Blek

Non ho visto la foresta perché avevo gli alberi davanti.

LA RIVOLTA

Il risveglio fu terribile, solo al secondo segnale di allarme orinico e non più onirico decisi a sollevare la massa carnosa dal anfratto seducente di una svendita sotto costo e sotto casa.
Piastrelle opache dalla purezza perduta mi accompagnarono al lido avido delle purificazioni quotidiane, un insieme di riti meccanici che anticipavano una giornata come le altre, ma le altre, quelle precedenti erano le ultime che potevo ricordare. Dal risveglio in poi tutto sarebbe stato diverso e inspiegabile, non per quanto riguarda i fatti ma per il suo divenire verso una vittima indifesa senza possibilità di tornare a quella realtà che lo aveva forgiato a schiavo perfetto.
Il giorno era alle porte e la luce che colpiva il vetro della finestra si fermava lì, dentro a quel bilocale mi muovevo a passi braille con l'olfatto che era sviluppato come quello di un segugio avvinto dal sangue della ferita lepre.
Unico punto di rilievo al mesto incedere era la fragranza alpestre di una nota colonia racchiusa in un flacone simile ad una pigna. Traccia indelebile di una soluzione maschile senza macchia. La colazione era un frettoloso alibi per le mascelle provate dal dentifricio e incapaci di stabilire un ordine di sequenze. Solo l'acetoso riverbero di un salame, fritto nella sua, poteva decidere il destino finale del masticato. Il resto era poco o nulla di commerciale e commestibile, vanto nascosto di ogni asceta urbano.
Ma la ragione del ipnotico mutismo di quel risveglio è da trovarsi nella nebulosa mentale che copriva il manto gassoso della stanzetta. Provai a spostare la tendina unta della finestra per guardare il traffico nella strada senza però notare alcun movimento di sorta. Nessun passante e nessuna auto che poteva riportarmi al quotidiano rumore chiamato vita moderna esisteva in quella inquadratura.
Gli occhi mi bruciavano e non osavo bagnarli con collirio per paura di ulteriori danni, era tutto sfuocato anche l'umidità perenne della stanzetta.
Borsa cellulare e chiavi della macchina, ecco a cosa affidarmi per tornar alla realtà. Le scale di quel palazzo orfano di portinai e inquilini, bambini e arrotini risuonavano solenni sotto i tacchi di scarpe cigolanti come camion arrugginiti sotto la neve e senza catene.
Ero solito salutare con un grugnito il raro momento di un incontro con altre entità del condominio, ma questa volta non vidi nessuno. Nel cortile la puzza dei sacchi della spazzatura aumentava in misura esponenziale, più restava li più puzzava ed io esperto olfattivo dei sentieri invisibili schivavo ogni galassia del olezzo, ma era dura. Qualche volta non vedevo i liquami notturni e tanto meno i resti di drenaggi felini portandomi dietro e sotto una traccia del passo falso, almeno sino al traguardo della oscura spelonca obliterante.
Ma accadde un qualcosa che sconvolse i ritmi e le coordinate seducenti della alienazione. Un qualcosa che non concedeva nessuna soluzione, tranne se non quella della pazzia. Per arrivarci a questa definizione non bastavano i micro incubi della notte o i dubbi del risveglio, ci voleva qualcosa di insolito e di mastodontico, qualcosa che si insinui nella testa del poveretto e che rimanga li sino al capitolo finale. Un capitolo amaro di una vita senza sole e piena di vuoti incolmabili.
Ed io ero il bersaglio, il soggetto a cui si riferiscono le indagini e su cui nessuno mai avrebbe scommesso una buccia di patata avariata. Ero rimasto solo sulla Terra o la Terra era rimasta senza di me. Non lo avrei mai saputo, sceso in strada cominciai a cercare la mia macchina e l'angoscia mi assalì nel preciso istante in cui non ricordavo dove era parcheggiata.
Porta Venezia non è il massimo per questo tipo di amnesia, non lo è nessun posto per ricordarsi dove si aveva parcheggiato dormendo con occhi aperti, ma quel quartiere è il posto peggiore.
La via Panfilo Castaldi è una serie di cofani interrotti da Repubblica a Buenos Aires, ed io non sapevo da che parte andare. Cercare un auto usata e comune tra altre centinaia di vetture uguali mi soffocava ogni tentativo di calmare il battito cardiaco. Non solo, ma riuscivo anche a formulare ulteriori angoscianti possibilità come quella di trovarla sul lato di un'altra ferma in doppia fila oppure sequestrata dai vigili. Non era possibile, dove cavolo l'avevo lasciata?
