiato sul banco, e sorrise.
Prese il coltello e lo infilò nello zaino.
E poi, uscì dalla classe.

Andrea e Matteo non si rividero mai più.

Ancora oggi, Matteo crede in questo.
Se non sei uno che si batte e vince, sei uno che si batte e perde; ma che tu vinca o perda, tutti ci dobbiamo battere.

Ancora oggi, Andrea crede in questo.
Quella di Matteo non poteva essere una richiesta di perdono. Quello di Matteo era il solo modo che Matteo conosceva per dire "grazie".

Ancora oggi, Matteo crede in questo.
Andrea non era un leader, ma si era battuto.
Si era battuto, e aveva vinto.

Ancora oggi, Andrea conserva il coltello di Matteo.
Quel coltello gli serve per ricordare.
Le strade che si scelgono di seguire nel gioco della vita possono essere molto diverse, ma quando si capita nel gioco della violenza, la sola mossa vincente è non giocare affatto. Adesso, tutto era finito.