Baldassarre Lobue

ciao a chi mi sta leggendo.
Sono Baldassarre, da Ciriè, in provincia di Torino,
invio un piccolo racconto: "La tetta sul tetto."
Sarei felice di ricevere qualche parere su quanto leggerete.

<Perchè tutti abbiamo bisogno di un po' di sana pazzia per non morire di realtà>

Noureddine: millelire.

C’era un uomo piccolo e dall’aria scura che si chiamava Armand.

Aveva semplici abitudini e suonava la fisarmonica.

Eveline no, lei no che non suonava, non cantava e non aveva nemmeno una radio. Faceva la maestra e rare altre cose di poco conto.

Armand lavorava presso un’officina meccanica, costruiva motori per lavatrici ed aveva un capo che ci godeva a torturarlo che si chiamava Huè-Callisto, Callisto per via del nonno, Huè perché ogni volta che apriva bocca:

"Huè…com’è che non hai fatto questo?"

"Huè…passerotto, ti devo fare una domanda scritta per vederti ruscare che meriti?"

""Huè…Arma-and…, Arma-and…, uh..uh gioia di mamma,hai il nove percento di scarti…CAZZZO d’un beccamorto!! Se prima di stasera non scendi al quattro ti chiudo per tutto il fine settimana con Noureddine dentro l’armadietto."

Quella volta il marocchino aveva sollevato le sopraciglia due volte veloci ammiccando e Armand si era immaginato il buio, l’odore del metallo e la dura punta dell’islamico che sudava.

Eveline in quell’esatto momento non conosceva ancora Armand, stava aprendo una carta di giornale che custodiva un mazzo di gerbere. Le depose sul piano dell’acquaio, scelse quelle alte e quelle basse e le sistemò con cura dentro un vaso di cristallo. Si allontanava, reclinando il capo ora su di un lato, ora sull’altro e con la punta delle dita carezzava le corolle.

Armand si faceva l’amore il venerdì sera, davanti alla tivù, dopo la mezzanotte su Reteheaven c’era una nera che si spogliava e si toccava forte. Una sera si era messa la muntandina di pizzo bianco e Armand s’era fatto l’amore due volte. L’avrebbe anche invitata a cena se non fosse andata in onda la pubblicità e lui era venuto sullo stacchetto dei wafer doppio gusto.

Eveline qualche tempo prima aveva conosciuto Roland su una chat-line. Lui si era dimostato un vero gentiluomo, parlava difficile e conosceva i vini giusti per ogni pietanza. Lei sapeva perfettamente come vanno queste cose, ma lo aveva voluto conoscere lo stesso, dal vivo, e si era anche comprata un vestitino per l’occasione.

Lui non aveva uno stabilimento balneare come aveva scritto. Nella realtà, quella autentica, vendeva aspirapolvere, anzi, la convinse ad acquistarne due. E poi era calvo ed il suo vero nome era Rosario.

Eveline aveva pianto disperata, le si erano spezzate le unghie per il troppo grattare contro il muro, ma a scuola non ne aveva fatto parola, che pure Nunzia la bidella non ci sarebbe cascata e poi le colleghe non aspettavano altro.

Armand andava a lezione da un vecchio musicista che abitava nel centro. Anche di questo si diceva fosse dell’altra sponda, ma era quello con i prezzi migliori e faceva un buon odore di confetti.

Quando Eveline ed Armand si erano conosciuti era martedì e pioveva piano. Giacomo, il maestro di musica, si era beccato un forte mal di schiena la sera prima, tentando di danzare il limbo con un trans di Caracas (si capí solo alla fine che era di Bergamo alta).

Armand era dovuto tornare indietro e correva perché stava arrivando il tram.

Il tram era a due isolati, Eveline al riparo sotto la pensilina, Armand sgambettava affannato, la pioggia batteva garbata il selciato.

Il tram era ad un isolato; Eveline sempre al riparo sotto la pensilina; Armand ciabattava le pozze col cuore alle tempie; la pioggia lucidava le lastre della strada.

Il tram aprì le porte, Eveline mise una mano sulla timida frangia per cercare riparo uscendo dalla pensilina, la fibbia bastarda della fisarmonica si agganciò al mancorrente della fermata, Armand finì col culo per terra, Eveline spostò la punta delle dita sulla bocca e tese una mano al metalmeccanico zuppo.

Lui non sapeva se ridere o piangere. Prese lo strumento per il manico, "…SQUONC, FLARMANGOING…". L’acqua uscì e c’era una musica morbida e acquosa, ancestrale, magica, entrambi la trovarono estremamente dolce.

"Grazie" disse ad Eveline che spostò entrambe le mani sul petto come fosse la madonna davanti all’arcangelo Gabriele, come a dire "Io? Che c’entro io?" ma non disse nulla, appoggió piano il capo su di un fianco e sorrise lenta, arrossendo un poco.