Sudavo ed era freddo quel mattino novembrino che annunciava crudele e lento la fine del mondo. Il ritardo era prossimo al colore rosso del cartellino, e questo pensiero era costante ed imperativo, cosa dovevo fare…ben presto al limite dello sforzo decisi di telefonare in ufficio. Ed ecco il secondo trauma crudele, il brivido ruvido del terrore preannunciante l'esodo esistenziale della disperazione. Presi il telefonino dalla tasca del cappotto e cercando di comporre il numero mi rendevo conto dolorosamente che si trattava del telecomando.
Lo stesso oggetto unto e scolorito dalle ditate, vetusto prodotto della solitudine casalinga non poteva fare nulla oramai. Il numero sei era quello di Italia 1, i seguenti erano meno consumati dalle ricerche della felicità catodica ed in quel momento erano un misero risultato impossibile da ottenere.
Devo correre in casa e avvertire qualcuno, quello che sta succedendo è inverosimile! Solo tornando sui miei passi mi accorsi nuovamente che non avevo incontrato ancora nessuno per strada, e ancora peggio, non avevo visto un automobile muoversi. Restai immobile come se dovessi percepire il remoto latrato di un lupo nella tagliola, un urlo soffocato da mani insanguinate o un fischio del treno della notte. Nulla, nessun rumore e nessun essere vivente che attraversasse il mio cammino in quel girone multi etnico orfano di vivi.
Il portone era chiuso, come sempre, le mani afferrarono come artigli il mazzo delle chiavi, sicuro e prestante ma fragile e disperato dopo essermi accorto che erano quelle della posta.
Potevo solo aprire quelle della cassetta, nient'altro. Ero tagliato fuori, ero in balia della città muta o solamente vittima di uno scherzo della mente sgretolata?
E adesso, senza auto senza telefono e senza chiavi di casa?
A chi chiedere aiuto?
E che aiuto potrei ricevere dalle sconosciute ed invisibili assenze che riempiono questo giorno uguale agli altri ma senza precedenti?
Rovistai nella borsa e sembravo un mendicante in cerca di speranze che mai arriveranno. Dopotutto era la mia unica risorsa quella sacca sformata dal peso degli anni trascorsi avanti e indietro nella città deserta.
Non trovavo niente di utile in quel momento, un cacciavite o un indirizzo, niente che possa riportarmi al risveglio.
Cominciai a camminare verso i giardini senza incontrare nessuno, i negozi i bar erano chiusi senza traccia di umane incursioni.
Silenzi cupi gelavano il cammino, le foglie marroni e gialle venivano spostate dal loro riposo da brevi ed umide folate di vento.
Cercavo di calmarmi, di restare lucido in una dimensione opaca e di riservare le energie per il peggio. Ma quale peggio, cosa era accaduto quella notte sulla Terra? Casa mancava per che tutto ritornasse come prima? Mi ricordavo di certi telefilm in bianco e nero visti da ragazzo alla tele senza sapere che erano dei test per scrutare le menti, oppure di certi libri letti di nascosto e tenuti sotto il materasso nei pomeriggi estivi quando ero dai nonni.
Cosa restava infine della civiltà moderna, la medesima tortura dell'eterna simbiosi tra realtà e disgrazia, tra fantasia e melodramma.
Prepariamoci al peggio, e con piglio risolutivo mi diressi verso piazzale Loreto. Poi da li andrò in stazione e cercherò una vita senza metterci una vita.
Superato non senza stupore il viale Tunisia cambiai direzione come se a confondermi fossero dei folletti invisibile che sbucavano dai tombini.
Macellerie panetterie prestinai e cartolai erano divenuti in una notte antichi reperti archeologici, provai a suonare i campanelli dei palazzi col cuore che batteva forte, provai a bussare nei bar e chiamare coi telefoni dei taxisti, ma tutto taceva inesorabilmente a solenne memoria di quanto il passato non sia servito a nulla.
Era mattina piena, l'ora che sino a ieri era dettata dal sapore di un caffè ruggine preso al cospetto di plastici totem eroganti liquidi fumanti e sintetici.
Ma oggi tutto questo non era possibile, era tutto finito con un risveglio che sapeva di bromuro, di insipida verità nascosta dietro le pareti della schiavitù fatte di carton gesso pesanti come lastre di lamiera.
Continuai a vagare senza meta per molte ore, senza trovare segnali di vita. Si era fatto quasi sera e mi fermai ad un semaforo spento e sedetti su una panchina intrisa di escrementi biancastri. Piccioni schifosi, già ma dove sono finiti i piccioni?
Alzai gli occhi al cielo verso un palazzo senza più custode, è stato un sussulto improvviso ma vero, una sagoma aveva attraversato una finestra e l'avevo veduta. Non era un miraggio o cos'altro era una figura di persona che passava da un lato all'altro. Allora sono vivo! Mi venne da gridare ma rapidamente mi nascosi dietro una macchina. Avevo paura, chi sarà mai quella persona, un superstite della fine del mondo oppure un altro come me che non si rende conto di quanto sia accaduto. Ma cosa è accaduto in fin dei conti?
