Oivle

La quarantunesima notte

Un uomo si accomodò al tavolo da gioco e puntò sul sei. Perse. Ad un nuovo giro si asten-ne dal puntare preferendo guardare. E così fece per altre tre volte.
A tener banco c'era una contessa, una certa Floriana, giovane e bella. L'uomo la fissava con interesse. Per attirare su di sé l'attenzione riprese a giocare, insistendo sul sei. Questa volta vinse.
Questa inversione di rotta fece arrabbiare la bella ragazza che tremò come un cono di pan-na. Aveva labbra che ricordavano pesciolini rossi in un globo di cristallo, il viso ovale era stizzito ma folgorante. Biondi capelli fluivano lungo le spalle, creando una specie di guan-ciale su cui l'uomo avrebbe voluto poggiare il capo e immaginare di sognare sotto le stelle.
Per arcana sorte il sei uscì ripetute volte e l'uomo continuò a vincere con regolarità, aven-do scelto come numero quello delle volte precedenti. " Paire, rouge, manque!" tre parole magiche che lo riempirono di una montagna di fiche. L'altra aveva dileguato una intera fortuna.
Mi ero concesso una capatina all'Hotel Cadorna a due passi dalla spiaggia, in quell'oasi di pace dove si faceva il piano bar, in una sala attigua. Ero arrivato al tavolo della roulette. Il funzionamento della ruota dei numeri non mi era molto chiaro ma, una volta che puntai sul rosso e vinsi, mi allontanai alla chetichella sotto lo sguardo di uno dei croupier che dovette pensare io fossi un giocatore di grande esperienza. Capite bene che non volevo abusare della dea bendata.
La mia presenza al tavolo verde la giustifico più dal bisogno di studiare le reazioni umane che dalla smodata passione per il gioco in sé. Non divenni mai un giocatore incallito. C'erano anzi di quelli che si giocavano intere fortune: un signore di corporatura esagerata nel giro di poche ore perse un'ingente somma, quando fu il momento di pagare mostrò di avere una tale disinvoltura che i presenti, me compreso, impallidirono.
Il gioco partiva da un croupier che con un colpo del rastrello apriva le danze. La ruota gi-rava facendo impazzire una pallina che sembrava una mentina per la gola e rimandando tutto alla dea bendata. Il prescelto dalla sorte si vedeva raddoppiare e a volte triplicare la puntata. Il tutto si faceva più interessante quando uno perdeva. Spesso ai debiti di gioco teneva dietro una revolverata alle tempie. Ingenti fortune si dilapidarono immediatamente o a distanza di tempo.

Erano anni che non lo vedevo, dalla prima e unica volta in cui l'avevo incontrato. Uno con la sua vincita, dopo aver saldato i conti dei creditori, poteva iniziare una nuova vita. Mi ero fatto questa strana congettura sull'uomo del " sei ": immaginarlo, straniero, cavalcare la pampa argentina con speroni ai piedi e sombrero in testa; condurre all'altare una ragazza di brava famiglia e mettere al mondo un gran numero di figli. Quell'essere, che si trasci-nava come un relitto umano metteva fine a una tale romantica fantasia, contaminato da quello che si chiama "effetto ritardato di una sostanziosa vincita".
Il sole picchiava da matti. Dinnanzi a me la piazza da attraversare, quasi un girone dante-sca! Nessuno avrebbe messo il naso fuori in quell'afa appiccicosa che mi si era incollata sul corpo, creando una cappa di cui non vedevo l'ora di liberarmi. Ricordo che l'unica via di fuga era quella di guadagnare un posto ai tavoli del bar. Lo feci. Arrivai sotto la tettoia del caffè, quello che fa angolo col corso, in un mare di sudore. In quel momento, nello spazio riservato ai clienti, entrò uno che sembrava avere cattive intenzioni. Per fortuna mia e di altri quattro avventori intervenne il proprietario del locale armato di scopa. Belle co-struzioni, giardini privati, neanche un cane che si azzardasse a imbrattare le aiuole, una jungla di divieti, il più piccolo rumore bandito, dove mi trovavo era come un castello di vetro sopra la città: i quartieri alti, dove la legge della convivenza sociale era più dura. Ri-cordo che il proprietario di quell'unico punto di ristoro trattò il barbone alla stregua di una tazzina sporca e di un bicchiere imbrattato di rossetto.
