Millo Migliavacca

Abito a Rivolta d’Adda. Due volte finalista a dei concorsi nazionali con racconti. Ne ho scritto un bel mucchio; sono tutti miniature. Non mangio più, non dormo più, da anni, ormai, bivacco fuori dal Castello. Gli editori? Lasciamo perdere.

L’età non ve la dico. La pelle flaccida, il collo aggrinzito, i capelli sfibrati, le arterie bluastre, i tricipiti penzolanti, i mollicci orbicolari degli occhi; questi segni scarabocchiati su un involucro inadeguato per un giovane di diciassette o diciotto anni, al massimo, dico: venti, come sarebbero accolti da un lettore che, dopo aver letto un capolavoro, si aspetta un munifico scrittore? Un grande scrittore dovrebbe avere almeno la faccia di Brad, di Matt, di Leonardo. Non ve la dico.

e-mail: millomi@.box.tin.it

Due più due non fa sempre quattro

Erano in pochi, ormai a ricordare la Centottanta. Erano in pochi, ormai, a ricordare Basaglia e quelle memorabili battaglie vinte.

In quella città, i cittadini non erano mica i più belli

Anche in periferia, nelle vie dove una volta c’erano i prati e cresceva l’erba e c’era, magari, una sola casa, anche in periferia quando agli abitanti succedeva che due più due non faceva quattro, cominciava ad andare storta; e tanto più, due più due non faceva quattro, tanto più andava storta.

Si marciava sulla certezza: due più due doveva sempre dare quattro.

– Quanto fa due più due? – si domandavano a vicenda.

– Quattro, – rispondevano in coro.

Così si interrogavano, dalla mattina alla sera. E quando qualcuno si dimenticava che due più due faceva quattro, si passava parola dicendo in giro che qualcuno non sapeva più che due più due faceva quattro. Allora, qualcuno parlava poco, guardava sempre non si sa dove, si prendeva il suo cuore in mano e lo ascoltava come si ascolta una conchiglia.

– Perché due più due non fa quattro? – chiedeva supplicando, qualcuno al suo cuore in mano. Il cuore sentiva un male cane: morello come un cuore.

In questo modo faceva Maria, con il suo cuore in mano, seduta sulla panchina di un brullo giardinetto: era un tassello di verde scolpito in un mare di palazzi.

Un sole tiepido come il latte accendeva la luce in una stanza al primo piano. La signora XYZ, cucinando, sotto il naso sbandierava la minestra. In ogni casa funzionavano a meraviglia quei teatrini piccini e sopraffini. E sotto un platano, sull’erba, due maschietti si baciavano, soli al mondo in quel quartiere.

Una natura ubriacona si era giuocata ai dadi le fattezze di Maria. Non esistevano bellezze su quel corpo di fanciulla. E impietosa si agitava in quel corpo, una donna ormai disfatta, per uscire allo scoperto.

Maria era seduta su quella panchina; come tante altre volte era seduta su quella panchina, e sentiva il suo corpo molle, percepiva che il suo volto era immobile e di lardo.

Era di ferro la memoria di Maria, ed ogni filo ed ogni segno aveva impressi. Pesavano come ciottoli in quella mente una caterva di ricordi.

Leggero come una piuma di cuculo era il ragazzo di Maria, e parlava e parlava, e rideva e rideva. Parlava e rideva di cose leggere come piume di cuculo, con il suo quattro gigantesco.

Aveva smesso di giocare Maria, e non sapeva più cosa prendere in mano per giocare, Maria. Guardavano non si sa dove i suoi occhi, che con un soffio, come soffioni, potevi disperdere lontano.

Doveva riuscire a far quadrare quel due più due. Era a conoscenza di un’ambulanza e di un ospedale; sapeva di quelli con il camice bianco che la obbligavano ad indossare una camicia senza maniche, dopo avergli chiesto quanto faceva quel due più due che lei non riusciva mai a far diventare quattro.

Non ce la faceva a scordare tutti quei ciottoli con quella ferrea memoria. Si allontanava come un puntino il suo ragazzo, ed era l’unica, in quel posto, a non saper cavare un quattro. E due più due faceva sempre meno quattro, quel due più due, solo e sperduto in mezzo a tutti quei quattro.

Strabuzzò i suoi occhi di spuma Maria, prese il suo cuore in mano e urlò, senza parlare:

– Perché due più due non fa quattro?

Reclinò il capo sul cuore per ascoltare. Il cuore, morello come un cuore, tacque, e spaventato tremò come un innocente.

Allora, Maria strabuzzò ancora di più i suoi occhi, che in quel momento non erano più di spuma; balzò in piedi. Fece roteare il braccio, e con tutta la forza che aveva in corpo, scaraventò per terra quel cuore che aveva in mano. Lo picchiò al suolo proprio come si fa con i passeri vivi da arrostire. E non smise di farlo. Lo pestò tra i piedi dei camici bianchi, e lo pestò sul pavimento dell’ospedale. In quel luogo, tutto pulito e lindo che profumava di varechina, erano in tanti, con le camicie senza maniche, a non sapere più che due più due faceva quattro.

E’ bella la vita: leggera, spumeggiante; oro, verde smeraldo. Azzurro..