Se siamo in due potrebbe darsi che siamo anche in molti altri, e quindi troverò la ragione per continuare a resistere a questa storia. Ora devo decidere se andare in quel palazzo e farmi vedere o restare di guardia qui dietro questa macchina che sembrava la mia….ma è la mia!
Stupefatto vidi che le chiavi erano appese, entrai come se fosse la cosa più importante del mondo, il rumore della portiera sembrava rompere il silenzio che stagnava da secoli o da poche ore non importa.
Dentro l'auto tutto sembrava come avevo lasciato, ma ero sicuro di non averla lasciata in quel posto la sera prima. Chi aveva usato la mia auto e perché, nel cruscotto non mancava nulla e il cd dei Bent Wind era al suo posto nel lettore.
Eppure qualcosa non andava. Ero indeciso se mettere in moto e sgommare verso porta Garibaldi o lasciare che arrivi sera. Già e col buio dove sarei andato, potevo entrare in qualche albergo perché no, anzi la decisione fu rapida ma sofferta. Se faccio rumore quella figura vista alla finestra si accorge della mia presenza e se resto qui divento un ghiacciolo.
Potrei entrare nel palazzo ma con quale rischio, forse è meglio fare finta di niente e mettere in moto.
Così presi la decisione e girai la chiave, era quasi buio e i fari dovevano comunque illuminare la strada.
Il movimento fu veloce e senza intoppi, il motore riconobbe la mano del padrone e in un tempo cortissimo avevo preso il vantaggio sul nulla che mi seguiva. Dopo un centinaio di metri col fiato sospeso ero riuscito ad allontanarmi da quel parcheggio scomodo e pericoloso, correvo verso Melchiorre Gioia e questa volta lo spavento fu ancora più terribile. Nello specchietto retrovisore come una cometa caduta si accesero un paio di fari abbaglianti seguiti da un movimento di una jeep che partiva inseguendomi senza sgommare. Non aveva fretta, io si.
Con qualche fortunosa sortita e audaci manovre riuscii a seminare quella luce che mi seguiva, mi trovavo o almeno ero convinto di esserlo, nelle stradine della Maggiolina. Ricordavo qualche villetta di epoche passate che fungeva da ritrovo dei beatnicks, ero al sicuro quindi.
Il buio della città non prometteva niente di buono, il silenzio era ancora più pesante in quella ora che di solito è satura di serrande che scendono e benzinai che chiudono. Avevo fame e l'ansia era al suo apogeo, volevo entrare in una pizzeria e divorare tutto quello che avrei trovato ma dovevo rompere la porta. Decisi di uscire e lottare contro l'invisibile destino della fine del mondo e aperto il portabagagli mi armai di un martello che tenevo nascosto in caso di bisogno.
Quando lo chiusi mi trovai di fronte una donna.
La paura reciproca o lo spavento individuale misurati con un impasto a base di angoscia riportava a galla la sensazione che in quel istante quella presenza improvvisa aveva causato al già provato fisico un universo senza parole di quel giorno fatto solo di cattive meraviglie.
Il volto della sconosciuta era pallido il mio era paonazzo poiché mi accorsi di quanto fosse attraente e desiderabile. Ma le parole non uscivano da nessuna bocca, provai a muovermi col martello in mano verso di lei ma la sua paura, che era più forte della mia, la fece allontanare di qualche passo. Cercavo di rendere la situazione amichevole con gesti imparati allo zoo quando dovevo dare la banana alla giraffa o la bistecca al leone. Non servì a nulla, fu lei che lentamente venne vicino e quando eravamo sotto l'unico lampione acceso mi prese per mano cercando di avvicinarsi ancora di più come se volesse darmi un bacio. Mi accorsi di percepire un sibilo proveniente dalla sua bocca nello stesso istante in cui una lingua cilindrica oleosa e biforcuta stava per stringersi attorno al mio collo. Ero congelato dalla sua potenza e non riuscivo a staccarmi da lei. Mi sentivo perduto quando dei colpi di mitraglia xewex le colpirono il torace frantumandolo, il sangue corrosivo esplose e si coagulò ai miei piedi.
Due fari si accesero alla mie spalle, gli stessi di una misteriosa jeep che ripartiva lentamente verso lidi nascosti. Ai miei piedi una poltiglia nerastra e fumante esalava un tanfo immondo, mi allontanai disgustato verso la mia auto senza appetito e col martello ancora nella mani.