Inizialmente non prestai molta attenzione a quanto accadeva, ma qualcosa mi spinse ad os-servare meglio quel povero essere. Avevo l'impressione di averlo già incontrato e ne ebbi la certezza quando all'improvviso tirò fuori un dado e lo gettò sul tavolo dove ero seduto. Ricordai la favolosa vincita avvenuta anni prima di cui ero stato spettatore e l'uomo che ne era stato autore. Pagai in fretta per seguire l'uomo che nel frattempo si era allontanato.
Arrivò sul sagrato di una chiesa, dove l'ombra tagliava i gradini, sedette e parve attender-mi, lo raggiunsi.
Avrei voluto rivolgergli mille domande ma non sapevo da dove cominciare, dopo tutto quel tempo. Fu lui a rompere il silenzio:
" Mi chiamo Paolo Corti, tu sei nella mia lista! "
Queste parole mi sembrarono i segni di una follia annunciata.
" Ma di che lista parli?!" lo interruppi.
" Tu, il primo: poi gli altri!" Mentre parlava, cacciò dalla tasca un foglio su cui aveva an-notato dei nomi.
" Scusa, dissi indicando quanto aveva tra le mani: cosa ti abbiamo fatto?"
Rise amaramente: " E me lo domandi?"
Nell'osservare le sue pupille avevo notato l'iride dilatarsi come il cono di un vulcano in eruzione. Non mi sentivo per nulla soddisfatto della risposta, incuriosito da quella stranez-za: ritornai mentalmente alla famosa sera e mi apparve in tutto il suo fulgore la contessa Floriana: " Matto d'amore! pensai: collegai allora la sorprendente vincita a successive pe-ne d'amore, poi dissi: " C'era del tenero fra voi!"
Avevo colpito nel segno.
Da come ne parlava era chiaro che ancora l'amava. L'amava moltissimo. Poi, il racconto riprese: " Anche lei mi amava e decidemmo di sposarci, eravamo in procinto di farlo quando una sera la vidi cadere davanti a me colpita mortalmente da una banda di gangster. Uccidendo lei avevano colpito la persona a me più cara. Solo chi era stato presente quella sera alla mia vincita sapeva dove trovarci e come vendicarsi per non essere stati loro i pre-scelti dalla fortuna!"
Quale idea balzana si era messa in testa Paolo Corti! La perdita di Floriana lo aveva scioc-cato gravemente, a volte dubitavo che sapesse mantenere il filo del discorso.
Lo sguardo era diventato di ghiaccio. Nelle pupille, un momento prima piene d'amore, si riversava tutto l'odio che all'improvviso provava per noi tutti.
Non mi sembrava che colui che avevo d'innanzi avesse raggiunto porti sereni: " E' come l'albero di una nave sbattuta dalla tempesta!" pensai, immaginando le spiagge verso le quali con la speranza di un approdo sicuro fa rotta il naufrago.

Ad un tratto riprese a raccontare: " Rimisi giù la cornetta del telefono. Mi aveva chiamato perché voleva vedermi. Non mi curavo del mal tempo e delle nuvole gonfie di pioggia che si ammassavano a ridosso del quartiere fieristico aprendo un diluvio universale. In altre circostanze non avrei messo il naso fuori ma il desiderio era così forte che presi ombrello, chiavi della macchina, regalo per lei e impermeabile, e uscii con l'aria di uno che vede so-lo e soltanto la primavera. Per far prima ed evitare il traffico dell'ora di punta, imboccai un viale con segnale di divieto, tagliai i quartieri ebraici come un razzo per restare imbotti-gliato nel traffico sotto una pioggia torrenziale.
