Gabriella Starnotti

Laureata in Giurisprudenza, Avvocato, Consulente del Lavoro e docente di discipline giuridiche, nel 1997 ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria del Concorso di Narrativa e Poesia "I Prati Blu" (sez. Narrativa); nel 1998 la Segnalazione al Concorso "Scrivere in Vacanza" (sez. Narrativa); nel 2000 il Primo Premio per la sez. Narrativa del Concorso "Scrivere in Vacanza 2000", la Segnalazione di merito nel Concorso "F. Pessoa" (sez. Narrativa) e la Segnalazione nel Concorso "Le conchiglie e il mare" (sez. Narrativa). Nel 2001 si è classificata 12/ nel Concorso Letterario "Le Pizzorne" (per la Narrativa); nello stesso anno è risultata finalista nell'Iniziativa Editoriale "Il paese che non c'è" , ed è risultata finalista anche nel Concorso Letterario "Oltre la vita 2001". Collabora con la rivista mensile "Minerva".

IO SAPEVO DIRE SOLO NO

(Lettera mai scritta da una adolescente quasi uguale agli altri)

Io non sono diversa. Qualcuno crede che io sia diversa, ma non è vero. Oppure tutti siamo diversi, perchè nessuno è uguale ad un altro. Io sapevo dire solo no. Non sapevo dire altro. Mi usciva solo quello. A volte non avrei voluto dirlo, e aspettavo, ma mi usciva lo stesso. Qualche volta la mamma si arrabbiava, forse non voleva farsi una ragione del fatto che sapessi dire solo no. Forse avrebbe voluto una figlia di mille parole, e io ne avevo solo una. O forse pensava a quello che ne sarebbe stato di una figlia che sapeva dire solo no. Avrei voluto dirgli: "Mamma, non è colpa mia", ma forse non mi avrebbe creduto. Lo dicevano anche i miei fratelli. Quando la Titti, tornando da scuola, confessò di aver perso il videogioco che aveva portato di nascosto, disse che non era stata colpa sua. La mamma non gli credette. Anche quando mio fratello Chicco portò cinque di storia sulla pagella disse che non era colpa sua, ma la mamma non credette neanche a lui. Così non glielo dicevo mai che non era colpa mia, e allora dicevo no. Vuoi mangiare? No. Lavati le mani. No. Come devo fare con te? No. La mamma spesso mi diceva che ero bella. E io dicevo no. Questo era vero. Non ero bella come la Titti, bionda con gli occhi celesti. Io ero castana con gli occhi marroni e secca secca secca. E piccina picciò. Non so perchè la mamma mi dicesse che ero bella. Forse era bugiarda. O forse mi voleva bene. La mamma diceva anche che ero la sua piccola principessa, la sua bella addormentata, e che aspettava sempre che da un giorno all'altro mi risvegliassi. Forse perciò mi dava sempre tanti baci. Sperava che prima o poi uno sarebbe stato quello buono, e mi sarei risvegliata. Anche io lo pensavo. Ma io sapevo dire solo no. Quando mi piaceva Andrea, che veniva tutti i giorni in classe nostra nell'intervallo, io penso che se avessi saputo dirgli tutte quelle cretinate che gli diceva l'Alice si sarebbe messo accanto a me in pullman per la gita scolastica. Invece io sapevo dire solo no, e lui si mise accanto all'Alice. Ero tanto triste mentre li vedevo che sentivano la musica dalla stessa cuffia e ridevano forte. Quando la mamma mi metteva a letto la sera e mi lasciava nella penombra dopo il bacio della buonanotte, avrei voluto chiamarla, gridare più forte che potevo per farla tornare indietro, perché restasse un po' con me ad ascoltare i miei problemi, ma io sapevo dire solo no. Un giorno al mare pioveva, e sotto la tettoia delle cabine tutti i ragazzi si facevano i tatuaggi. Mi piacevano i tatuaggi, ma nessuno se ne accorgeva. Nessuno mi chiedeva se lo volevo. Poi arrivò la mamma e su un braccio mi disegnò un ragazzino che andava sul surf. Era bello. Avevo il tatuaggio anch'io. Volevo dire: "Grazie mamma", ma io sapevo dire solo no. E' triste avere una sola parola, non riesci mai a dire quello che vuoi. Perciò sono sempre gli altri a scegliere per te. Cosa devi fare, cosa devi mangiare, dove devi andare, come ti devi vestire. E se non ti piace è lo stesso, tanto gli altri non se ne accorgono, perché non sai spiegarlo. Ed io sapevo dire solo no. Una volta Carl, il mio dottore delle parole che viene ogni tanto dall'America per vedere me e tanti altri bambini senza parole, disse alla mamma :"Perché te mama vuoi vestire sempre tua figlia di paperina ? Lei è grande, vestila di ragazzina". Era vero, per la mamma ero sempre la sua piccola, e continuava a vestirmi con i cartoni animati. A me piacevano i cartoni animati, ma non sui vestiti, perché le mie amiche si vestivano già da ragazze, ed io sembravo ancora più piccola di quello che ero. I miei genitori si guardarono, poi mi guardarono. Forse in quel momento