Seduto e incapace di pensare a cosa dovevo fare avviai la macchina in direzione di casa, senza che possa entrarci e senza che possa telefonare. Ritornai sotto quella famosa finestra deciso a sapere cosa c'era dentro, ma una volta giunto davanti al portone tutto sembrava morto. Nessuna traccia di luci o altro, solo polvere e scatoloni vuoti spostati da un insolito vento in queste ore.
Idea! Vado in piazza Duomo.
Di solito sotto la galleria si incontrano le menti in fiore della metropoli, magari qualcun altro sta cercando dei vivi…
Fatale illusion, arrivato alle giostre delle varesine grandi transenne metalliche impedivano il passaggio di qualsiasi mezzo, tram compresi.
Era notte fonda, la fame aumentava e decisi di sfondare una trattoria dalle parti di via Farini.
Sul retro tra bidoni e sacchi neri esalanti afrori agnostici, insistevo contro una porta di legno che sembrava quella della trattoria. Non vedevo molto in quel oscuro tugurio e dopo i primi tentativi cominciai a ridere dentro di me. Ma come, sto qui a sfondare una fetente mensa popolare quando potrei permettermi un ristorante lussuoso.
Decisi di abbandonare la scena del misfatto, ripresi la via del centro cercando di ricordarmi dove possa aggredire del cibo. Ci sono! Dalle parti di viale Marche c è un ristorante di pesce con le porte di vetro. Sfondo l'entrata con la macchina e poi divoro tutto quello che mi capita sotto mano. Euforico diressi la mia unica cavalcatura verso quelle porte ed una volta davanti fermo col motore acceso assomigliavo ad un toro pronto alla carica.
Un colpo di gas ed un casino tremendo infransero il silenzio glaciale della metropoli. Uscii incolume dalla macchina col tovagliolo al collo.
Come un cane bastardo mi buttai sulle sardine sott'olio, sugli antipasti misti e su tutto quello che si trovava nella vaschette all'ingresso di ogni ristorante con velleità aziendali.
C'erano anche i grissini nelle bustine di plastica, bibite e vini in quantità posate a iosa. Mi concentrai sui piatti che riempii con sapienti abbinamenti, cozze e barolo alici e spumante caviale e mortadella.
Un mix di sfumature satinate per una dimensione che andava oltre la nuova cucina intesa come filosofia del postumo ed eclatante rutto.
Un ora dopo ero satollo e rubizzo, saturo di tutto quel mondo ittico a disposizione. Cercavo uno stuzzicadenti e del citrato e per farlo mi spinsi verso il retro della sala che dava in cucina. Le porte girevoli come negli hotel congelarono la digestione una volta superate.
Una decina di cadaveri putrefatti al sapore di trota affumicata erano distesi sul pavimento divenuto territorio di caccia per una miriade di vermi pelosi e lunghi quanto un pitone in estro.
Fuggii di corsa verso casa senza le chiavi, con la delusione paurosa del delirio e della pazzia che urlavano ancora più forte dentro di me.
La macchina era ancora capace di tenere la strada dopo il goloso urto. Tornai in zona con un senso di disperazione che non concedeva sortite ed entusiasmi abbinabili a ulteriori speranze.
Superai sagome indefinibili che giacevano inermi ai bordi dei marciapiedi lungo i viali del tramonto, più nulla mi stupiva oramai. Nemmeno il vigile con le braccia aperte ad un incrocio…un vigile! Si proprio un ghisa nello splendore del suo essere. Inchiodai e mi avvicinai di corsa, rallentando sempre più sino a fermarmi a qualche metro dalla sua posizione, non si muoveva e quando gli ero di fronte non osai nemmeno guardarlo. Era un insieme di minuscole escrescenze che si muovevano in senso ellittico su tutto il torace tenuto insieme dalla divisa ridotta ad una pezza. Il casco cadde lasciando liberi altri esseri schifosi lucidi e melmosi, il rumore della caduta risuonò per l'eternità in quel incrocio che abbandonai lentamente senza dare nell'occhio. Non ne potevo più di quella situazione e trovandomi nei pressi della mia abitazione, dopotutto avevo girato un casino per trovarmi sempre nello stesso punto, mi avvicinai al portone di casa senza pensare che avrei dovuto aprirlo.
Invece un colpo di fortuna me lo fece trovare spalancato, il cortile era limaccioso e cupo come sempre. Salii quei gradini ondulati e levigati sino alla porta di casa.
Era aperta con dentro la mia cara mogliettina, Milena Molini.
Come stai tesoro? Com'e andata oggi?
La solita giornata di merda, risposi.
E rimettendo sul piatto il disco degli Arcadium la luce di quella notte mi lasciò senza che potessi aggiungere altro.
Come ultimo segnale terreo o terrestre, fate voi, riuscii a sentire una voce alle mie spalle che diceva…e con questo abbiamo finito.