Finalmente raggiunsi l'hotel Savoia ed entrai nella hall fradicio di pioggia. Mi guardai in-torno: clienti frettolosi sbuffavano come locomotive ancora in stazione, ma di Floriana nemmeno l'ombra. Intanto, stringendomi negli indumenti bagnati, pensavo che, per far presto, avevo lasciato la macchina in doppia fila. Poi, apparve Floriana alla reception. Le corsi incontro, l'abbracciarla, poi la voce di un fattorino ci riportò alla realtà, consegnando un biglietto a Floriana. Lei lo lesse, si accese una sigaretta e diede fuoco al biglietto get-tando i resti in un portacenere.
" Chi ti manda quel biglietto?" chiesi.
" Nessuno! Come vedi l'ho bruciato! Andiamo, dove hai messo la macchina!" fu la sua ri-sposta.
" Hai con te i bagagli? Non vedo valigie. Ma non importa. Hai almeno i soldi che ti ho da-to?"
" Giusto quelli! Nel posto dove siamo diretti ci serviranno! Li ho qui!" e mostrò la borsa.
Si avvertì uno sparo. Un uomo col viso coperto era apparso in quel preciso momento ar-mato di pistola. Costui si impadronì della borsa che Floriana aveva in mano, un secondo più tardi faceva uscire dall'arma un altro colpo. Floriana si accasciò su se stessa, stramaz-zando al suolo. Una macchia di sangue apparve sulla moquette! Anche io scivolai accanto al cadavere privo di sensi."
Mentre raccontava, Paolo aveva tirato fuori una pistola e ora la puntava contro di me. Ac-corse gente e l'uomo rimise l'arma in tasca e si dileguò poco dopo approfittando del tram-busto non prima però di aver pronunciato la frase sibillina: " Mi vendicherò!"

Sono trascorsi quaranta giorni e il buio totale è calato su quanto all'improvviso ha sconvolto la mia vita creando un senso di paurosa attesa. Confesso che non avevo letto che la contessa Floriana era morta di morte violenta. Forse era viva ed aveva architettato un piano diabolico per raggirare il povero innamorato.
Oggi leggo sul giornale che un povero senza tetto ha perso la vita in un incidente stradale. Dalla foto sul giornale si tratta di Paolo Corti. Mi dispiace della fine che ha fatto, ma pro-vo un senso di liberazione alla notizia: l'ultima volta, da come ci eravamo lasciati mi a-spettavo il peggio, con quel suo " Vendicherò!" gridato e che mi aveva fatto sprofondare nello sconforto più buio. Non dovevo temere più di niente, tutto alla fine si dileguava in una bolla di sapone. Qualcosa mi spinse a tornare al casinò e a puntare sul sei, il numero che più volte era apparso in questa strana vicenda. La roulette girava, la pallina si fermò proprio dove avevo sperato: il numero prescelto dalla sorte era quello che aveva portato al-la rovina Paolo Corti. Io vincevo un'enorme cifra! che strano modo di vendicarsi, il suo!


Il caso Matteo Rossini

In qualunque stagione dell'anno, con qualunque tempo, ad un'ora precisa del giorno Matteo Rossini si armava di ombrello e cappello ed usciva. Dopo aver fatto il giro dell'isolato, rien-trava. Alla moglie, che lo aspettava sul pianerottolo di casa, diceva: " In strada ho raccolto delle informazioni preziose, è peccato non annotarle!" Si chiudeva nello studio in compagnia del gatto, e ne usciva all'ora di pranzo.
Nella sua attività di servitore dello Stato aveva occupato il posto rispettabile di ragioniere ca-po dell'Ufficio Imposte, un impiegato modello e ligio al dovere ma non sempre stimato dai colleghi. Nel timbrare il cartellino era sempre il primo ad entrare e l'ultimo a lasciare la scri-vania; nelle consegne era puntuale come un orologio svizzero; nel disbrigo di una pratica a-vrebbe spaccato in due un capello prima di essere ripreso dai superiori, cosa che nella sua carriera non era mai avvenuta e di cui andava fiero.
