Felici di ospitare i racconti di Adriano Ricchi
alias Adriano Tubetto alias Tubetto

Adriano

"il miglior scrittore della Milano sud"
- non ce ne voglia Bruno Brancher -

Adriano non è più con noi dallo scorso giugno.

Grazie, nonno

Fu grazie alla torrida estate del cinquanta che sospendemmo i nostri passatempi, non senza rimpianti. Poi il nonno morí e i tempi sono cambiati, cosí non ho osato tramandare il gioco ai miei figli. Non potrebbero capirlo.

Erano tempi grami, subito dopo la guerra. L'unico diversivo, alla sera, era la tombola con i fagioli come segnalini, ma presto dovemmo sospenderlo. Prendevamo due cartelle, inserivamo i fagioli crudi e anche qualche dischetto di legno dei numeri già estratti e preparavamo un toast che masticavamo ingordamente. Poi, un giorno il nonno ci portò in piazza del Duomo.

Era appena finita la guerra. macerie dappertutto. Qualche piccione che evitava di essere divorato crudo seduta stante e due venditori di palloncini. Noi addosso al nonno perché ce li comprasse.

Il nonno, che era stato un disertore volontario della prima ora, si era nascosto in cantina alla fine del '39, e quindi preparato alla sopravvivenza in situazioni estreme, non aveva i soldi per comprarci i palloncini e ci calmò. "Li faremo a casa..." promise.

Poco dopo la cena a base di patate, un'ombra di lardo e qualche erba inidentificabile, il nonno, mettendo un vasino sul tavolo, ci disse:"Ora faremo un nuovo gioco". Prese un gomitolo di spago e lo tagliò a misura regolare, compose una piccola asola sul terminale, giusta per infilarci un dito, poi disse:"A chi gli scappa, la faccia qui", indicando il vasino.

Il primo fu Genunzio, un mio cugino di Bologna, che tentò di farci la pipí e si prese uno scappellotto dal nonno che poi si scusò e precisò: "Solo la pupú". Alle 20.15 il cuginetto Poldino di Cantú, dal quale eravamo sfollati, avvertí il bisogno grosso. Il nonno lo fece sedere sul vasino tenendo Poldino leggermente alzato. Appena cominciò a defecare gli raccomandò di fare piano. Verso la fine gli disse: "Adesso alt! Un peto normale; se lo fai grosso si rompe, se piccolo il palloncino non va in aria".

Poldino modulò eseguendo alla perfezione. Il nonno chiuse delicatamente con lo spago la parte alta e mentre con le forbicine recideva il filo, infilava l'altro capo con l'asola nell'indice della mano sinistra di Poldino, che era mancino. Improvvisamente lo stronzetto ripieno di gas si librò verso il soffitto fra lo stupore, l'entusiasmo di noi tutti.

Poldino corse orgoglioso e felice sulla ringhiera con il suo nuovo gioco. Il passatempo continuò per anni e ci perfezionammo. Ermetino riuscí, grazie ad una alimentazione di carote e peperoncino, a farli colorati e che dopo esplodevano. Il massimo lo raggiunse Michelino al quale il nonno aveva fatto deglutire una lampadina pisello. Durante l'evacuazione il nonno riuscí a collegare i due fili fra lo spago e il palloncino. Attaccò una spina alla corrente. Era un palloncino luminoso e ce lo godemmo nel natale del '49. Poi arrivò la torrida estate del '50. I palloncini venivano molli. Mio padre s'era iscritto a un partito che andava per la maggiore a Milano. Giravano piú soldi. Mangiavamo piú carne. I palloncini venivano male, se si rompevano puzzavano. Rinunciammo. Sono passati piú di quarant'anni. Milano è piena di merda, ma noi non c'entriamo, vero, nonno?

Leggimi, poi rileggimi, cara

Siamo agli sgoccioli. Ce lo sentiamo tutti e due, Un po' presto. Sessanta anni, pochi, però vissuti. E bene. Benino sicuramente. Mai fatto nulla di male e se ce ne fu, era a fin di bene.

