Edoardo Schina

Imparare a farsi dominare dall’arte è capire la ragione esatta per il quale si vive, inutile fingere di non sentirne il richiamo, se ti scorre nelle vene lasciala scorrere tranquilla e fatti da parte, penserà a tutto lei, così è per me.
Pittore, scrittore e sceneggiatore nato 22 anni fa.
Nel prossimo maggio (indicativamente) a teatro con una mia sceneggiatura, varie mostre e a dicembre in libreria con la mia prima raccolta di racconti edito da Pagine srl. (spero sia solo l’inizio).
Questo è un brevissimo delirio inedito che dedico a tutti.

SIGARETTE, JAZZ E RUMORI (PIOGGIA ESTIVA?)

Tra il pubblico c’era un nuovo ascoltatore, c’era una donna che osservava la vita dal lato inverso al suo. Tutti erano in preda alla musica e vittime delle note e della malinconia, lei no. Appariva pensierosa e incantevole e non aveva affatto l’aria di una donna disperata. Stanca si, ma non disperata. A fine concerto si avvicinò a lei sentendo come un richiamo e incuriosito più dal fatto che nessuno l’aveva accostata né tanto meno servita che dal suo strano aspetto.

Scosse la testa e continuò verso casa, cercando di non pensare agli incontri fatti fino quel momento anche se gli rimaneva difficile, e anzi non riusciva a non pensare ai frammenti di infinito, poiché anche se completamente pazzo il cavaliere aveva detto tutto con estrema convinzione, ma non con quella tipica espressione che usano gli invasati o i fuori di testa, bensì con una certa normalità e convinzione e forse se ci fosse stato un altro po’ di tempo avrebbe raccontato anche qualche storia interessante. Ad ogni modo voleva sbrigarsi ad andare a casa prima che piovesse, nonostante che il suo amico avesse assicurato che per il momento di acqua non ne sarebbe caduta. Nella via si sentivano i soliti rumori ai quali non faceva nemmeno più caso, tanto poi in una giornata così particolare. L’atrio del portone era sempre più vicino e allora si cercò le chiavi in tasca e prendendole gli cadde il biglietto da visita che raccolse rileggendolo per poi rimetterselo in tasca. Traversando l’atrio incrociò lo sguardo dell’inquilina del piano terra che all’insaputa di tutti i condomini, di tutta la città e di tutto il mondo forse, aveva perso la verginità circa quindici anni prima con un angelo blu dalle ali di carta stagnola che l’aveva fatta sentire importante come mai nessuno aveva fatto prima. Oltre questo segreto, nascondeva anche che da quel giorno era diventata felice e che ogni qualvolta aprisse nuovamente le gambe all’ospite di turno lo faceva sapendo che non sarebbe mai stato migliore della prestazione dell’angelo e che per batterla ce ne sarebbe voluto un altro di angelo. Si fermò davanti l’ascensore e aspettò che questa lentamente, era un ascensore vecchia maniera, arrivasse giù. Ci mise circa trenta secondi in cui ripenso per lo più a quella donna strana che, per coincidenza o per chissà cos’altro fino a quell’istante aveva avuto ragione, infatti ancora non pioveva.

Si sdraiò direttamente sul letto e in quattro-cinque minuti si addormentò. Intanto i nani delle metropoli scorrazzavano felici fra il bagno e la cucina. Passate che furono un paio d’ore si svegliò di colpo a causa del rumore di una frenata di una macchina in strada. Sicuramente qualcuno aveva evitato un gatto pensò.

"Maledetti gatti, una volta che si riesce a dormire"

Nessuno seppe invece che la macchina aveva evitato una fata, la più bella che sia mai esistita, senza poteri ma nuda e vogliosa di amore come una puttana stanca. Si era scrollata i capelli lasciando cadere i desideri della pelle e non aveva fatto caso al traffico. Forse si era persa tra l’asfalto.

Si strizzò gli occhi e si sedette sul letto per riprendere in pieno il controllo di tutte le funzioni vitali e per mettere a fuoco tutti gli oggetti della casa. Una volta alzato, la prima cosa che fece fu quella di andare al bagno, tirare su la tavoletta e pisciare per almeno due minuti. Si guardò allo specchio e notò che tra le sue lunghe chiome c’era qualche capello bianco, fece una smorfia e se li bagnò per poi legarli solo sopra come un samurai. Dì lì a qualche ora sarebbe dovuto tornare al locale e suonare nuovamente per tutta la durata della sera o fin quando gli spettatori non fossero divenuti ubriachi o l’avessero smessa di applaudire.