Non si era mai concesso un giorno di ferie, anzi una volta si presentò in ufficio con decimi di febbre e dovettero pregarlo che tornasse a casa. Il giorno seguente era di nuovo sul posto di lavoro a dare l'esempio. Tutto questo non lo aveva salvato da un esercito di contribuenti che ogni giorno avevano la iella di bussare al suo ufficio: a molti dei quali, sapendo che non a-vrebbe mai trasgredito le regole né sarebbe sceso a compromessi, era letteralmente antipati-co.
Un neo però offuscava la sua lunga carriera: l'essere conosciuto con il soprannome di Preci-sino, un impiegato modello come lui: " Chi? Precisino?" a sfarfallare la nota triste facevano a turno i suoi colleghi che amavano perdere tempo nei corridoi su cui si aprivano le stanze do-ve veniva santificato il lavoro: " La pratica è in mano a Precisino? Allora è sicura! Precisino, mi fai il solito favore?" e giù, sulla scrivania, tutta la posta da evadere in giornata. " Precisi-no, vai tu dal direttore? Grazie!" e tutto per mettere in risalto l'esagerata meticolosità che a-veva sempre contraddistinto Precisino. Insomma, amava stare come si dice in trincea ed ora, che poteva godersi una meritata pensione, ogni giorno cercava di collezionare altre note di estrema meticolosità, esponendosi ancora in prima fila. Sua moglie, invece, lo aveva sempre invogliato ad essere meno inflessibile col prossimo. I sentimenti che gli mancavano erano quelli che la gente apprezzava nel carattere della sua consorte la cui indole la rendeva perso-na capace di compensare tutte le lacune del marito.
Matteo era arrivato alla rispettabile età di 69 anni senza ricorrere al medico se non per alcuni malesseri di stagione. Il giorno in cui si ammalò non poté compiere il solito periplo attorno al palazzo e sua moglie non mise il naso fuori del mezzanino per vegliarlo amorevolmente. A versare acqua nei gerani pensò la domestica di colore che, di lì a poco, sarebbe rientrata da dove proveniva non essendo in regola con il permesso di soggiorno.

Matteo, anche se a letto, non avrebbe permesso a nessuno di mettere mano nelle sue cose ri-poste sul ripiano del vecchio mogano carico di polvere e di libri, specialmente ora che au-mentavano le pile di quaderni pieni di contrastanti riflessioni che nessuno avrebbe mai letto. Soltanto al gatto era concesso di fare le fusa sul divano, mentre tutto intorno regnava il silen-zio.
Una settimana di riposo assoluto trascorsa a letto! Non c'era cura più indicata in questi casi. Le solite compresse prima dei pasti: " Intesi?" Il medico lasciò la stanza intrisa di sulfamidi-ci, a fargli strada c'era la signora Paola: " Vedrà che nel giro di pochi giorni suo marito si ri-mette in forze! Ma, mi creda, l'ambiente va arieggiato, l'aria viziata impedisce al malato di respirare!" Con mano ovattata la donna richiuse l'uscio alle spalle del medico che sembrava essere venuto non per il marito ma per la casa. Con l'aiuto della cameriera di colore poco do-po la donna entrò nello studio, scacciò via il gatto disteso sul sofà e spalancò le finestre con l'intenzione di rassettare l'ambiente frequentato dal marito. " La signora fa bene a pensare al-la salute del signor Matteo!" disse la badante, passando sul tappeto l'aspirapolvere: " Così quando si alza, trova un ambiente caldo e confortevole!"
" Attenta a non sciupare il pelo: è un autentico tappeto persiano!" aggiunse la padrona di ca-sa.
" Non dubiti, dopo mi ringrazierà!"

