Ilaria Dal Brun

Traduttrice e traduttologa, ho iniziato a scrivere racconti brevi in italiano e in inglese, alcuni già pubblicati qua e là nella rete. Certo, scrivere storie non è il mio mestiere, ma ci ho preso gusto e penso che continuerò a farlo, fintanto che mi divertirò!

Sul muretto

Seduto sul muretto, guardi gli altri bambini che giocano ma non ti unisci mai a loro. Senza tracce d'invidia ma con inebetita meraviglia ti domandi come fanno a buttarsi senza paura nella mischia, a rotolarsi e a rialzarsi, a volare con l'altalena fin su nel cielo senza timore di cadere. Tu non ne sei capace. Non te l'hanno mai insegnato. A essere capace, intendo.

"Attento che cadi!"
"Guarda che ti fai male!"
"Resta qui, là è pericoloso!"
"Non toccare!"
... Non rischiare, non farti sentire, non prendere decisioni. Non responsabilizzarti, non crescere. Mai.

E poi, la peggiore di tutte:

"Lascia fare a noi, si vede che tu non sei capace, poverino!" (Non me l'avete mai insegnato. A essere capace, intendo.)

Così hai imparato a startene sul muretto, badando bene di non mettere piede a terra, lasciando che fossero gli altri a occuparsi di vivere, che fossero gli altri a preoccuparsi di scendere dal muretto, che vivessero gli altri, per te. E anche adesso che il tuo corpo è cresciuto fino a toccare una dignitosa altezza, rimani seduto sul muretto e guardi gli altri giocare alla vita. Ti passano accanto come ombre, figure che un tempo giocavano sull'altalena e che adesso inseguono, raggiungono, afferrano e stringono in pugno i loro sogni, plasmandoli come creta tra le mani finché non prendono la forma desiderata. Ma tu non sei capace né di inseguire, né di raggiungere, né di afferrare, né di stringere in pugno, né di plasmare alcunché. Non te l'hanno mai insegnato. A essere capace, intendo.

E seduto sul muretto guardi queste figure con terrorizzato stupore, le vedi gigantesche, maestose, semidivine. Abitatori di un Empireo a te precluso, crisalidi che hanno spezzato con la forza del loro essere (del loro essere libere) il bozzolo che le soffocava, spiegando ali che invece su di te si sono subito avvizzite, dato che il tuo bozzolo qualcun altro l'ha aperto per te.

Qualche volta, sul muretto, distogli il tuo sguardo imbambolato da quelle figure mitologiche e guardi te stesso. E ti chiedi se per caso non ti hanno intrappolato dentro un'esistenza da casa di bambole. Perché ti sembra davvero incredibile che attorno a te si muovano così tante figure imponenti che vanno, vengono e non si accorgono che tu stai lì, da una vita sul muretto. E ti sembra incredibile che ogni cosa attorno a te (attorno alla tua vita da muretto) sia tanto colossale, inconquistabile, inconquistata. Ma non provi nemmeno a incamminarti verso la vetta. Perché tu sai che non sei capace di conquistarla. Non te l'hanno mai insegnato. A essere capace, intendo.

E adesso che finalmente ne hai abbastanza, adesso che vuoi scendere dal muretto per camminare da solo, ti accorgi che non ne sei capace e che questa volta non c'è nessuno a farlo per te. Perché quelli che dovevano farlo se ne sono andati da un pezzo, dimenticandosi di insegnartelo. Di insegnarti a essere capace, intendo.


Uno specchio per Alice

Alice mescola i Tarocchi con trepidazione e su ogni carta che volta spera di leggere la bella notizia che finalmente la sua vita comincerà a girare. Non per il verso giusto. A girare e basta. Al momento la vita di Alice è immobile, congelata, fossilizzata, mummificata, ferma in perenne standby, come se qualcuno avesse messo in pausa il film per andare a prendersi da bere e si fosse poi dimenticato di far ripartire la storia. Alice mescola i Tarocchi e su ogni carta che volta legge il nulla. Allora se la prende con le carte, sempre tanto avare di novità. E se la prende con il destino, che sembra essersi dimenticato di lei. E se la prende con la sua vita... ah già, ma la sua vita giace addormentata in una bara di vetro, in attesa che il bacio di uno sconosciuto le faccia sputare la mela che la tiene inchiodata alla sua fissità.

Alice si corica presto, sperando di addormentarsi subito per chiudere la porta su un'altra giornata trascorsa a sopravvivere, trascorsa a sognare, trascorsa a sperare. Alice non dorme e si rigira nel letto, abbandonandosi alle angosce che la sua mente, esaurita da troppi pensieri e nessuna decisione, le fa affiorare. Da quanto tempo continua questa immobilità? Quanti anni sono trascorsi? Quanti anni dovranno ancora trascorrere? Quanto tempo le resta ancora per rimettere in moto la sua vita? Tanto? Poco? Ad ogni modo, è il caso di fare qualcosa, di girare la chiavetta e riaccendere il motore. Sì, è ormai ora di farlo... domani... magari dopodomani... tra qualche mese... un giorno, chissà... Alice si addormenta.

Alice non si guarda mai allo specchio. Alice guarda nello specchio. Prima o poi, si dice, qualcosa accadrà. Prima o poi lo specchio del bagno si deciderà a comportarsi come dovrebbe fare un bravo specchio, come si era comportato lo specchio della sua omonima, che di punto in bianco si era trasformato nell'ingresso a un mondo magico, movimentato, emozionante, vivo. E cosa importa se quel mondo è solo un ghiribizzo della fantasia? Per Alice importa solo una cosa: che alla sua omonima la vita aveva proiettato una fantasmagoria di forme e di colori, mutando se stessa alla stregua di un caleidoscopio. Perché ad Alice questo non succede? Perché lei non riesce ad attraversarlo, quello specchio, per penetrare finalmente in un mondo immaginario dove vivere una vita reale?

Alice si convince che la colpa è dello specchio. Certo, lo specchio del bagno non è all'altezza di insufflare animo nella sua vita. Non ne ha le capacità, è uno specchio da quattro soldi. Uno specchio da bagno, appunto. Alice va a comprarsi uno specchio antico, grande, brunito dagli anni. Questo sì, pensa, è uno specchio degno. Questo sì mi restituirà la mia vita. Alice guarda nello specchio con la stessa fissità con cui trascorre la vita. Vuole la sua parte di avventura, vuole salire sul treno della vita, vuole muoversi. E per farlo, Alice è pronta a pagare qualsiasi prezzo. Anche quello di trasformarsi in una statua di sale.