capirono che, poco alla volta, crescevo anch'io. E da quel giorno sparirono i paperini dall'armadio. Grazie Carl. Anche perché da allora i miei genitori ed i miei fratelli cercarono in tutti i modi di capire quali fossero le cose che preferivo. Era difficile, spesso non ci riuscivano, ma era bello essere considerata come una persona che sa scegliere. C'erano delle cose che mi piacevano tanto. Per esempio mi piaceva guardare dalla finestra, soprattutto per veder passare l'autobus arancione: era bello, grande, e faceva un sacco di rumore. A volte mi ci avevano portato, ma da sopra faceva tutto un altro effetto: la testa mi girava, il rumore mi assordava, gli scossoni mi facevano cadere e non riuscivo più a trovare con lo sguardo chi mi accompagnava. Allora gridavo, gridavo tanto. Volevo scendere. Ma nessuno mi capiva. Pensavano che avessi paura, e allora cercavano di tranquillizzarmi, di distrarmi. Ma io stavo male, volevo andare via, e gridavo ancora di più. Volevo dirglielo, ma io sapevo dire solo no. Vuoi scendere. NO. Perchè? Certo che volevo scendere, volevo fuggire, tornare a casa, rifugiarmi nella mia poltrona, farmi avvolgere dai braccioli rassicuranti. Ma mi usciva solo no. Era come quando mi portavano al maneggio. C'erano tanti cavalli. Li sentivo, li toccavo, parlavo con loro nella mia testa, e loro sembrava mi capissero. Non so come, ma era come se parlassimo la stessa lingua invisibile. Però non li chiamavano "cavalli", la chiamavano "ippoterapia". Per me erano cavalli. Poi cominciai a montarci sopra. Era divertente. C'era tanta gente intorno a me, mentre il cavallo andava: Sandro, la Paola, la Simona e anche un poliziotto. Loro stavano giù, a piedi, ma io no, stavo sopra e mi portava Ringo, il cavallo che mi davano sempre. Era buono, Ringo, ed io mi fidavo completamente. Un giorno però entrò nel maneggio un grosso cane, proprio mentre io stavo a cavallo. Forse si era perso. Abbaiò forte, ed io all'improvviso caddi per terra, perchè Ringo aveva avuto paura, si era alzato sulle zampe di dietro senza pensare a me, e mi aveva fatto cadere. Mentre ero ancora per terra, mi accorsi che avevo paura anch'io. Ma di rimontare a cavallo. Vennero subito tutti a rialzarmi: non ti sei fatta niente, meno male. Non era vero, mi ero fatta eccome: non fisicamente, ma avevo avuto paura. La paura è un male dell'anima che non guarisce facilmente. Non avevo mai pensato di aver paura dei cavalli, ora sì. E questo mi ossessionava. La paura della paura. Continuavo a voler tanto bene ai miei amici, andavo sempre a trovarli nei box, ma sopra no, non volevo andarci più. Per tanto tempo ho continuato a piangere ed a gridare quando mi mettevano sopra. Poi un giorno la Paola mi disse: Va bene, hai capito che non bisogna fidarsi mai, ma ora devi andare avanti. Devi anche capire che non bisogna fermarsi. Quando attraversi la strada devi aver paura delle macchine che arrivano, ma non per questo devi rimanere tutta la vita sul marciapiede. Era vero, io mettevo sempre la mano avanti e poi attraversavo, anche se avevo paura delle macchine. Mi piaceva come mi parlava la Paola, come a una grande. A volte mi trattava anche male, come la Gianna, la Marta e tutti i miei insegnanti; ma loro lo facevano perchè me lo meritavo. Tanti altri invece mi parlavano come se fossi una bambina piccola, e mi urlavano cose stupide e spesso senza senso. Io invece non ero stupida. Io sapevo dire solo no. E loro credevano che fossi stupida. Invece la Paola, la Gianna, la Marta e tutti quelli che mi volevano bene lo sapevano che non ero stupida. La gente che mi vede diversa non può essere falsa con me: o è cattiva, o è pietosa, o è infastidita. Ma c'è anche chi non ha mai pensato di pensare che io fossi diversa, come i miei amici. Tanti. Non saprò mai dire il bene che gli voglio. La Cristina e la Chiara, le mie più grandi amiche, mi hanno sempre dato un po' di loro stesse in ogni momento, non mi hanno mai lasciata da parte. Ed anch'io avrei dato tutto per loro. Io sapevo dire solo no, ma loro sapevano leggermi negli occhi, prima ancora che le guardassi. Qualcuno a volte mi ha detto "poverina". Io non sono mai stata poverina. Chi pensa che io sia stata sfortunata, non può immaginare i tesori che ho trovato, e che toccano a pochi. A me sono toccati, anche se sapevo dire solo no. Forse, se avessi saputo dire altre parole, non me ne sarei mai accorta. Io sapevo dire solo no, ecco perchè non ho mai scritto questa lettera. Ma se l'avessi scritta, sarebbe ancora chiusa in una bottiglia persa nell'oceano. Io sapevo dire solo no, ma avevo tanti pensieri.