Matteo si era convinto di avere nemici dappertutto e che, a sua insaputa, qualcuno aveva ro-vistato nelle sue carte. Già durante la degenza a letto si erano verificati alcuni furtarelli, ma a metterlo sull'avviso che si tramasse alle sue spalle, senza però giungere a capo di una spiega-zione plausibile, fu lo spostamento di alcuni oggetti da lui disposti come segnali nello studio centimetro per centimetro. La sorpresa che qualcuno avesse cambiato l'ordine che governava nella stanza lo portò a chiudere la porta a chiave, a nascondere questa e a girare in vestaglia nel resto della casa cercando le coordinate più giuste dopo i giorni di forzata prigionia.
Come se la sua vita fosse un unico grande quaderno che occorreva salvare dalla furia deva-statrice di ignoti frodatori, i sospetti inizialmente caddero sul lattaio. Questi aveva sempre fatto la consegna alle dieci di mattina. Da quando c'era il malato la consegna veniva recapita-ta a domicilio alle undici, a volta anche alle undici e venti. Puntualmente il garzone, con la scusa di salutarlo, si affacciava sotto l'arco della porta, a volte spaventando Matteo girato di spalle tra le lenzuola che, ad un tratto, se lo vedeva piantato ai piedi del letto. La presenza di quel giovane di carnagione nordica ma di temperamento sanguigno si spiegava se si dava credito al fatto che qualcuno cercava, chissà per quale recondito scopo, la chiave dello studio e, non trovandola, sorrideva come per dire: " Non è ancora suonata la tua ultima ora!" Erano emozioni tremende che bastavano a fargli salire la febbre. La signora Paola dalla cucina inci-dentalmente usava la frase: " Matteo, il ragazzo del lattaio ti saluta!" Ma il giorno in cui il latte fu consegnato da un diverso garzone Matteo, invece di convincersi che il complotto tramato alle sue spalle era fallito, passò a sospettare di altri.
La sua vita era divenuta un inferno, perché i vicini a turno tramavano contro di lui. Non si salvò nessuno. Poi, passò al setaccio parenti e amici. Non sapendo su chi altro addossare le colpe, in fine, restrinse il suo raggio d'azione.
La sua facoltà di ricordare si era fatta molto labile e, pur sforzandosi, gli riusciva difficile ri-cordare dove aveva riposto la chiave, si era convinto che a trovarla fosse stata la moglie e che di nascosto lei entrasse nello studio, agendo di conseguenza col dare libero sfogo alla rabbia che da tempo covava. Risultato: lei aveva modo di inveire sui suoi quaderni, facendo a pezzi intere pagine. Allora lo si vedeva, in assenza della donna, cercare l'oggetto conteso e mettere a soqquadro la casa. Risultato: per non trovare la chiave nei cassetti voleva dire che l'aveva con sé dietro! Durante la giornata la signora Paola restava a casa, per esempio nelle ore più calde. Allora Precisino faceva finta di appisolarsi in salotto, ma tutto faceva eccetto che dor-mire. Per quanto meticoloso e attento, non si accontentò che covava una serpe in seno!
Il giorno in cui sarebbe stato condotto in corte d'assise per discolparsi, avrebbe detto che ru-bare le sue carte era come appropriarsi della Gioconda.
" Non si tratta come vuole l'accusa di delitto premeditato!" A continuare sarebbe stata la di-fesa: " Signori della giuria, della corte: chiedo per il mio cliente la piena assoluzione in quan-to il fatto non sussiste. Al massimo potremmo parlare di fatalità!"
Questa parola anche a lui era piaciuta. E si vedeva, dopo una frugale colazione, accompagna-to dalla cella al cortile e dal cortile in cella sotto la stretta sorveglianza di un questurino, della cui amicizia si onorava. Avrebbe come una formichina trascorso una parte del pomeriggio al-la compilazione dei cari quaderni che sarebbe riuscito a portare via. All'ora solita la luce de-ve essere spenta, la cella diventa buia e fredda tanto da rimpiangere casa, ma c'è Dio e men-talmente da preparare le frasi da scrivere sul quaderno il giorno seguente. Ma, comunque si programmi, di tempo, però, ancora ne avanzava!