Cara, adorabile e adorata, amabile e da me amata. Sei anziana anche tu. Io, con le gambe vado male, flebite, ha detto il medico. Tu te la cavi meglio, sei ancora agile. Ci siamo conosciuti, ricordi, quasi dalla culla e, bene o male, siamo sempre stati insieme, il che non è poco. Alti e bassi, d'accordo, ma non è usuale che un rapporto d'amore, di amicizia e di sesso abbia tale costanza. Qualche amico ci chiamava "gli inseparabili" e cosí sarà, e lo sai, fino alla morte.

Fu sui dieci, forse undici anni quando avemmo, timidi, il primo rapporto sessuale. intenso anche se non completo. "Mi usi", mi dicevi, e forse era vero. Inutile negarlo, ebbene si. Del resto mi hai sempre lasciato agire. E' vero che ti avevo insegnato a fare il segno della croce e dopo qualche anno il pugno chiuso e nel '68 ti trascinavo alle manifestazioni. Ma eri d'accordo. E io ero maturato. O forse no. Dubbi che ci accompagneranno fino alla morte.

Fu sui tredici anni quando avemmo il primo completo rapporto. Violento e dolce nel contempo. Alla fine, rammenti, io ti lavai, tu mi lavasti. Dolcezza, mi accarezzavi il viso, la schiena. Io ti baciavo. Ti avevo insegnato a scrivere bene e pubblicammo le prime poesie e dei racconti. Io dettavo e tu e tua sorella battevate a macchina. Spesso le firmavo a nome tuo. Il sesso fra noi ebbe il sopravvento. Due, tre, cinque volte al giorno. Poi ci fu quell'incidente d'auto. Non l'ho mai detto a nessuno ma fosti tu che tirasti il volante sulla destra fino a centrare quel maledetto palo. Sembravi grave. Io ti ero vicino, giorno e notte. Avevo due costole e un ginocchio rotto. Migliorasti e ti ingessarono. Fu allora che misi gli occhi su tua sorella, lei era di sinistra. A quei tempi, tu, di destra, facevi il segno della croce. Lei girava con il pugno chiuso levato in alto. Stetti con lei finché tu non guaristi. Non fu entusiasmante, era maldestra, impacciata, grezza, ma la "usai", lei si, tu no, checché ne pensi, tanto è vero che non appena sgessata e guarita tornai da te.

Poi mi sposai ma ti ebbi sempre vicino. Ti presentai mia moglie. Ma rimasi sempre con te. Quando lei andava via, e anche quando c'era, avevamo dei furtivi rapporti a letto, in bagno, leggendo dei libri, guardando dei films. Poi con mia moglie ruppi. Mi rimase mia figlia che avevo voluto chiamare come te. Eravamo ancora insieme, ogni tanto qualche avventura ma niente di serio. Manuela, mia figlia, un anno, ti era simpatica. La accarezzavi spesso, la pettinavi, la imboccavi. Poi ti venne l'artrosi ma i nostri rapporti pur se difficili, non diradarono. Un chirurgo mi aveva proposto di operarti. Fumavi troppo, diceva, e tu giustamente, dietro mio cenno, gli mollasti un solenne schiaffone.

Siamo alla fine. Mi sono iscritto alla società per la cremazione. Lo so che non sei d'accordo, ma io preferisco cosí. Giustamente sei libera di farti inumare in terra. L'hanno trovata curiosa e originale alla società la nostra decisione però rispetteranno le nostre volontà.

Al decesso ci separeranno. io nel forno con tua sorella e saremo cenere. Tu sottoterra.

Caro amore, primo, primissimo ed inseparabile come del resto per tutti gli uomini, che rinnegano, falsi, quella prima infatuazione, a te scrivo, Manu, tu che mi insegnasti cosa fosse il sesso. Non ti dimenticherò mai, Manu, mia cara, la prima ed unica, irripetibile mano destra.