Da quel giorno Eveline ha messo dieci libri spessi dentro un sacchetto di plastica, s’é comprata un annaffiatoio accompagna Armand in giro per il mondo. Scelgono una strada, lui si siede sul suo sgabello ed imbraccia la sua fisarmonica, poi aspetta. Aspetta che Eveline faccia una pila con i libri, vi salga sopra e giú acqua a volontá, sulla musica del suo Armand. La gente resta ad ascoltare ore ed ore a bocca aperta.

Una volta è passato Noureddine con sua moglie e i due figli, ha sorriso e messo millelire nel cappello.

 

La tetta sul tetto

ZZZzzzZZZ una mosca sulla punta del naso sudato di Giò.

Giò la scaccia via con un gesto violento della mano.

L’insetto compie un giro della mansarda, pigramente, s’inzucchera un istante sulla tovaglia sporcata dalla cena, e ci riprova col naso.

"Mosca di merda ! Ti strappo le ali e ti chiudo dentro un barattolo di miele…Berenice puoi abbassare ?…e poi ti guardo annegare…Bere ! T’ho detto di abbassare!… Ti vedrò annegare al rallentatore…Be’, cazzo , abbassa !!"

La mosca vola nell’altra stanza e s’appoggia sul bordo della lattina di coca-cola che Berenice, mollemente, sta tracannando.

"Cazzo ! Giò ! Felipe è stato ferito dall’amante del fratello della madre di Maria Dolores de la Pampas ! Giò ! Sanguina !"

"Che muoia. Ma senza fare troppo rumore."

"Sei proprio senza cuore ! Cristo ! Ma ha tre figli ! Tre, capisci Giò? E due non sono nemmeno suoi."

Le opulente dita di Berenice cercano il fazzolettino nel tascone della camicia da notte, tra biscotti e cioccolatini. Con un gesto lento sposta dalla fronte i capelli unti, aggrovigliati, strombetta le narici e asciuga gli occhi colmi di dolore.

"Spegni quell’arnese. Sono le otto e tra poco Anita e Armand passano a prenderci per andare al cinema."

Felipe è abbracciato a Dolores e sta morendo senza dire una parola. Nell’aria c’è solo il ronzare, inutile, della mosca incollosa. Il battere d’ali, a colpi di zoomata, picchia nel cervello.

" Beh Be’, cos’è questo silenzio ? Ti ricordi che questa sera dobbiamo uscire? Ver0 ?!?!? "

"Questa è la puntata dove Felipe rivela il suo amore a Pedro, non puoi farmi questo. Non puoi farmelo. "

Giò guarda il soffitto, tira a denti stretti un vaffanculo che rimbalza per un quarto d’ora tra i piccoli muri ingialliti.

Suonano alla porta. Una volta. Brevemente.

" Be’, sono Anita e Armand. "

" Dí che sto male. "

Suonano due volte. La seconda a lungo.

" Be’ ! Cristo Santo !! "

" Piuttosto morta. A Felipe non rinuncio. "

Il campanello adesso suona nervosamente. A tratti, poi di continuo.

" Be’ ! Se non vai a rispondere immediatamente, con me hai chiuso."

Oramai nell’aria è uno scampanellare continuo, non si sente piú né la mosca, né la televisione, né Giò che si è tolto le scarpe ed è salito sul tetto, si accovaccia sulle tegole fresche della sera e serra le ginocchia.

Berenice sfila il braccio dall’interno del superfustone di pop corn. Sclac. La tele viene spenta. Si trascina singhiozzando, infila i due cotechini dentro alle ciabattine col piumino rosa e sfrega il dorso della mano sotto le narici bagnate di lacrime. Felipe è morto, Dolores si è chiusa in un convento e Pacho fa il vigile urbano.

"Dove sei finito ? Giò ! Non scherzare, Giò."

Intanto sul tetto un gatto randagio impreca contro Giò che lo prende a calcioni.

" Giò! Sei tu? Non farmi spaventare " s’affaccia dall’abbaino

" Giò che cazzo ci fai lassú. Non fare il bambino. Scendi. Immediatamente. "

" Noo0! "

" Giò. Mi stai facendo paura. Ti prego scendi. "

" Tu giuramelo."

" Giurare cosa?"

" Che mi regali il telecomando e che la smetti d’abbronzarti gli occhi davanti a quel friggi-cervello. "

Berenice s’infila nella toilette. Dopo qualche istante rieccola che se ne esce profumata che pare un confetto. Sistema la seggiola in corrispondenza dell’uscita sul tetto, poi il suo mezzo busto sbuca nella sera stellata. Con la mano destra porge il telecomando a Giò, sbattendo le ciglia; si aggiusta meglio sulla punta dei piedi, poi con l’altra mano sfodera la tetta sinistra che, sballozzolante come un gigantesco budino, viene appoggiata sulle gelide tegole.

Giò deglutisce a forza: " L’hai promesso, Be’. "

Be’ sorride e spegne la luce. Sa perfettamente che si può cambiare canale direttamente dalla tivú e poi Felipe forse non era tutto morto, un poco ha mosso le dita prima che Dolores piangesse.