Una notte echeggiarono tre colpi nell'aria. La povera signora Paola si svegliò di soprassalto. Sbarrò gli occhi non trovando Matteo che dormiva accanto a lei. Il letto era grande come una piazza e lei piccola come una formica sotto un obelisco.
Attimi frenetici, interminabili! Altre due detonazioni, questa volta più ravvicinate tra loro, di-laniarono l'aria.
Tornò il silenzio. Ma la donna non riusciva più a prendere sonno. Il rincorrersi di pensieri nella mente la portò a rizzarsi nel letto. Un dubbio atroce come gli spari nella notte l'assaliva: " E mio marito?" pensò.
Il lenzuolo era stato accuratamente fatto ricadere sul guanciale come se nell'allontanarsi Mat-teo aveva avuto una maledetta fretta accompagnata alla volontà di non destare sospetti.
" Che fai? vieni a dormire!" disse la donna nello scorgere il marito in pigiama con in mano la carabina: " Quei maledetti topi!" questi rispose allorquando si stagliò sotto l'arco della porta.
" Da due notti girano indisturbati. Uno devo averlo anche colpito! Ci penserò domani: se è morto, non potrà certo muoversi!" e si ficcò nelle lenzuola.
Quando sua moglie ebbe la spudoratezza di chiedergli il numero di telefono dell'impresa di imbianchini "Pisano e C." a cui si erano, per il passato, rivolti per ridipingere casa:
" Ti proibisco di mettere mano allo studio!" disse, deciso, come se parlasse della Cappella Sistina.
" E' dalla primavera scorsa che rimandiamo!" rispose la signora Paola con pacifico candore.
Matteo dimenticò in quel momento i suoi doveri coniugali e pensò: "Uniti nella buona e nella cattiva sorte! Ma del veleno per i topi della ditta Pisani e C. che ne dici? e della carabina che luccicava nella sua custodia?!"
Il soffocante odore dei colori, con cui sua moglie voleva dare un tocco nuovo alla casa, ridu-ceva ormai la sua esistenza ad uno scampolo ma, in barba al testamento dei testamenti, chi si divertiva alle sue spalle prima di cucinarlo come era nei piani, se la doveva vedere con lui!
" Uniti fino a che morte non vi separi!" Si rivedeva giovane, nel giorno delle nozze: il gallo non poteva divenire cappone! La sposa, graziosa in verità splendente… come l'odiava, se vo-leva fargli questo…! " Legati nella buona e nella cattiva sorte, amen!" Chiacchiere, buone per chi ha voglia di perdere tempo!
Precisino cominciò a studiare testi sulla elettricità in modo da manomettere il contatore della corrente. Non lo aveva mai fatto prima, quando ne seppe abbastanza pensò di chiudere i libri e di nasconderli. Una sera abbandonò la cucina, dove si trovava con la scusa di un bicchiere d'acqua, e sgusciò silenziosamente per raggiungere il corridoio d'entrata. Per non fare rumo-re si era tenuto le pantofole ai piedi. Alla parete, nascosta dietro un quadro, c'era la cavità del contatore: l'aprì, mise le dita sulle parti sporgenti su cui era scritto off, alzò la leva. Un atti-mo dopo tutta la casa era al buio:
" Cosa succede?" chiese in quel momento dall'altro capo della casa la moglie, già in camicia da notte.
" Dormi, cara! la rassicurò: un probabile guasto alla centrale. Vengo subito a letto!"
" Buona notte, se ne parla domani!" salutò lei.
" Certamente, se ne parla domani!" riprese lui, soddisfatto che tutto procedeva secondo i pia-ni. Fece luce quel tanto che bastava aiutandosi con una torcia elettrica, il tempo di svitare un astuccio metallico e mettere a nudo la massa di cavi per poi ricongiungere i filamenti in un nuovo ordine con l'aiuto del nastro isolante. Rimise tutto in ordine e, nascondendo gli attrez-zi di cui si era servito e che ora rendevano ridicolo il pigiama che indossava, pensò a quello che sarebbe avvenuto il mattino successivo. Avrebbe chiesto a sua moglie di rimettere a po-sto la levetta del contatore posizionandola sulla scritta on. Al clic lei avrebbe innescato un corto circuito e sarebbe rimasta fulminata dai 220 W. che si sarebbero sprigionati all'improvviso.
Trascorse una notte piena di incubi, affollata di mostri sanguinari. Vide cadere le mura di una cittadella ben difesa, si smarrì allora in dedali complicati, saltò alla fine su pioli fatti di smog e di oblio, per cadere tra le braccia di Morfeo quando era già giorno.
Con un peso al cuore, a colazione, parlò del più e del meno, aprendo anche una parentesi sul tempo, per distrarre la sua graziosa mogliettina prima di mettere in atto quella sua infernale vendetta coniugale.
La donna che gli stava di fronte era più bella che mai, benché la sentisse già distante. Si era fatta i boccoli e sembrava una ventenne: così ci si presenta dinnanzi al sommo Giudice! Mat-teo ne era felice, per sua moglie:
" Avrà fatto poi testamento?" pensò sorseggiando il nero caffè che lei stessa chinandosi col bricco gli aveva servito: " Delizioso. Come te!" aggiunse. Un sorriso apparve sulle labbra dopo il primo sorso:
" Un altro po' di zucchero, ed è perfetto!"
" La prossima volta!" rispose l'altra, imitandolo nell'ironizzare.
" Se mai ci sarà!" Marco pensò tristemente.
La radiolina posta su una sedia vuota aveva le pile scariche e non si capivano le notizie che lo speaker in quel momento dava:
" Usa la radio del salotto: da questa non si sente bene!" suggerì Matteo, dopo aver mandato giù un altro sorso di caffè: da quando era in pensione gli piaceva ascoltare le nuove in diretta dal mondo e fare a tempo debito il suo commento.
Come telecomandata, sua moglie si alzò per ubbidire, Matteo vide nel cielo una civetta.
Più volte la manopola sfilò sotto le dita affusolate della donna nel tentativo di condurre a buon fine l'operazione di attivare il programma di informazione quotidiana. L'apparecchio radiofonico restava muto:
" Non c'è corrente!" la donna azzardò con un tono di voce più alto del solito.
" Hai perfettamente ragione!" rimbrottò Matteo: " Ieri è stata tolta e non l'abbiamo …"
La donna si diresse al contatore di casa e dischiuse il pannello metallico: un'operazione già altre volte eseguita… Ma quella volta accadde il peggio! Il cortocircuito che seguì al clic dell'interruttore creò un enorme buco nella cavità in cui era fissato il contatore, si sprigionò un acre odore di bruciato e dal groviglio dei fili si liberarono scintille che cominciarono a sfavillare innescando un principio di incendio che si estese all'intera zona. La parete crollò travolgendo la donna che rimase schiacciata sotto un cumulo di macerie. I calcinacci furono la sua tomba, quando venne tirata fuori sul corpo erano visibili ferite e bruciature dimostran-do che la morte era stata istantanea.
Matteo non protestò quando gli misero le manette ai polsi. Aveva dei diritti: " Parlerà solo in presenza dei suoi avvocati!" disse l'ispettore. Questi si accese una sigaretta che aspirò avi-damente: " Ha effetti da portare con sé? qualcosa da cui non vuole dividersi?" e aggiunse:
" Prenda presto e venga con noi al commissariato!"
Matteo annuì senza muoversi: guardava la vittima riversa sul pavimento priva di vita. Ricor-dava in quel momento la meticolosità con cui aveva svolto la sua attività di servitore dello Stato, in qualità di ragioniere capo dell'Ufficio Imposte.